lunedì 11 maggio 2020

Non spendiamo male le risorse che abbiamo

di Giulio Colecchia


Miliardi come noccioline. Certo, in una fase della storia del Paese - anzi dell’intero pianeta - come l’attuale, la gente ha bisogno non solo di buone intenzioni e di parole di incoraggiamento, ma, innanzitutto, di gesti concreti che l’aiutino ad affrontare le nuove ed enormi difficoltà. Non c’è dubbio, quindi, che siano necessarie politiche cosiddette espansive della spesa, che, cioè, mettano in circolazione una maggiore quantità di moneta perché “il cavallo possa riprendere a bere”.

È una necessità alla quale nessun Paese del mondo può oggi sottrarsi. Una necessità che ha intaccato anche le inossidabili certezze dei Paesi più rigorosi dell’Europa del nord (Germania compresa) che, sembra, abbiano accettato di dare il proprio assenso ad una nuova fase della politica economica comunitaria che allenti i vincoli ai bilanci nazionali e definisca regimi di aiuti comunitari meno soffocanti per i singoli Stati. Quindi, i 750 miliardi previsti dalla BCE della Lagarde e i circa 1.000 della Ursula. E ancora, ogni Stato può contare sull’allentamento dei vincoli di Maastricht; il che, tradotto, significa possibilità di ricorrere a nuovo ed ulteriore indebitamento per reperire risorse sui mercati finanziari.

E qui, il “liberi tutti” sta producendo - in Italia per quanto fiscalmente ci interessa più direttamente - un affannosa quanto caotica scelta di spese per sostegno a famiglie, imprese, artigiani, commercianti, professionisti, gestori di attività turistiche; e poi Cassa integrazione, bonus, congedi, ecobonus per ristrutturazioni, contributi per acquisto biciclette e via dicendo. Tra poche ore il nuovo “decreto maggio” metterà in campo, proseguendo su questa strada, un’ulteriore sforzo finanziario del bilancio pari a circa 55 Miliardi di euro oltre ai 25 già stanziati con il precedente decreto “curitalia”. “Stanziare” forse è un verbo inadatto perché si tratta di ulteriore indebitamento pubblico a cui il Governo ricorrerà per far fronte a quegli impegni. Impegni che, per dirla tutta, oggi sta chiedendo di anticipare ad altre Istituzioni, com’è per l’INPS che già nei primi mesi dell’emergenza Covid ha dovuto anticipare dal proprio bilancio diverse decine di miliardi, o i Comuni che non avendo ricevuto somme integrative stanno attingendo da altri capitoli della spesa sociale ordinaria.

Sembra che tutto quello che in venti anni non sia stato possibile fare lo si voglia realizzare quest’anno o, al massimo, entro il prossimo e senza una visione coordinata, ma solo sulla spinta di lobby e di scelte sui social.

Voglio chiarire che non credo che mettere la gente in condizioni di spendere e, quindi, di rianimare l’economia reale sia una scelta sbagliata, anzi; così come credo che sia assolutamente necessario aiutare le fasce più povere e quelle realmente più bisognose della popolazione. Primum vivere … quindi raggiungere le persone in reale difficoltà, frenare la tendenziale crescita della povertà e rispondere adeguatamente a quella già in stato comatoso.

Ma, oltre ai salvagente, quali strumenti realmente possono essere utili per il riavvio del motore? Considerando che, dopo la stagione dei sussidi (che non può essere strutturale!), bisogna creare condizioni di sostegno e di promozione per il lavoro, unico vero strumento di dignità e sostegno della persona. Non sembra, però, di intravedere un vero programma di ripresa che abbia, qui si in maniera strutturale, al centro il lavoro e l’ammodernamento dell’economia della produzione. Eppure questo non è il momento di rinviare. Proprio perché la crisi, di dimensioni mondiali, provocherà stravolgimenti di alleanze economiche internazionali e influirà decisamente su mercati e modelli di produzione, il nostro sistema non può restare in stand by. Nel DEF 2020 (documento notoriamente “misurato” anche perché è sempre stato ad usum delphini) si prevede un calo del PIL dell’8%; Confindustria conferma una previsione del 6%, mentre il FMI parla addirittura del 9,1%; altrettanto difficile sarà la situazione per le esportazioni con un -14,4%, degli investimenti del -12,3% e della spesa delle famiglie (gran parte della domanda interna) con un -7,2%. La situazione della disoccupazione esplicita sarà, conseguentemente, in crescita dal 9,7% all’11,6%. Evidentemente i sistema di welfare per il lavoro che abbiamo consente di sostenere l’urto di questi primi mesi. Quello che dà l’evidenza della gravità è il calo delle ore lavorate che scenderanno del 6,3%. In definitiva il nostro indebitamento pubblico netto passerà, nelle previsioni del DEF, dal 134,9% del PIL al 151,8% (+17), mentre il disavanzo primario (al netto degli interessi pagati sul debito) sarà del 3,5%. Le previsioni di altri autorevoli osservatori internazionali sono meno prudenti del Governo italiano e, soprattutto, prevedono un grave trascinamento di questa situazione nei prossimi anni (EURISPES -9,5%, FMI -7,9%, Goldman Sachs -11,6%).

Potremmo riassumere sommariamente così il quadro che realisticamente ci aspetta. Meno occupati e meno salari, meno piccole aziende, meno introiti fiscali e contributivi, minore produzione di beni, minori consumi, minori risorse per gli enti locali per le politiche sociali e del territorio. Di contro, aumento dei prezzi, della fiscalità, difficoltà a migliorare i servizi pubblici. Di conseguenza maggiore diseguaglianza sociale.

Siamo, quindi, alla vigilia di un periodo peggiore di quello che vivemmo nel 2008/9; un periodo che richiederà al Paese sforzi economici straordinari e a tutti i cittadini un grande impegno civico nel mettere in campo comportamenti virtuosi (soprattutto sul terreno della prevenzione sanitaria).

Ma credo che un’uscita dal guado sarà possibile soltanto in presenza di due precondizioni.

Che si definisca un vero e proprio “piano generale per la ripresa”, ripartendo al meglio le risorse che, con ulteriori debiti, oggi si stanno manovrando; distribuendole, con il coinvolgimento delle forze sociali, produttive e del volontariato, con prudente lungimiranza, tra spesa per famiglie bisognose e per ridurre la povertà e spese realmente utili per sostenere settori e quelle imprese che si impegnino a mantenere i livelli occupazionali, al di là del ricorso alla cassa integrazione, e ad incrementarli in presenza di investimenti ed innovazioni favorite da contributi pubblici. Un nuovo “patto sociale” per un progetto, quindi, equilibrato, che non sia preda degli isterismi di una politica litigiosa e ormai screditata, imballata e divisa in fazioni e tifoserie, senza una visione della realtà e delle prospettive che vadano oltre l’emergenza, ma soprattutto senza rispetto per le stesse Istituzioni che pure governa.

Poi un atteggiamento più responsabile della politica. È proprio questo l’ostacolo, oggi, più grande da superare. Non tanto gli equilibri europei che, come si sta verificando con il recente accordo su MES, SURE, BEI e Delivery fund, possono alla fine essere resi convergenti. La seconda precondizione è la creazione di un clima di solidarietà e di partecipazione nazionale nel quale maggioranze e opposizioni mantengono le proprie caratterizzazioni programmatiche e culturali ma, nella necessità di cooperare tutti per ridare la spinta decisiva per il riavvio alla macchina Italia, si pongono tra loro in una condizione di collaborazione straordinaria. Governo di crisi? Di emergenza? Di straordinaria unità nazionale? Non importa come, l’importante è che la condizione di “pollaio” finisca e si passi ad un ruolo più alto e dignitoso della politica italiana. È solo con i buoni esempi e non con tensioni e paura che si può governare un popolo eclettico, fantasioso, ma profondamente sfiduciato com’è oggi quello italiano.

Così crescerebbe anche il nostro ruolo nella leadership europea e così potremo ambire a tornare ad essere, come lo furono in nostri costituenti in seno alla nascente Europa, protagonisti del suo cambiamento ed dell’evoluzione verso un’Europa dei popoli.

1 commento:

  1. Ottima e soddisfacente analisi del momento che stiamo vivendo,con una proposta ben argomentata per la ripresa del paese,che ritengo non di possibile attuazione con la presenza di esponenti politici di scarso profilo che continuano a fare campagna elettorale,e mi dispiace che questi raccolgono consensi nel Sud.

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