mercoledì 24 aprile 2024

La libertà delle donne è il termometro della civiltà sul pianeta

 di Valeria Frezza

La portata universale della lotta delle iraniane, e degli uomini al loro fianco, è la straordinaria occasione a livello globale di riaffermare a livello globale che la libertà delle donne è il primo indicatore della civiltà, dell’equità e del benessere sul pianeta Terra.

Si tratta, in primo luogo, del profondo e patologico imbarbarimento delle relazioni tra i sessi, dalla permanenza tossica di un patriarcato alimentato dalla distorsione perversa della fede religiosa che dimostra, per usare le parole dello psicoanalista Recalcati, come “credere fanaticamente in Dio sia un modo per rifiutare l’esistenza della donna e per continuare a odiare la vita”. 

La misoginia, l’odio verso le donne è, infatti, la plastica dimostrazione dell’avversione per l’esistenza umana tutta: senza la generatività delle donne, senza la libertà non c’è futuro per l’umanità orrendamente realizzatosi in paesi come l'Iran.

Ricordiamo il massacro della giovane donna Mahsa  Amini,  ma questi casi di violenza contro le donne che non indossano l'hijab sono molto frequenti. 

Armita Geravand, infatti, giovane donna di 16 anni morta dopo 18 giorni di coma il 23 ottobre 2023 e continua ancora adesso l'azione repressiva della polizia morale contro le donne che a loro dire, non si vestono in modo appropriato.


Fonte: Micromega

domenica 21 aprile 2024

Comunicato stampa del "Comitato referendario contro il Rosatelum"


Si è costituito il 17 aprile, presso lo Studio Notarile Fanfani-Pellegrino di Roma, il Comitato promotore del referendum per l’abrogazione parziale delle attuali leggi elettorali per la Camera e per il Senato, il cosiddetto Rosatellum.

Ne dà notizia l’ex senatore liberale Enzo Palumbo che, con Paolo Antonio Amadio e Sergio Bagnasco e in sinergia col compianto sen. Carlo Felice Besostri, ha curato la stesura dei quesiti referendari

Il comitato promotore è presieduto da Elisabetta Trenta, presidente d’onore è Giorgio Benvenuto, la vicepresidenza è affidata a Vincenzo Palumbo, Raffaele Bonanni, Sergio Bagnasco. La segreteria organizzativa è affidata a Riccardo MastrolilloLuigi Spanu e Thomas Agnoli. Il tesoriere è Pietro Morace.

Tra i numerosi componenti, Enzo Paolini, Marco Cappato, Nella Toscano, Paolo Antonio Amadio, Nicola Bono, Erminia Mazzoni, Mario Walter Mauro, Francesco Campanella, Mauro Vaiani, Matteo Emanuele Maino.

 

Martedì 23 aprile, alle ore 17:30, presso la sala stampa di Montecitorio, i promotori del referendum presenteranno agli organi d’informazione i quesiti referendari e la campagna per la raccolta delle firme.


https://coordinamentoperlarappresentanza.blogspot.com/2024/04/composizione-del-comitato-promotore-del.html

L’ufficio Stampa del Comitato Referendario Per La Rappresentanza

Per info e contatti

info@iovoglioscegliere.it

3489044343

venerdì 19 aprile 2024

La violenza e' il volto della discriminazione dell'uomo sulla donna #DonnealCentro

 di Valeria Frezza


Lavorare sulle misure di diritto penale e sulla cultura è fondamentale ma non sufficiente: per cambiare davvero le cose serve comprendere a fondo quanto la discriminazione nasca da rapporti di potere che continuano a favorire gli uomini.

La violenza contro le donne ha uno scopo discriminatorio, in quanto viene perpetrata per affermare le posizioni di potere e di dominio degli uomini sul libero arbitrio delle donne. La classificazione della violenza contro le donne come violenza di genere ha implicazioni legali significative, in quanto rappresenta una violazione di vari diritti e principi: il diritto all'integrità personale, all'onore e alla dignità, il divieto di tortura, la violenza sessuale e la discriminazione contro le donne. 

Per comprendere la violenza è necessario superare la logica della mera protezione e abbracciare l'idea che le donne debbano essere responsabilizzate eliminando le forme di discriminazione che limitano il loro spazio nella sfera economica, sociale e politica.


 Tratto da un articolo di Graziella Romeo, professoressa associata presso il Dipartimento di Studi Giuridici dell'Università Bocconi di Milano 

venerdì 5 aprile 2024

Malasorte o malasanità: vivere o morire

di Valeria Frezza & Stefano Colagrossi


Malasanità è un termine sempre più utilizzato nel gergo comune per indicare in realtà la situazione del nostro pregiatissimo sistema sanitario nazionale ma che adesso non funziona più per la continua incuria e mancanza di risorse che nel corso degli anni sono stati tolti e non è stato nemmeno previsto un finanziamento ad hoc in seguito alla pandemia covid-19 dove i tanto "osannati" medici ed infermieri che si sono prodigati per curare i pazienti, sono caduti nel dimenticatoio.

L'articolo 32 che recita testualmente "Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti", non è più garantito in quanto il malcapitato che deve recarsi all'ospedale per una malattia (anche grave) e che necessita di cure urgenti, si trova spesso buttato per giorni in un pronto soccorso senza ricevere le dovute cure. Abbiamo constatato di persona questa situazione, in quanto un nostro caro prossimo, di soli 52anni, ricoverato in un noto ospedale romano, dopo una pesante settimana trascorsa su una lettiga nel corridoio del pronto soccorso e ricoverato solo dopo che i parenti si sono rivolti alla polizia, ha ricevuto la diagnosi di una grave malattia e nessuna cura. E' deceduto 2 mesi dopo, tra lo stupore anche dei medici, che ancora non avevano ancora programmato le terapie opportune. 




Di esempi ne potremmo fare tanti ma ciò che sorprende di più è la totale assenza di dibattito sull'argomento e il disinteresse della politica.

L'aspetto più evidente riguardano i tempi di attesa dove un semplice cittadino per fare una visita od un accertamento diagnostico è praticamente costretto a rivolgersi al privato (che spesso è lo stesso dottore che lavora all'ospedale pubblico) con esborso di soldi che non tutti si possono permettere. Così è evidente che è impossibile fare prevenzione!

Alla fine diventa una guerra tra poveri con accuse reciproche tra persone che appare perfino grottesca.

Sta ad ognuno di noi prendersi cura della propria salute cercando di ripristinare il diritto alla salute di tutti che è venuto a mancare nel nostro paese promuovendo un dibattito su questo tema e spronando i politici ad occuparsene senza bandierine.


mercoledì 3 aprile 2024

Il regime bipopulista

 di Armando Dicone & Stefano Colagrossi


Qualcuno dei nostri amici ci potrebbe accusare di aver scelto un titolo forte.

Siamo sempre stati moderati nei toni e nel linguaggio, tranne quando qualcuno considera il nostro voto non “utile”. Perchè il nostro voto dovrebbe essere inferiore o non considerato rispetto al altri? La Costituzione non tutela tutti gli individui?

 

Sono decenni che i promotori della cosiddetta “seconda Repubblica” si inventano sistemi elettorali per escludere il voto dei centristi. Per loro conta solo lo scontro sinistra-destra, o di qua o di là. Un sistema voluto e studiato non per governare, ma per l’autoconservazione della sedicente classe dirigente.

 

L’ultimo episodio raccapricciante è emerso dal voto in Sardegna: 63.100 cittadini, che hanno scelto la coalizione Soru, sono senza rappresentanza in consiglio regionale. Una legge elettorale con soglia al 10% (per le coalizioni) è assolutamente contraria alle regole democratiche. Perché dobbiamo essere costretti a votare per la coalizione di destra o di sinistra?

Perché il nostro voto è utile solo se “porta acqua” al vostro finto mulino sapendo a priori che le nostre istanze non saranno prese in considerazione?

Domande che spingono tanti elettori a non recarsi alle urne, vedi il voto in Abruzzo.

Stessa dinamica che accade alle elezioni politiche. Il voto per una lista di centro vale meno di un voto dato ad una lista collegata alle coalizioni di destra e sinistra.

 

Chiedono “pieni poteri” con il 25% delle preferenze, vota un italiano su due, ma loro si dichiarano vincitori.

 

Per coprire la sempre più crescente disaffezione verso le urne (con l’astensione che in ogni tornata elettorale raggiunge la metà dei votanti) si sceglie il premierato e non la riconquista degli elettori. Premierato che azzera l’ampia e ricca cultura politica italiana per un noi contro loro e che accresce lo scontro sociale invece che valorizzarlo e rappacificarlo. Riforma che, per colmare la mancanza di sostegno degli elettori, tenterà di accentrare più poteri possibili tra il sempre meno entusiasmo degli elettori.

 

Tutto questo non è un regime?

 

Questo sistema bloccato si manifesta quotidianamente anche nei media, infatti, ogni giorno i protagonisti della “politica tribale” vanno in scena nei talk show.

Uno scontro perenne che si ripercuote anche nelle Istituzioni.

L’analfabetismo istituzionale tira per la giacchetta perfino il Presidente della Repubblica, costretto a ricordare a tutti i protagonisti politici e dell’informazione che: "Il Presidente della Repubblica non firma le leggi, ne firma la promulgazione, che è una cosa ben diversa. È quell'atto indispensabile per la pubblicazione ed entrata in vigore delle leggi, con cui il Presidente della Repubblica attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge, nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità”. Sergio Mattarella, 6 marzo 2024.

 

Questo sistema non funziona, superiamolo o il declino non si fermerà.

 

Grazie per l’attenzione.

lunedì 4 marzo 2024

Premierato: Si o No?

di Giovanni Battista Bruno

Gli amici di ForumalCentro mi hanno chiesto di scrivere in tema di premierato. E di farlo con lo sguardo del giurista, piuttosto che dalla prospettiva del tifoso. Anche in questa legislatura, infatti, si sta celebrando il rito, ormai trentennale, delle cosiddette riforme. È dunque il turno della “proposta Casellati”, che, come altre che l’hanno preceduta, viene presentata dai suoi fautori come lo “snake oil” capace di guarire ogni male della politica italiana, e dai suoi oppositori come l’anticamera dell’autocrazia.

Per mettere in prospettiva le questioni di fondo, sarebbe necessario inquadrare la proposta anzidetta nell’alveo delle altre, realizzate o tentate, nell’ultimo trentennio. A partire, dunque, dalla “madre di tutte le sciagure”, come ebbi modo di definire, in altro luogo ed in altro tempo, l’iniziativa referendaria di Mariotto Segni contro la legge elettorale proporzionale, finalizzata a favorire un “bipolarismo anglosassone” che esisteva solo nelle fantasie del comitato referendario. Tali iniziative muovono tutte, infatti, dall’errata prospettiva di rispondere ai problemi del sistema politico italiano, che sono di tipo istituzionale – e si riassumono essenzialmente nella crisi del modello partitico – con alchimie di tipo costituzionale. Una simile analisi, tuttavia, richiederebbe un saggio, sicché nella presente sede ci si concentrerà – seppure con il caveat di cui sopra – solo sull’ultima proposta di riforma: il cosiddetto premierato elettivo.

In via di approssimazione si può dire che la democrazia moderna si esplica principalmente attraverso due sistemi: quello parlamentare e quello presidenziale. Nel primo – il cui epigono è il sistema britannico – l’elettorato attivo elegge il Parlamento, che è il cuore della sovranità popolare, e quest’ultimo, tramite il meccanismo della “fiducia”, assegna la funzione esecutiva ad un governo (tipicamente, ma non necessariamente, formato da parlamentari “di maggioranza”). I provvedimenti del Governo devono essere approvati dal Parlamento e la fiducia può essere revocata, ed il governo sostituito, dalla maggioranza parlamentare. Nel secondo – il cui modello più riuscito è senz’altro il presidenzialismo americano – gli elettori eleggono, in tempi diversi, tanto il Parlamento – a cui è affidata solamente la funzione legislativa – quanto il capo del governo (il Presidente degli Stati Uniti), a cui spetta solo quella esecutiva. Il sistema è dunque a due cuori, se così si può dire, e si regge su un articolato meccanismo politico-istituzionale di pesi e contrappesi (checks and balances) che garantiscono l’indipendenza dell’azione governativa da quella legislativa e viceversa.

Il premierato – che ha conosciuto storicamente una sola, infelicissima, incarnazione in Israele – è, invece, un ibrido. Il Capo del Governo è eletto direttamente dal corpo elettorale (come in un sistema presidenziale), ma simultaneamente al Parlamento, da cui deve ricevere la fiducia (come in un sistema parlamentare). La fiducia, però, non può essere revocata (o, come prevede la proposta Casellati, può esserlo solo una volta, e a determinate condizioni), pena lo scioglimento contestuale delle Camere. La fiducia risulta, dunque, un passaggio pleonastico e la funzione di controllo del Parlamento è minata in radice dal ricatto che regge il suo rapporto con il Premier e che potremmo riassumere nella formula “se mi cacci vai a casa anche tu”. Sappiamo bene, infatti, quanto i parlamentari siano restii ad accorciare le legislature.

Il premierato raggiunge, dunque, il non facile obiettivo di violare tanto i principi del sistema parlamentare quanto quelli del sistema presidenziale, come aveva già spiegato vent’anni fa il Prof. Giovanni Sartori nell’articolo “Premierato Forte e Premierato Elettivo” (edito dalla Rivista Italiana di Scienza Politica, a. XXXIII, n. 2, agosto 2003), di cui consiglio la lettura a tutti coloro che sono interessati ad approfondire. Come già notava Sartori (non necessariamente un fautore del parlamentarismo o un difensore del proporzionalismo), con «premierato» si intende in effetti un sistema, né parlamentare né presidenziale, in cui il potere esecutivo “sovrasta il potere legislativo”, e in cui il governo domina sull’assemblea, pur avendone comunque bisogno per l’approvazione dei provvedimenti. Secondo i suoi fautori, da questo impianto deriverebbe un “governo forte”, e dunque efficace nella sua azione. Ciò risponderebbe all’esigenza di assicurare una democrazia “decidente” non paralizzata da veti incrociati e di riavvicinare alle istituzioni i cittadini, delusi dai “giochi di palazzo” che ne frusterebbero il voto. È davvero così? Mi pare il caso di indagare più a fondo.

Il primo assunto è che la “forza” del governo deriverebbe, da un lato, dall’investitura popolare del suo Capo e, dall’altro, dall’impossibilità sostanziale del Parlamento di rimuoverlo. L’investitura plebiscitaria e l’inamovibilità del Premier sarebbero, dunque, la garanzia dell’efficacia dell’azione di governo. C’è da chiedersi, però, se tale tesi sia fondata. A chi ritiene che il fallimento israeliano – dove l’esperimento del premierato fu cancellato dopo tre prove disastrose – sia insufficiente a condannare la formula, si può ricordare che un sistema assai simile vige nei grandi comuni, i cui Sindaci sono eletti direttamente dai cittadini contestualmente alle giunte e sono con esse in rapporto simul stabunt simul cadent (ossia, sono sostanzialmente inamovibili). L’esperienza ci insegna che dal combinato disposto di plebiscitarismo ed inamovibilità non discende affatto l’efficacia dell’azione amministrativa. Al contrario, abbiamo assistito a casi di conclamata incapacità del Sindaco a far funzionare la giunta (il riferimento a Virginia Raggi non è puramente casuale) che, proprio per l’effetto della inamovibilità del Primo Cittadino, hanno prodotto il protrarsi della paralisi amministrativa – ossia il contrario dell’efficacia amministrativa – per l’intera sindacatura. E Roma non è il solo caso. Se, dunque, molti concittadini hanno già sperimentato i guasti prodotti da un Sindaco incapace di governare, ma inamovibile, non è per nulla difficile immaginare quali disastri potrebbero causare al Paese cinque anni di paralisi dell’esecutivo, stretto nella morsa del duplice ricatto tra il Premier, che non può essere rimosso, e il Parlamento, che non può rimuoverlo, ma può impedirgli di governare. Per non dire che una cosa è amministrare (che è il compito dei Sindaci), altra è coordinare e decidere l’indirizzo politico generale, che è la funzione del Presidente del Consiglio.

È dunque dimostrato che il primo assunto è falso: l’inamovibilità del Primo Ministro non determina l’efficacia dell’azione di governo. In molti casi, anzi, produce una paralisi prolungata. Se, come diceva Sartori, il principale pregio del sistema parlamentare è la capacità di “autocurarsi” in corso d’opera, ed il principale pregio del sistema presidenziale è la presenza di un sistema di contrappesi senza co-gestione, il premierato fallisce sotto entrambi i profili.

Quanto, poi, al secondo punto portato dai fautori della riforma, ossia che favorirebbe la cosiddetta democrazia “decidente” contro il “trasformismo” parlamentare, se in tali argomenti si legge il riflesso dello storico cavallo di battaglia della destra italiana contro i ribaltoni parlamentari (e contro il Parlamento, in buona sostanza), non possono non notarsi anche significative incongruenze.

Si è detto che il premierato vorrebbe reggersi sul ricatto insito nella formula simul stabunt simul cadent (il prezzo della sfiducia al Premier è l’autoscioglimento delle Camere), corretto tuttavia dalla possibilità di sostituire il Premier, una sola volta, con altro candidato eletto con la medesima maggioranza. Ciò implica che il Premier eletto dal popolo sarebbe in verità sostituibile (entro certi limiti), mentre il vero Primo Ministro inamovibile sarebbe, a ben vedere, il “secondo”, ossia il Premier nominato dal Parlamento in sostituzione del Premier eletto. La successiva precisazione dei proponenti che l’incarico al secondo Premier potrebbe essere conferito solo in ipotesi di morte, dimissioni o impedimento permanente del primo non supera l’aporìa di un sistema che prevede lo scioglimento automatico delle Camere in caso, ad esempio, di dimissioni del secondo Premier (quello non eletto dal popolo), ma non necessariamente lo scioglimento delle Camere in caso di dimissioni del primo (quello munito di investitura popolare).

Né, a ben vedere, la soluzione offerta dalla proposta Casellati supererebbe davvero il trasformismo parlamentare. Il secondo Premier potrebbe, infatti, ben essere un parlamentare eletto con la maggioranza e poi passato in corso di legislatura nel gruppo misto o persino tra i banchi dell’opposizione, dato che la norma richiede solo che sia stato “candidato in collegamento con il presidente eletto”. Per non dire della assoluta, evidente inopportunità di “cristallizzare” l’indirizzo politico per l’intera legislatura, nonostante che esso sia per sua natura fluido e debba adattarsi a circostanze che, come abbiamo visto negli ultimi anni, possono anche essere davvero straordinarie.

Infine, ciò che non si è voluto capire negli ultimi trent’anni è che la “stabilità” del Governo è un falso problema, o comunque un problema mal posto. L’instabilità dei Governi italiani, infatti, dipende non già dalla mancanza di adeguati poteri in capo al Presidente del Consiglio di turno, ma dalla debolezza dei partiti e delle coalizioni che lo sostengono. Si confonde, in altre parole, l’effetto con la causa, dato che tutte le crisi di governo hanno avuto un’origine extraparlamentare. Se, dunque, le crisi di governo sono dipese esclusivamente da rotture tra i partiti di maggioranza è sul sistema dei partiti – ossia sulla questione istituzionale – che si dovrebbe, semmai, intervenire.

Il terzo argomento portato dai fautori della riforma costituzionale, ossia che la democrazia diretta riavvicinerebbe i cittadini alle istituzioni, ci interroga, invece, sulle ragioni della disaffezione verso la politica. Entra allora in gioco, di nuovo, la crisi della politica e dei partiti, che poco o nulla ha a che vedere con i dibattiti di natura costituzionale sulle forme di governo.

Il dato storico-statistico ci dice che il picco della partecipazione popolare si ebbe in questo Paese, per ragioni facilmente comprensibili, subito dopo la caduta del Fascismo, per poi scendere – lentamente, ma inesorabilmente – fino a raggiungere, negli ultimi anni, livelli francamente allarmanti. Sempre dai dati si evince anche che, contrariamente a quanto declamato dai “riformatori”, la disaffezione è decisamente aumentata nell’ultimo trentennio, nonostante (ma verrebbe da dire per effetto de) l’introduzione di leggi elettorali di segno maggioritario, dell’elezione diretta delle cariche amministrative e di altri stravolgimenti della nostra architettura costituzionale. Se ciò non prova necessariamente che la partecipazione sia più alta quando il sistema è più puramente parlamentare e la legge elettorale è di tipo proporzionale, certamente dimostra che non è vero il contrario e che, dunque, la disaffezione dalla politica non si cura con più massicce dosi di democrazia “diretta”. Non vi sono, insomma, dati empirici a supporto della tesi che l’elezione diretta del Premier “valorizzi il ruolo del corpo elettorale”. La democrazia vive di partecipazione e, dunque, della possibilità di incidere nei processi decisionali, e nelle candidature, dal basso. Essa ha avuto la massima adesione da parte dei cittadini attraverso i partiti, vale a dire strutture democratiche e popolari di discussione e decisione, in cui la coscienza politica si forma e si orienta, mentre registra scarso interesse quando le decisioni sono prese dall’alto, ed i cittadini sono messi di fronte a scelte semplificate e insoddisfacenti. Valga un esempio: se i coraggiosi amici centristi fossero chiamati a decidere tra due “Premier” come Giuseppe Conte e Matteo Salvini quanto forte sarebbe la tentazione di spendere la giornata al mare?

Il tasso di partecipazione dei cittadini alla politica, dunque, non dipende affatto dalla possibilità di eleggere direttamente un “Premier” scelto da organismi autoreferenziali nelle segrete stanze. Occorre, invece, disegnare una incisiva riforma dei partiti per via legislativa che li allinei alla funzione che l'articolo 49 della Costituzione assegna loro: consentire ai cittadini di concorrere a determinare la politica nazionale. I partiti, poi, dovrebbe riacquistare un’effettiva capacità di rappresentanza sociale. E la rappresentanza è tanto più effettiva se la volontà dei cittadini non è alterata da leggi elettorali che tendono a pesare i voti anziché contarli.

Un’ultima osservazione sul premierato elettivo riguarda l’impatto che esso avrebbe sulla Presidenza della Repubblica e sul suo ruolo di garanzia. A fronte del tentativo della maggioranza di negare che dalla proposta Casellati discenderebbe una compressione del ruolo del Presidente della Repubblica, Matteo Renzi, che pure non è contrario alla riforma Casellati (ne rivendica, anzi, la natura derivativa dalla sua proposta) e che non si sottrae mai alle discussioni urticanti, ha invece riconosciuto che si tratterebbe di un cambiamento profondo, eppure necessitato dallo spirito dei tempi. Su questo ritengo, tuttavia, che un supplemento di riflessione sarebbe opportuno. Negli ultimi trent’anni, in cui la crisi politico-istituzionale – e con essa quella sociale ed economica – si è approfondita, il Presidente della Repubblica non ha soltanto assunto un ruolo di crescente protagonismo nelle crisi di governo, ma ha anche rappresentato, fisicamente e istituzionalmente, l’unità nazionale in momenti di grande conflittualità. In anni in cui il sistema politico italiano accentua la spinta centrifuga e sembrano riaffiorare gli “opposti estremismi”, delegittimare e depotenziare il solo organo costituzionale che rappresenta l’unità del Paese pare una scelta non troppo lungimirante.

giovedì 29 febbraio 2024

Webinar "Economia e fisco al servizio del cittadino




Con il presente comunicato stampa tutta la squadra operativa di Forum al Centro comunica l’indizione del Webinar come riportato in oggetto, che si svolgerà mercoledì 13 marzo alle ore 18.30 sull’apposita piattaforma “Zoom”

Prenderanno parte alla serata:

 

Matteo Emanuele Maino: già membro di Forum al Centro, architetto ed imprenditore

On. Luigi Marattin: personaggio politico ad oggi Deputato del partito di centro Italia Viva

 

Nella serata si tratteranno le tematiche attinenti alla fiscalità nazionale ed alla comparazione economica rispetto ai flussi di mercato.

La visione politica dell’Onorevole Marattin sarà contemperata dagli interventi di Matteo Emanuele Maino ed insieme potranno fotografare in maniera reale e pedissequa la situazione nazionale odierna relazionandola ai temi in oggetto.

 

L’evento si svolge sulla piattaforma “Zoom”, sulla base di un’adesione volontaria per la quale, per motivi spettanti l’organizzazione, chiediamo la cortesia a tutti gli interessati di segnalare la propria presenza invaiando una mail all’indirizzo forumalcentro@gmail.com 

 

Il team di Forum al Centro. 

lunedì 19 febbraio 2024

Come funziona l'energia nucleare

di Massimiliano Panni

Nelle scorse settimane abbiamo spiegato perché l'energia nucleare sia fondamentale per l'Italia. Nell'invitarvi alla lettura del precedente articolo colgo l'occasione per approfondire il funzionamento di tale tecnologia al fine di chiarire il funzionamento specifico di una centrale nucleare. 

Per facilitarne l'immaginazione penso sia utile pensare a una pentola a pressione. Esattamente come una pentola a pressione sul fuoco produce vapore così anche il reattore nucleare ne produce. È proprio questo vapore che permette di creare energia, ma com'è possibile? Semplice, riprendiamo l'esempio della pentola a pressione; la reazione nucleare produce calore come il fornello per la pentola, il calore scalda l'acqua (o altri fluidi/gas in diverse versioni di reattori), che trasformandosi in vapore e viaggiando in un sistema secondario muove un enorme turbina (qui il principio è lo stesso dei mulini a vento), la quale, collegata ad un trasformatore, trasforma l'energia cinetica della rotazione delle pale in energia elettrica. Il tutto accade all'interno dell'edificio di contenimento che possiamo considerare la pentola stessa, la quale non permette a ciò che è contenuto di fuoriuscire. Il vapore dopo aver azionato la turbina viene rilasciato in atmosfera tramite le torri di raffreddamento, senza causare danni poiché parliamo di vapore acqueo. Ecco che così abbiamo prodotto energia elettrica senza CO2, almeno in fase di produzione. 

Quest'ultimo punto è fondamentale. Il nucleare è l'unica tecnologia che non produce anidride carbonica in fase di produzione ed è in grado di funzionare costantemente. Non solo, il suo capacity factor (la capacità di produrre energia in un determinato frangente di tempo) è tra le più alte in assoluto confrontando tutte le tecnologie a nostra disposizione. Ciò significa che una centrale nucleare produce tanto, per molto tempo e senza emissioni di gas fossile. 

Ma nello specifico come funziona una reazione nucleare? Nella nostra vita quotidiana siamo abituati a vedere reazioni chimiche in continuazione come il ferro esposto all'ossigeno che ossida o la combustione della benzina nella macchina, queste reazioni si basano sulle molecole mentre le reazioni nucleari si basano sugli atomi, legami più profondi e resistenti. Proprio grazie alla maggior resistenza data dalla connessione tra elettroni, protoni e neutroni è possibile, separando l'atomo, rilasciare grosse quantità di energia sotto forma di calore.

Il materiale migliore per caratteristiche radioattive è l'uranio, precisamente l'isotopo U235, raro in natura ma facilmente ottenibile "arricchendo" il normale uranio 238. Nell'edificio di contenimento viene immerso il materiale fissile all'interno di un mezzo (generalmente acqua) e gli si scaglia contro una certa quantità di neutroni, quest'ultimi colpiranno gli atomi di uranio, dividendoli, i quali a loro volta rilasceranno neutroni che colpiranno altri atomi di uranio, e così via ottenendo una reazione a catena. Lo scopo finale è proprio questo, ottenere una reazione nucleare a catena che si auto alimenta; ciò permette alla centrale di avere un alto capacity factor.  Il susseguirsi di reazioni è il fornello che scalda la nostra pentola e quindi ci fornisce energia ma come è possibile che tutte queste reazioni non portino a danneggiare la struttura, o peggio, ad un incidente? Com'è possibile che la pentola non bruci il suo contenuto? Grazie ad un moderatore della reazione. Come sul fornello abbiamo la possibilità di alzare e abbassare il fuoco anche in un reattore è possibile, grazie alle barre di contenimento. Queste sono aste che vengono calate dall'alto all'interno del reattore, sono fatte generalmente di boro o materiali simili che assorbono molto bene la radioattività. Queste barre servono come da freno per la reazione, inserendole nel combustibile è possibile diminuire il numero di reazioni fino a far fermare il reattore nel caso di problemi. Esistono decine di sistemi di sicurezza passivi e ridondanti all'interno di una centrale nucleare ma le barre di contenimento sono costantemente utilizzate per aumentare o abbassare la potenza del reattore in base alle necessità. 

Generalmente una volta all'anno il reattore viene spento per sostituire il combustibile esausto e per dare spazio alle procedure di manutenzione. Una centrale nucleare mediamente ha una vita di 40/60 anni ma spesso le licenze di utilizzo vengono allungate fino a 80 anni visto il basso grado di degrado e usura dei materiali non sostituibili.  

martedì 13 febbraio 2024

Umanesimo civile 5.0

Ebook di Armando Dicone


Cosa significa essere "centristi" nel XXI secolo? Come possiamo conciliare i valori dell'umanesimo con le sfide della società globale, della sostenibilità ambientale e dello sviluppo tecnologico? Quali sono le prospettive e le opportunità per l'Italia e l'Europa in un mondo sempre più complesso e interconnesso?


A queste e ad altre domande cerca di rispondere il nuovo ebook "Umanesimo civile 5.0". 
In questo breve ebook, propongono una riflessione, spero stimolante, sul concetto di umanesimo civile 5.0, inteso come un progetto di società che valorizza la persona, la comunità, la natura e la tecnologia, promuovendo libertà, emancipazione, solidarietà, responsabilità e partecipazione, in armonia con i valori europei e costituzionali.

L'ebook si rivolge a tutti coloro che vogliono approfondire e condividere una visione innovativa e positiva del futuro, basata su una concezione aperta e pluralista dell'Italia e dell'Europa.

"Umanesimo civile 5.0" è disponibile in formato digitale sul blog:

Vi aspetto sul blog e sui canali social per commentare e proporre le vostre idee.

Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!

giovedì 8 febbraio 2024

Ragazze di periferia

Tratto da Ragazze di periferia di Maria Carfagna 

Solo cinque anni fa Amadeus aprì la sua avventura a Sanremo con l’infausto plauso alla capacità di una donna di stare un passo indietro a un grande uomo; altri tempi, si dirà, una frase sventurata caduta in prescrizione. Com’è caduta in prescrizione la presenza femminile a Sanremo: in cinque anni si è passati dalle nove co-conduttrici della prima edizione alle tre di quest’ultima. Non ci resta che sperare in un podio diverso da quello dello scorso anno: su cinque finalisti, nessuna donna

 

Se sul piano dello spettacolo televisivo non c’è molto da sperare in termini di valorizzazione del talento femminile, sul fronte musicale qualcosa, almeno a Sanremo, si muove. Dopo quindici anni, Sanremo giovani è stato vinto da una donna, la rapper Clara, già vista in Mare Fuori. La favorita di Sanremo 2024 sembra essere Annalisa con il brano Sinceramente

Nel brano sanremese "Ragazze di periferia" (2005) di Anna Tatangelo sta tutto il disincanto di una donna che, per quanto giovane, ha capito di essere stata vittima di un raggiro non solo e non tanto da parte dell’uomo che l’ha abbandonata, ma da una società che non le ha dato gli strumenti per autodeterminarsi. E infatti lei, la ragazza di periferia, era caduta nel tranello del ragazzo di città, mica di un ragazzo del suo quartiere; illudendosi, quindi, che lui con il suo amore l’avrebbe elevata a uno status diverso, portandola via dai margini.

 

Niente di più sbagliato. Quando questo non avviene, lei realizza non tanto di essere stata ingannata da un uomo ma di essere stata indotta all’errore da quel sistema di valore che spinge le donne a trovare un uomo che le sistemi e le mantenga

giovedì 1 febbraio 2024

Webinar "La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese"




Con la presente tutta la squadra operativa di Forum al Centro intende comunicare che l’evento “La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese” si svolgerà venerdì 9 febbraio alle ore 19.

Prenderanno parte al dibattito:

Giulio Colecchia, facente parte di Forum al Centro e già segretario regionale CISL Puglia.

Raffaele Bonanni, Docente di diritto del lavoro, già segretario nazionale CISL.

l’Onorevole Giorgio Merlo di Tempi Nuovi – Popolari Uniti, attualmente sindaco di Pragelato.

 

Saranno trattati i più grandi macro-temi della questione lavorativa odierna e della concezione partecipativa dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Un valore costituzionale citato all’articolo 46 della Carta e che riprende il modello tedesco di cogestione.

Riflessioni su questo assetto che dovrebbe sapientemente intersecarsi con la contrattazione collettiva, il rispetto dei diritti sociali e le politiche giuslaboristiche di tutela, con uno sguardo alle direttive provenienti dall’ordinamento sovranazionale europeo.

Sarà poi ampiamente trattata la proposta di legge depositata dalla CISL sulla “partecipazione lavorativa”, da un’informativa che va oltre la trasparenza contrattuale fino alla possibilità dei lavoratori subordinati di entrare nei CDA.

 

L’intero evento si svolgerà sulla piattaforma digitale zoom, l’adesione è su base volontaria e gratuita.

Per motivazioni attinenti all’organizzazione è richiesta una email in cui si attesta la propria partecipazione all’indirizzo forumalcentro@gmail.com

 

Il team di Forum al Centro. 

lunedì 29 gennaio 2024

ELEZIONI EUROPEE - Ma le liti e le sfide tra i politici fanno bene alla voglia di partecipare degli elettori?

 di Giulio Colecchia

Ci stiamo avvicinando alle elezioni europee. Dal 6 al 9 giugno (in Italia l’8 ed il 9) milioni di cittadini dei 27 Paesi che la compongono saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Questa volta, più delle altre, considerando le sfide ed i drammatici problemi (soprattutto guerre !) che le sono di fronte, queste elezioni dovrebbero dare un’indicazione certa sul suo futuro, soprattutto partendo dalla volontà di rafforzare quel processo di coesione interna che dovrebbe farla diventare la Federazione degli Stati Uniti d’Europa. C’è da aspettarsi quindi, che nei singoli Paesi, e per quanto ci riguarda in Italia, il dibattito si concentri su temi (ne cito solo alcuni) quali la sicurezza interna e quella esterna alla UE, le politiche internazionali di alleanze e quelle di cooperazione, le modalità per consolidare democrazia, partecipazione e trasparenza nei singoli Stati in coerenza con i valori costitutivi della UE, l’economia e la diffusione dei processi di sviluppo e della qualità e sicurezza sul lavoro, i livelli minimi di benessere sociale, il bilancio comune ed il finanziamento per incentivare la  produttività nei vari settori.

La discussione, invece, sta lasciando sullo sfondo questi temi e si sta concentrando su aspetti esclusivamente elettorali, di alleanze per superare lo sbarramento del 4% previsto dalla legge elettorale e sulle presenze all’interno delle liste. Soprattutto qui da noi, in Italia, quello che sembra essere l’argomento principale è sapere “chi si candiderà”, tra i leader dei partiti. L’intero dibattito è oggi incentrato sul duello, stile OK CORAL, tra la Presidente del Consiglio ed una delle leader dell’opposizione, mentre, fuori da questa arena, continuano ad abbaiare rabbiosi perché esclusi dallo scontro diretto, altri leader di partiti di opposizione. L’interesse prevalente, ancora una volta, non è quello di spiegare, far capire agli elettori quali scelte i singoli partiti porteranno nell’agone europeo, con quali alleanze tra loro, né come pensano di incidere ed in che direzione orienteranno le politiche dell’Europa che verrà per rafforzare il processo di coesione e per portarla, finalmente ed a tutti i titoli, tra le potenze mondiali come potenza politica.

Questo atteggiamento di basso profilo della nostra classe politica aggraverà ancor più, rilevano accreditati sondaggisti, la già negativa partecipazione dei cittadini al voto, con la minacciosa prospettiva, questa volta, che a votare ci vada un solo elettore su due.

Questo pericoloso accentuarsi dell’allontanamento degli elettori dal voto avrebbe due conseguenze estremamente gravi per il futuro del Paese e per la stessa tenuta della democrazia.

Una rappresentanza del nostro Paese poco significativa, in termini di voti, avrebbe un peso politicamente marginale nei momenti decisivi della vita politica europea.

Pensiamo alla difesa comune dei confini e del territorio dell’Unione, alla integrazione dei sistemi sanitari nazionali e di quelli fiscali, ad una politica energetica sempre più autonoma e sostenibile, a quella industriale che indulga nei modelli partenariali delle reti produttive e nella competizione sulla qualità, alla difesa del patrimonio ambientale ed alla valorizzazione di quello culturale di ogni angolo del continente, alla diffusione ed al governo dei processi di innovazione tecnologica, ad un allineamento del funzionamento della giustizia su standard alti di trasparenza, democrazia e difesa delle libertà ed interessi di cittadini ed imprese. Pensiamo ad un governo del fenomeno migratorio alla luce delle necessità di lavoro da parte dei sistemi produttivi, di quelle della integrazione e dignitosa vivibilità per tutta la popolazione nei tessuti urbani piccoli e grandi, del rispetto della dignità umana, della sicurezza dalla presenza e lotta allei infiltrazioni criminali che usano e lucrano su questo epocale fenomeno.

Il danno che ci verrebbe sarebbe gravissimo nel momento in cui l’Europa dovesse decidere su questi argomenti, di grande impatto sulle vite dei suoi cittadini, facendo prevalere le spinte delle forze politiche più radicali, nazionaliste e populiste, capaci di più sicura mobilitazione, ma più resistenti nel considerare un allentamento dei vincoli sovranisti dei singoli Paesi a favore di una maggiore e generale distribuzione di responsabilità, per rafforzare e completare il processo verso gli Stati Uniti d’Europa.

Ma gli effetti di trascinamento negativi di questa approssimazione e leggerezza con cui le forze politiche si avvicinano all’appuntamento elettorale di giugno si ripercuoteranno ancor più sulla qualità, già oggi ai minimi termini, della politica nostrana.

L’allontanamento degli elettori, soprattutto nei giovani dalla politica, è già un evento conclamato che rischia, con queste elezioni, di aggravarsi ancor di più. La percezione diffusa è che il momento elettorale – tanto quello nazionale per la prevalenza di liste preconfezionate dalle segreterie nazionali e l’esclusione del voto di preferenza, quanto quelli regionali e locali, giocati e vinti prevalentemente da liste dei Presidenti o civiche – sia una questione che interessa ed appartiene solo ad una ristretta schiera di persone, professionisti della politica che ben si guardano dall’aprire le porte della discussione politica ai cittadini. La trasformazione dei partiti, da come furono disegnati nell’art. 49 della Costituzione, in “comitati elettorali” al servizio del leader di turno o del cacicco locale e, quindi, l’abbandono del metodo del confronto con iscritti, simpatizzanti o semplici cittadini, ha accentuato fenomeni di diffuso populismo e disaffezione dal voto.

Le elezioni europee potrebbero essere, quindi, un’occasione per fermare, almeno in questa occasione e considerata l’importanza di questo appuntamento, questa tendenza all’auto dissoluzione della politica partecipata, verso la quale si sta correndo, se le classi dirigenti dei partiti mandassero un messaggio chiaro e semplice al Paese, rinunciando alle liti da cortile ed alla priorità per la corsa alla poltrona a Strasburgo e puntando, invece, a confrontarsi sulle cose che intendono fare per rafforzare quella grande intuizione che fu di Spinelli, De Gasperi ed altri.

lunedì 22 gennaio 2024

L'innovazione tecnologica in agricoltura: sfide e opportunità per il futuro dell'Europa

di Matteo E. Maino


L'agricoltura è uno dei settori economici più importanti dell'Europa, fornendo cibo, lavoro e reddito a milioni di persone. Negli ultimi anni, l'innovazione tecnologica ha avuto un impatto sempre maggiore su questo settore, con la diffusione di nuove macchine, attrezzi e tecnologie che stanno trasformando le pratiche agricole.

Le sfide da affrontare 

Le innovazioni tecnologiche in agricoltura offrono numerosi benefici, tra cui una maggiore produttività, un'efficienza più elevata, una riduzione dell'impatto ambientale e un miglioramento della sicurezza alimentare. Tuttavia, queste tecnologie presentano anche alcune sfide, tra cui:

• I costi di investimento: le nuove tecnologie possono essere costose, il che può rappresentare un ostacolo per le piccole e medie imprese agricole.

• La necessità di competenze: l'utilizzo delle nuove tecnologie richiede competenze specifiche, che possono essere difficili da reperire in alcune aree.

• Gli impatti ambientali: alcune tecnologie, come la meccanizzazione intensiva, possono avere un impatto negativo sull'ambiente.

Le opportunità da cogliere

Nonostante le sfide, le innovazioni tecnologiche in agricoltura rappresentano un'opportunità importante per l'Europa. L'Unione Europea sta investendo in questo settore, con il programma Horizon Europe, che ha stanziato oltre 200 milioni di euro per la ricerca e l'innovazione in agricoltura.

Le innovazioni tecnologiche possono aiutare l'Europa a:

• Aumentare la produttività agricola: le nuove tecnologie possono aiutare gli agricoltori a produrre più cibo con meno risorse, contribuendo a soddisfare la domanda globale di cibo in crescita.

• Ridurre l'impatto ambientale dell'agricoltura: le nuove tecnologie possono aiutare a ridurre l'uso di pesticidi, fertilizzanti e acqua, contribuendo a proteggere l'ambiente.

• Migliorare la sostenibilità dell'agricoltura: le nuove tecnologie possono aiutare gli agricoltori a gestire in modo più sostenibile le risorse naturali, come il suolo e l’acqua.

L'agricoltura e il dissesto idrogeologico

Le scelte agricole possono avere un impatto significativo sul dissesto idrogeologico. La deforestazione, l'intensificazione delle pratiche agricole e l'uso di pesticidi e fertilizzanti possono contribuire all'erosione del suolo e a innalzare il rischio di inondazioni.

Le innovazioni tecnologiche possono aiutare a ridurre il rischio di dissesto idrogeologico, favorendo pratiche agricole sostenibili. Ad esempio, l'agricoltura conservativa, che prevede la rotazione delle colture e la copertura del suolo, può aiutare a proteggere il suolo dall'erosione.

Nuove macchine agricole

I progressi tecnologici stanno portando alla realizzazione di nuove macchine agricole più efficienti e sostenibili. Ad esempio, i trattori autonomi possono aiutare a ridurre i costi di manodopera e a migliorare la sicurezza sul lavoro. I droni possono essere utilizzati per monitorare le colture e applicare i trattamenti fitosanitari in modo più mirato.

Nuovi attrezzi agricoli

Anche gli attrezzi agricoli stanno diventando sempre più tecnologici. Ad esempio, le seminatrici di precisione possono aiutare a ridurre l'uso di semi e fertilizzanti. I sistemi di irrigazione a goccia possono aiutare a risparmiare acqua. Quindi grande importanza verrà riservata alla sostenibilità e contenimento dello spreco idrico, due obiettivi importanti per l'agricoltura europea; quindi nazionale.

Le innovazioni tecnologiche possono aiutare a raggiungere questi obiettivi, ad esempio:

• Utilizzando tecnologie per il recupero delle acque piovane.

• Adottando pratiche agricole che riducono la richiesta di acqua.

• Migliorando l'efficienza dei sistemi di irrigazione.


Conclusione

Le innovazioni tecnologiche in agricoltura rappresentano un'opportunità importante per l'Europa. Queste tecnologie possono aiutare l'Europa a soddisfare la domanda globale di cibo in crescita, a ridurre l'impatto ambientale dell'agricoltura e a migliorare la sostenibilità del settore.

Per sfruttare appieno le opportunità offerte dalle innovazioni tecnologiche, è necessario che l'Unione Europea continui a investire in ricerca e innovazione in agricoltura. È inoltre necessario che gli agricoltori siano adeguatamente supportati per l'adozione delle nuove tecnologie e nelle trasformazioni delle loro aziende agricole.

In particolare, è necessario:

• Offrire incentivi economici agli agricoltori che adottano le nuove tecnologie.

• Formare gli agricoltori sulle nuove tecnologie.

• Adeguare la legislazione europea e nazionale per favorire l'utilizzo delle nuove tecnologie da tutti gli stati membri.

• L’Italia deve guardare al cambiamento come un’opportunità produttiva, culturale e di sostenibilità. La crescita passa necessariamente dall’innovazione!

giovedì 18 gennaio 2024

L’esigenza di un Appello ai “liberi e forti” 2.0

di Salvatore Colletti

A partire dalle ultime elezioni politiche italiane, sovente nel dibattito politico, abbiamo sentito discutere di una ricostruzione del “centro”. Tuttavia, pur essendo sempre più vicino un importante impegno elettorale, che riguarda il rinnovo del Parlamento Europeo, ancora non è chiaro cosa intendano alcuni esponenti politici con questo termine.

In Italia, il centrismo ha avuto una chiara identità, che è quella legata al cristianesimo democratico.

Probabilmente, questo è potuto avvenire grazie al sistema proporzionale, che ha consentito alla Democrazia Cristiana di non essere soltanto alternativa alla sinistra, ma di svolgere anche un ruolo di “cerniera”. Infatti, dopo la fine della Dc e il successivo passaggio a una legge elettorale fortemente maggioritaria, questo spazio politico è diventato sempre più irrilevante.

A partire dal 1994 abbiamo visto l’affermarsi di nuovi partiti, sovente identificabili a singoli leader e privi di una cultura politica. Il malcontento che si è venuto a creare nel corso della cosiddetta “Seconda Repubblica” ha portato alla nascita di nuovi soggetti politici, interessati solo al consenso, frutto di queste delusioni e desideri del Paese.

Questo ha determinato un inevitabile disinteresse nei confronti della politica da parte dei cittadini, come testimoniato dal crescente astensionismo. Alle ultime elezioni politiche, più di tre italiani su dieci non si sono recati alle urne.

Dai disastri che il bipopulismo ha provocato (e continua a provocare), emerge sempre più la necessità di un cambiamento. Nel corso di questi anni, partiti di tutto l’arco parlamentare hanno raggiunto consensi elevati, per poi perderli nel corso della legislatura. È necessario che siano frutto delle idee, e non del leader più bravo a influenzare emotivamente le persone. Non è più tollerabile il modo di fare politica basato sulla demagogia. Bisogna (ri)tornare a una politica seria e coerente.

Abbiamo guardato con interesse la nascita del “Terzo Polo”, come possibile alternativa a sovranismi e populismi. Penso, però, che i limiti con la quale si è scontrato questo progetto sia legato a due elementi, che come ricordato più volte dall’Onorevole Paolo Cirino Pomicino sono fondamentali per un partito: un riferimento culturale preciso e una democrazia interna.

Sotto questo punto di vista, in un recente articolo, l’Onorevole Giorgio Merlo ha fatto notare come “il modello della Democrazia Cristiana resta un esempio di autentica e trasparente democrazia”, capace di valorizzare il pluralismo politico interno, con correnti chiamate a rappresentare i diversi pezzi della società civile. Un sistema caratterizzato da pesi e contrappesi, che impediva, seppur guidato da leader eminenti, accentramenti di potere, e consentiva agli elettori di riconoscersi nel partito, in quella cultura politica, e non nel segretario politico.

Il punto di forza di quei partiti non si esauriva soltanto nell’avere una grande quantità di notabili, dove un comune ideale, una tradizione, riuscisse a mettere insieme personalità molto diverse, ma anche nell’avere un radicamento nel territorio, con autorevoli rappresentanti, anche a livello locale.

Il risultato conseguito alle ultime consultazioni elettorali, da Azione e Italia Viva, testimonia l’esistenza di cittadini che si riconoscono in uno spazio politico popolare, europeista, riformista. Un contenitore apparentemente marginale ma che potrebbe diventare negli anni sempre più influente.

Come quel 18 gennaio 1919, che segnò la nascita del Partito Popolare Italiano, con il ritorno dei cattolici in politica e l’inizio dello sviluppo del cristianesimo democratico, oggi avvertiamo sempre più l’esigenza di un Appello ai “liberi e forti” 2.0, di una nuova “casa”, che sappia attualizzare quei valori e quella cultura politica alle sfide odierne.

lunedì 15 gennaio 2024

Perché l'Italia ha bisogno del nucleare

di Massimiliano Panni

La produzione di energia è la principale causa di produzione di inquinamento atmosferico. Gli obiettivi climatici che negli ultimi decenni sono diventati sempre più impellenti a causa della gravità e dell'evidenza antropologica dei cambiamenti ambientali mi porta a fare una riflessione. L'obiettivo datato 2030 che prevede la diminuzione di gas fossile del 55% rispetto ai livelli del 1990, oggi a 2024 iniziato, sembra un' utopia. Siamo arrivati circa al 30% ma solo considerando l'anno della pandemia (in cui evidentemente si consumo di meno viste le migliaia di aziende chiuse) mentre considerando il 2019 saremo alla riduzione rispetto al 1990 di poco più del 20%. Oggi l'Italia produce circa il 20% della sua energia da fonti rinnovabili. A primo impatto potrebbe anche sembrare che siamo sulla buona strada, ma andiamo più a fondo. l'Italia negli ultimi 14 anni (dal 2010 ad oggi) ha aumentato la sua produzione di energia da fonti rinnovabili appena del 6% sul totale dei consumi finali. Sarebbe fin troppo ottimistico e forse sciocco aspettarsi un picco improvviso da qui al 2030. In termini di potenza assoluta nello stesso periodo l'Italia non è riuscita nemmeno a potenziarsi (come sarebbe stato previsto dal "Green Deal" europeo) in quantità di energia rinnovabile prodotta. Se sul lato eolico un aumento di produzione negli ultimi anni c'è stato (+3Gw) il lato fotovoltaico lascia drammaticamente a desiderare; negli ultimi anni si è più che dimezzata la produzione se prendiamo gli ultimi dati al 2021(19 Gw nel 2010 e circa 7 nel 2021). Oggi il fotovoltaico è tornato a crescere circa del 10%, ancora pochissimo anche solo per recuperare la strada persa. (1* indagine Deutsche Welle) Faccio presente inoltre che oltre una certa quantità di energia prodotta da rinnovabili non si potrà praticamente andare; se per gli edifici residenziali e uffici pannelli ed eolico possono bastare, per alimentare grandi aziende (acciaierie, cementifici, fabbriche) e grandi infrastrutture come la rete ferroviaria non possono fisicamente bastare. La potenza richiesta da queste strutture è esageratamente grande per essere prodotta da fonti con così bassa densità energetica. Per avere un metro di paragone se si volesse fare andare tutta l'Italia a rinnovabili si dovrebbe ricoprire una superficie grande quanto una piccola regione italiana di pannelli solari. Con una veloce riflessione sulla quantità di batterie che servirebbero per le ore notturne e non ventose e la montagna di manutenzione per un parco grande quanto una regione italiana appare chiaro l'insensatezza di tutto ciò. Infatti a fronte di miliardi spesi in sussidi e finanziamenti pubblici l'Italia è oggi nella condizione di dover moltiplicare per quattro la velocità di produzione di parchi eolici e per sette (7!) quella di produzione di parchi fotovoltaici se volesse restare nei termini dell'accordo. ( 2* Secondo il Renowable report 2022 dell’energy & Strategy Group del Politecnico di Milano). Non mi dilungo sulla impossibilità di raggiungere queste cifre, evidentemente irraggiungibili a causa del poco fatto nello scorso periodo, ma propongo l'alternativa. Analizzata la situazione attuale italiana viene spontaneo chiedersi come possiamo rispettare gli impegni presi al 2030: probabilmente non potremo. Ecco perché ritengo che continuare a non considerare il nucleare attuale una possibile soluzione sia miope. L'energia nucleare di terza generazione avanzata si collocherebbe perfettamente nel piano energetico italiano. Di fatto per sostituire le fonti fossili in un paese che ha un grande consumo energetico necessitiamo di una fonte di energia costante e ovviamente a basso o nullo impatto ambientale. Nessuna fonte rinnovabile (se non il geotermico ma questo presenta altri notevoli problemi) soddisfa questi requisiti ma il nucleare si. Una nazione grande come l'Italia ha bisogno costantemente di energia (base load) e di coprire i picchi di richiesta quando si presentano. Ecco che in un mix rinnovabili+nucleare questi lavorerebbero in sintonia, compensando uno le mancanze dell'altro e potendo quindi fare a meno per la produzione di energia di fonti fossili. La stabilità di questo sistema permetterebbe sul lungo termine, una volta completato il parco reattori, di abbassare notevolmente le bollette. Mai come in questi anni pare la sicurezza energetica essere uno degli obiettivi più seri da seguire anche in questa ottica. È vero che il nucleare non sempre è veloce, economico e generalmente non è ben voluto dalla popolazione per motivazioni ideologiche o per paura, penso quindi che sarebbe necessaria un'opera di sensibilizzazione in ottica di poter implementare questa fonte nel più breve tempo possibile. Difficilmente otterremo gli obiettivi prefissati al 2030 ma abbiamo ancora molto tempo per raggiungere quelli datati 2050, se si considera ogni opzione . Il ritorno del nucleare in Italia sarà un tema che porteremo avanti qui su Forum al Centro perché siamo sicuri che sia necessario per continuare uno sviluppo della nostra nazione sostenibile, equo e carbon free. 

Fonti 
1*   https://www.openpolis.it/lavanzamento-dellitalia-rispetto-agli-obiettivi-del-green-deal/ 

2* https://www.energyup.tech/sostenibilita/energie-rinnovabili-quali-sono-vantaggi-e-stato-dellarte-in-italia-e-nel-mondo/