Nelle ultime
settimane, a causa della poca solidarietà di alcuni Paesi dell'UE (su
tutti i Paesi Bassi) nel fronteggiare la grave crisi economica causata
dal Coronavirus, alcuni ambienti sovranisti sono tornati a parlare di ItalExit,
ma cosa succederebbe veramente all'Italia se uscissimo dall'UE?
Il quadro che
avremmo di fronte non sarebbe assolutamente quello che ci viene disegnato dai
nazionalisti, infatti il nostro Paese avrebbe fin da subito problemi isolubili
tra cui: il quadro giuridico (visto che la gran parte delle norme in vigore
oggi derivano dalla normativa dell'Unione), l’inevitabile fuga dei
capitali (menzionata anche dal “piano B” di Paolo Savona),
fino alla possibilità più che concreta che l’Italia finisca in default.
Senza contare gli almeno 350-400 miliardi di euro che la nostra nazione
dovrebbe pagare immediatamente perché in enorme deficit nel Target 2, il
sistema di pagamenti delle banche centrali dell’eurozona. Verrebbero a crearsi
dunque, prospettive sudamericane che nessuno vorrebbe vivere sulla sua pelle.
Ma partiamo dall'inizio:
Con l'uscita
dall'euro, BankItalia, "libera" dai vincoli comunitari,
inizierebbe a stampare selvaggiamente la nuova moneta per sostenere il debito
pubblico. Con un primo importante risultato: ritorneremmo all’inflazione a
doppia cifra, quella che il popolo italiano ha già dovuto affrontare negli anni
Settanta e Ottanta (quando sorpassò il 21%). Il caro vita farebbe volare i
prezzi dei generi di consumo, schiacciando a terra il potere d’acquisto
degli italiani. I prezzi di generi alimentari e materie prime
importate andrebbero infatti alle stelle, come potrebbero agevolmente
raccontare i poveri venezuelani che pagano una sigaretta circa il 12% del
loro stipendio minimo mensile. Bisognerebbe anche considerare che i mutui
immobiliari, dovuti a banche che probabilmente verrebbero nazionalizzate,
per garantirne la sopravvivenza, esploderebbero per l’effetto inflazione, per
l’effetto tassi ma anche per l’effetto cambio: essi infatti, essendo
stati stipulati in euro, diventerebbero sempre più cari perché la nuova liretta
difficilmente riuscirebbe a mantenere il passo con la vecchia moneta unica,
resa forte dalla presenza della Germania nell’unione monetaria. Oltre a
questo, le bollette salirebbero vertiginosamente, visto che non
siamo autosufficienti dal punto di vista energetico e che comprare
elettricità e gas sui mercati esteri, con una lira svalutata, costerebbe un
capitale.
Il carovita
rappresenterebbe insomma una colossale tassa patrimoniale sul collo
degli italiani, soprattutto quelli con entrate fisse, facendo a pezzi il potere
d’acquisto di stipendi e pensioni. Sempre che gli stipendi esistano ancora,
poiché l’impennata dei costi di finanziamento delle aziende manderebbe al
tappeto gli investimenti e le imprese stesse, con il risultato di far
impennare la disoccupazione. Della nuova lira ipersvalutata, poi, le
imprese, dovrebbero fare i conti con la perdita del potere d’acquisto delle
famiglie italiane e la crisi dei consumi (ma anche con la necessità di adeguare
gli stipendi alla corsa dell’inflazione che sarebbe galoppante). E chiunque
desideri raccogliere capitali sui mercati internazionali a tassi accettabili,
probabilmente sposterà l’azienda all’estero.
Anche i titoli
di Stato perderebbero rapidamente valore, divorati dall’inflazione, mentre
ovviamente il debito pubblico italiano diventerebbe sempre più difficile da
sostenere (visto il crollo del PIL) e anche da collocare, con i mercati in
grado di imporre tassi d’interesse enormi per prestare soldi all’Italia della
nuova lira, che sarebbe dunque una valuta a livelli di fragilità simili a
quelli del Peso argentino. Diventeremmo insomma un Paese emergente,
povero e isolato, in balia delle grandi potenze straniere come USA e Cina
che potrebbero, senza troppi problemi, colonizzarci economicamente. È
(anche) per questi motivi che chi invoca l'uscita dell'Italia dall'UE non è
affatto un patriota, infatti chi ama questo Paese e vuole che torni a crescere,
ama follemente l'Europa unita.
Nessun commento:
Posta un commento