domenica 24 ottobre 2021

Il caso Carvajal

Di Leonardo Gaddini.

L'ex generale dei servizi segreti venezuelani, Hugo Armando Carvajal Barrios, ha recentemente iniziato a collaborare con la giustizia spagnola per evitare di fare la stessa fine del narco-imprenditore Alex Saab e dell'ex infermiera e tesoriera dell'ex presidente Hugo Chávez, entrambi estradati la settimana scorsa negli USA dove sono finiti in carcere. Tra le varie informazioni "El Pollo", com'è chiamato Carvajal per via della sua piccola testa e del collo lungo, ha rivelato il piano top secret ideato da Chavez e continuato da Nicolas Maduro del finanziamento illecito della narco-dittatura ai politici dell'estrema Sinistra in tutto il mondo. Tra i vari Partiti nominati da Carvajal ci sono anche PODEMOS (attualmente al governo in Spagna) e il MoVimento 5 Stelle

Carvajal è stato colui che ha costruito tutta la struttura di intelligence del regime venezuelano. Questa struttura continua a funzionare ancora oggi e si occupa soprattutto della persecuzione e repressione degli oppositori. Nel 2008, il Dipartimento del Tesoro americano sanzionò Carvajal per avere avuto rapporti con i terroristi delle Forze Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e con alcuni gruppi di narcotrafficanti per la consegna di droghe e di armi. Successivamente nel 2020, è stato accusato dalla Procura di New York ed è scappato in Spagna, ammettendo di avere più fiducia nelle istituzioni spagnole che in quelle venezuelane. Questo dopo avere perso il sostegno del regime di Maduro, nonostante fosse ancora deputato dell’Assemblea Nazionale per il Partito di governo, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV).

Il Pollo ha descritto nel dettaglio alle massime autorità iberiche i 3 modus operandi che lui stesso attivava per inviare denaro sotto copertura ai Partiti politici alleati del chavismo, tra cui il M5S (per ora unico Partito italiano nominato nell'inchiesta). La tecnica più usata da Carvajal consisteva nell'usare borse diplomatiche venezuelane piene di contanti, adoperando consolati e ambasciate come meri distributori di cash. Carvajal ha snocciolato l'altro ieri nel suo scritto depositato agli atti i nomi di coloro che hanno ricevuto finanziamenti illeciti da Caracas. In primis: l'argentino Néstor Kirchner (ex presidente) in Argentina, Evo Morales (ex presidente) in Bolivia, Lula (ex presidente e candidato alle prossime elezioni presidenziali) in Brasile, Fernando Lugo (ex presidente e vescovo) in Paraguay, Ollanta Humala (ex presidente) in Perù, Manuel Zelaya (ex presidente) in Honduras, Gustavo Petro (ex sindaco di Bogotà) in Colombia, oltre che al Partito di Pablo Iglesias (ex vice Primo Ministro spagnolo) e al Partito di Grillo

Già nel giugno 2020 il giornale spagnolo ABC pubblicava anche lo stralcio di un documento dei servizi segreti venezuelani che avrebbe dimostrato il passaggio di 3,5 milioni, in contanti, consegnato a Gianroberto Casaleggio attraverso il console venezuelano a Milano. "Tutti questi sono stati a me segnalati come destinatari di denaro inviato dal governo venezuelano", ha espressamente detto Carvajal nel documento riservato inviato al giudice Manuel García-Castellón. Altri modus operandi per inviare denaro erano quello di spedire milioni in contanti in Spagna attraverso società di facciata oppure usare come bancomat di smistamento l'ambasciata cubana in Venezuela. Carvajal ha assicurato che il Venezuela finanzia illegalmente movimenti politici filochavisti nel mondo da almeno 15 anni e, secondo l'ex capo dell'Intelligence di Chávez, l'ultima consegna di cui sono a conoscenza risale ai primi di luglio del 2017. A chi non è dato sapere. Per ora... 

L'inchiesta è appena iniziata, ma quel che è sicuro è che da parte della presidenza della Repubblica venezuelana esiste dal 2002 un grande interesse a tutto ciò che in Europa, vecchio partito o movimento nascente che sia, possa essere coltivato come sponda amica. Finché era vivo Hugo Chávez questo delicato lavoro di ricerca di potenziali alleati europei da finanziare attraverso la PDVSA (l’industria pubblica del greggio venezuelano). Da lì Chávez curò i legami con la Sinistra francese, italiana, con quella londinese e, più tardi, con il movimento spagnolo PODEMOS.

Un esempio di ciò è il caso di Roberto Viciano e di Rubén Martínez, 2 professori dell'Università di Valencia e membri di PODEMOS, che hanno fondato il Centro di Studi Politici e Sociali (CEPS), una fondazione culturale che serviva per fare da tramite tra il Venezuela e la Spagna per far piovere su PODEMOS milioni di petrodollari chavisti. Il CEPS aprì un ufficio a Caracas e autorizzò una cittadina spagnola a rappresentarlo di fronte alle istituzioni locali, si aprì così un’autostrada per finanziamenti spostati a vario titolo dalle casse chaviste a quelle della fondazione. Tra il 2004 e il 2012 i soldi arrivati dalle casse pubbliche venezuelane alla CEPS furono 3,2 milioni di dollari, trasferiti in 52 operazioni diverse. Negli ultimi anni nonostante la grave crisi economica del Paese il CEPS ha continuato a ricevere soldi e risulta essere stata una delle 3 fondazioni culturali alle quali il CENCOEX, l'ente autorizzato dallo Stato a distribuire dollari, ha accordato elargizioni di denaro. L’ultimo pagamento risalirebbe al Natale del 2014 di 60.000 dollari.

I 5 Stelle, invece, sono sempre stati molto vicini al regime di Maduro. L’Italia infatti, proprio per la contrarietà grillina, è tra i paesi europei (gli altri sono solo Slovacchia e Cipro) che nel febbraio 2019 non ha riconosciuto come presidente ad interim l'oppositore Juan Guaidó. Una decisione arrivata al tempo del governo giallo-verde. Andando più indietro nel tempo, nel 2017, una delegazione del M5S guidata da Manlio Di Stefano (ex sottosegretario agli Affari Esteri), si recò in viaggio nel paese sudamericano in occasione del quarto anniversario della morte di Chavez. I Pentastellati poi presentarono alla Camera, in una risoluzione del 2017 dove denunciavano l'indebita ingerenza da parte della comunità internazionale in Venezuela.

Il caso di Carvajal sottolinea la natura criminale dell’organizzazione che da anni detiene il potere con la forza in Venezuela. Con l’arresto di personaggi del vertice del PSUV la dittatura risulta oggi meno forti davanti agli occhi della comunità e della giustizia internazionale. Queste persone attraverso le loro confessioni hanno fatto conoscere al mondo le attività e i legami del regime di Maduro con gruppi di narcotrafficanti, ma anche il finanziamento a un progetto geopolitico, che include l’America latina e parte dell’Europa, inclusi Partiti politici che in alcuni casi fanno parte attualmente dei governi di diversi Paesi. Questo scenario è un’opportunità per aprire indagini, che ovviamente riguardano ogni Paese, e lascia in chiaro un disegno internazionale, finanziato dal Venezuela verso diversi leader di Partiti politici che ambiscono al potere per imporre un progetto politico che ha come obiettivo minare le Democrazie occidentali.

lunedì 18 ottobre 2021

Brevi riflessioni sul ruolo della donna nella Chiesa cattolica #DonnealCentro #Sinodo #ForumalCentro

 di Valeria Frezza


Un tema molto importante nell’insegnamento sociale della Chiesa e su cui Papa Francesco ha particolarmente insistito riguarda i pregiudizi e le discriminazioni contro le donne. Papa Francesco ha invitato tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà, e in particolare i cattolici, a rendere effettiva l' uguaglianza delle donne. 
L’insegnamento della Chiesa promuove il ruolo delle donne all’interno della famiglia, ma sottolinea anche l’urgenza del loro contributo nella Chiesa stessa e nella vita pubblica, fondandosi sul testo della Genesi dove si parla dell’uomo e della donna come immagini di Dio (Gen 1,27) e riferendosi alla prassi profetica di Gesù nel suo rapportarsi alle donne e ci chiede di modificare i nostri atteggiamenti e di lavorare per cambiare le strutture. Il piano originale di Dio era che uomini e donne vivessero in un amore fatto di rispetto, di mutuo scambio e di eguaglianza. Esiste una reale urgenza di trasferire dalla teoria alla pratica queste idee, non solo al di fuori ma all’interno della Chiesa.
 La discriminazione contro le donne si manifesta in molti modi: discriminate nella possibilità di accedere ai mezzi educativi, costrette a portare pesi sproporzionati nella vita familiare, pagate con salari inferiori, sottoposte a lavori precari che negano persino i diritti fondamentali (come la possibilità di usufruire della maternità, del congedo parentale e del part-time), talvolta obbligate a lasciare il lavoro quando diventano madri, limitate nell’accesso a posizioni di rilievo, sottoposte alla violenza (fisica e psicologica, di esclusione) esercitata contro coloro che non accettano di adeguarsi al sistema perché lo ritengono ingiusto o anche per altri motivi.

Fonte: sito dei gesuiti

lunedì 11 ottobre 2021

Webinar di ForumalCentro - "L'economia sociale di mercato in Italia"



Venerdì 15 ottobre, dalle ore 18,30, su Zoom, si terrà il webinar organizzato da "Forum al Centro", dal titolo "l'economia sociale di mercato in Italia".

 

Ne discuteremo insieme al prof. Flavio Felice, docente di Scienze Umanistiche, Sociali e della Formazione, presso l'università degli studi del Molise.

 

Dopo la relazione iniziale di Felice, ci sarà spazio per interventi e domande.

 

L'incontro è libero e gratuito e basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com per ricevere il link al webinar.

venerdì 8 ottobre 2021

Femminicidio: primi segnali

 di Valeria Frezza

Il 2021 conta finora 83 femminicidi, quasi tutti avvenuti in ambito familiare. 

Il 13 settembre Giuseppina Di Luca è stata uccisa ad Agnosine (BS) dal marito che non accettava la separazione e lo stesso giorno, in provincia di Cosenza, la 42enne Sonia Lattari è stata uccisa dal marito dopo una lite. Il 15 settembre Alessandra Zorzin, 21enne con una figlia di 2 anni viene uccisa dall'uomo che frequentava mentre in provincia di Padova, Dorjana Cerqueni il 17 settembre viene uccisa da un uomo che non vedeva da tempo, il 2 ottobre a Velletri un ex carabiniere uccide la moglie Lucia Massimo senza apparente motivo di dissidio. Il 5 ottobre Carmen De Giorgi viene uccisa a Pinerolo per aver rifiutato le avances di un uomo.

Cosa c'è prima di un femminicidio? Conosciamo meglio i campanelli di allarme che siamo portati ad ignorare o a sottovalutare. Eppure questi segnali potrebbero addirittura salvarci da una situazione potenzialmente pericolosa. La violenza psicologica, infatti, è sottovalutata non solo a livello giuridico ma anche sociale e psicologico. Di violenza psicologica ci si ammala e si muore anche. Il suo scopo è il controllo dell'altro ponendo la donna in una condizione di subordinazione e danneggiandone gravemente il benessere psicologico ed emotivo. La violenza psicologica non riporta segni evidenti di riconoscimento come quella fisica e sessuale ed è più difficile da riconoscere per la vittima stessa e per gli osservatori esterni e, se questi comportamenti sono mossi nei confronti delle donne, vengono ancora culturalmente accettati. La persona che esercita la violenza considera la donna come una persona priva di valore, inferiore, priva di dignità, aspirazioni, bisogni, insomma un oggetto a proprio uso e consumo. La vittima non è più in grado di riconoscere il proprio valore come essere umano, nè è in grado di riconoscere gli abusi come tali. La forma di isolamento che viene creata attraverso questi comportamenti e la responsabilità che la vittima sente nei confronti dell'aggressore, della famiglia, ecc., è un fattore chiave per mantenere il controllo su di lei.

I comportamenti violenti più adottati sono: la svalorizzazione, il ricatto emotivo, la colpevolizzazione, derisione, critiche ed offese. Viene negata autonomia e personalità, viene messa in dubbio la capacità di giudizio. Generalmente la violenza scatta quando la vittima si oppone al condizionamento. 

La dipendenza affettiva e materiale rende la vittima più vulnerabile nei confronti di un eventuale maltrattamento. Un altro aspetto importante è quando sono presenti continui episodi di violenza ed aggressività perché probabilmente c'è una incapacità nella gestione della propria rabbia. Ad ogni minimo contrattempo, ritardo o problema lui si arrabbia e la colpa è della donna. C'è sempre qualcosa che sbaglia, una parola di troppo, un gesto.

Parlarne con qualcuno e rompere l'isolamento è il primo passo per ritrovare la forza ed è l'inizio della trasformazione. Ognuno può decidere che è il momento di liberarsi e di tornare a vivere.

Fonte: Osservatorio Violenza

giovedì 7 ottobre 2021

Un nuovo progetto politico per l'Italia di domani. La "domanda" c'è

 di Armando Dicone

Le ultime elezioni comunali hanno confermato, se ancora non fosse chiaro a qualcuno, che la "domanda politica" per un nuovo progetto centrale, esiste ed è sempre più forte.

 

Vi prego di osservare il dato, delle ultime amministrative, delle liste civiche, del raggruppamento liberale, dei popolari e dei moderati del centro destra nel seguente grafico di "BiDiMedia":



Non userò il segno + per sommare le percentuali delle liste citate, mi limito solo a sottolineare che il bacino elettorale del 20% esiste e solo chi non ha visione politica può non notarlo.

Questa percentuale è confermata anche nelle urne, basta guardare il risultato della lista centrale di Calenda, nella capitale d'Italia.


Nel voto per le liste civiche, è difficilissimo entrare nel merito per comprendere a quali famiglie politiche facciano riferimento, ma è fuori dubbio che si tratta di donne e uomini, che non si riconoscono nell'attuale sistema politico e che una buona parte, attenda un nuovo progetto fuori dal bi-populismo.

 

Stesso ragionamento vale per chi decide, da anni, di non votare. Penso che molti di loro (noi) non vadano a votare, perché nessuna coalizione rappresenti gli ideali e i valori degli astensionisti. I numeri dell'astensionismo hanno raggiunto un limite oltre il quale è davvero pericoloso addentrarsi, siamo in una fase di grave malattia per la nostra democrazia.

Se perfino alle comunali, elezioni nelle quali si scelgono i rappresentanti delle comunità, votano 1 su 2 cittadini, vuol dire che la politica ha perso ogni credibilità e ogni senso di appartenenza.

 

Affluenza nelle 5 grandi città al voto:

Roma     48,83%

Milano    47,69%

Bologna 51,87%

Torino    48,06%

Napoli   47,19%

Italia      54,70%

 

A questi dati vorrei aggiungere un sondaggio Ipsos, post elezioni europee del 2019:




Il 42% degli astenuti si dichiarava di centro, cioè la maggioranza di chi si astiene si autocolloca al centro dello scacchiere politico.

 

Altro dato da studiare, è la differenza tra le piccole percentuali che hanno ottenuto le liste di centro, apparentate a sinistra o destra, e l'ottimo risultato ottenuto da liste autonome come nella capitale o in altre città importanti.

 

Tre errori che non dobbiamo commettere, a mio modesto parere, sono:

 

-non dobbiamo partire da "chi sarà il capo";

-non dobbiamo partire da "con chi ci alleeremo";

-non dobbiamo partire con frettolose denominazioni "centro riformista", "centro popolare", "centro liberale", "centro moderato". Tali definizioni rischiano di escludere chi non si riconosce nella singola cultura politica. Almeno in questa fase embrionale, parlerei di "centro partecipato", perché senza la partecipazione della base, rischierebbe di essere l'ennesima operazione di vertice.

 

Dopo tutti questi numeri, penso sia evidente che la domanda ci sia e che sia notevole, in politica però le semplici addizioni non fanno mai la somma sperata. Ci vuole coraggio, pazienza, determinazione e umiltà.

 

Da oggi e per i prossimi mesi, dobbiamo far crescere sempre più la voglia di guardare con fiducia al futuro della nostra area culturale e politica. Convinti che il centrismo (se "ismo" non piace o pensate che "centro" sia una brutta parola, ne troviamo un'altra insieme) non è opportunismo tattico, non è solo la "terza via" tra sinistra e destra, ma è soprattutto un'idea di futuro, che parte da valori e ideali, per arrivare ad un programma concreto e realizzabile per il nostro Paese, dobbiamo continuare a unire chi si riconosce nelle culture politiche del riformismo, del liberalismo e del popolarismo.

Senza etichette, senza barriere ideologiche, senza personalismi adolescenziali, ma mettendo insieme idee, progetti e proposte concrete per il nostro Paese.

 

Grazie per l'attenzione e se lo vorrete, aspetto i vostri commenti in rete sui nostro social @ForumalCentro o via email a forumalcentro@gmail.com

domenica 3 ottobre 2021

Lituania: il confine della libertà

Di Leonardo Gaddini

Mentre i grandi Stati dell'UE sono divisi su quali rapporti avere con Paesi autoritari e dittatoriali, come Russia e Cina, in Lituania il governo non ha dubbi: serve la linea dura. Questa linea politica non è una novità di Ingrida Šimonytė, attuale primo ministro, leader di una coalizione di centrodestra e del partito Unione della Patria - Democratici Cristiani di Lituania (TS-LKD), ma la continuazione della politica estera che il piccolo Paese baltico porta avanti da quando ottenne l'indipendenza dall'URSS, nonostante le pressioni e le minacce che ancora oggi subisce. 

L’ultimo contrasto in ordine di tempo è con Pechino: il governo ha annunciato di voler aprire un'ambasciata a Taiwan. Sarà il primo Paese dell’Europa centro-orientale ad aprire un ufficio di rappresentanza taiwanese sul proprio territorio, al quale sarà presto seguita l’apertura di uno lituano a Taiwan, Stato non riconosciuto dalla Cina. E l’ufficio che verrà aperto a Vilnius userà proprio il nome “Taiwan” per autodefinirsi al posto di “Taipei”, nome con cui la Cina lo identifica. Per questo la reazione cinese non si è fatta attendere: oltre al richiamo dell’ambasciatore Shen Zhifei da Vilnius, Pechino ha pubblicato un duro e lungo comunicato in cui esorta la parte lituana a rettificare immediatamente la sua decisione, definendola "sbagliata", e ad adottare misure concrete per riparare il danno e a non proseguire su questa strada. Questo perchè il governo di Xi Jinping non accetta che gli Stati riconoscano l'isola come “Repubblica di Cina” o con il nome geografico “Taiwan”, visto che la dittatura la considera una "sua provincia ribelle". La Lituania però non sembra aver preso sul serio le minacce cinesi: il ministero degli Esteri lituano ha dichiarato in una nota che sono determinati a perseguire legami reciprocamente vantaggiosi con Taiwan.

Lituania e Cina sono ai ferri corti da tempo. Lo scorso maggio il governo di Šimonytė, infatti ha aggiunto la Lituania alla lista di Paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti che hanno definito come genocidio il brutale trattamento cinese riservato alla minoranza musulmana degli Uiguri nella regione dello Xinjiang (https://forumalcentroblog.blogspot.com/2021/03/uiguri-storia-di-un-genocidio.html?m=1). Tra questi Paesi purtroppo non risulta l'Italia, che pur condannando la violazione dei diritti umani nella regione non ha usato la parola genocidio. Poi una risoluzione del Seimas, il Parlamento lituano, ha chiesto ufficialmente all’Onu di far luce sui campi di internamento cinesi e all’Unione Europea di rivedere i rapporti con Pechino, spingendosi addirittura a invitare la Cina ad abolire la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong e a far entrare osservatori internazionali in Tibet per poter avviare colloqui con il suo leader spirituale, il Dalai Lama

Oltre a questo il governo lituano è stato uno dei primi Paesi europei a bandire Huawei dalla sua rete 5G, raccomandando ai suoi cittadini di non acquistare nuovi telefoni cinesi e di sbarazzarsi di quelli già acquistati il più velocemente possibile. La Lituania è stata anche il primo Paese a decidere di uscire dalla Conferenza dei 17+1, formalmente uno strumento di dialogo della Cina con i Paesi dell’Europa orientale nell’ambito della Via della Seta ma in realtà si tratta di una clava che Pechino usa per controllarli a livello economico (come insegna il caso Montenegro).

Diversa invece la storia con la Russia. Da anni la Lituania è uno dei primi Paesi in cui vengono ospitati dissidenti russi, come Yevgeni Titov, che ha trovato rifugio nel Paese dopo aver raccontato il progetto di annessione della Crimea da parte di Mosca. Dal 2014 più di 30 dissidenti russi hanno ricevuto asilo politico nello stato baltico, insieme a uno status di protezione speciale per i familiari, mentre altre decine hanno trovato protezione nelle vicine Estonia e Lettonia. Un trattamento speciale che Mosca non ha certamente gradito. Questo atteggiamento contro la Russia accomuna tutti i Paesi baltici che da anni temono un possibile attacco russo e che per questo hanno intensificato i controlli al confine con Kalinigrad, città russa nel mar Baltico vista come una possibile testa di ponte per un attacco. Al pattugliamento del confine partecipa anche l’UE tramite Frontex.

Altro confine che desta preoccupazione a Vilnius è quello con la Bielorussia. Il flusso di migranti da Minsk fosse una chiara strategia di Lukashenka, fatta soprattutto per ritorsione nei confronti della politica sanzionatoria messa in atto nei confronti della Bielorussia da parte dell'UE. La Bielorussia ha fatto arrivare centinaia di persone in aereo dalla Turchia e dall’Iraq, promettendo loro che non sarebbero state fermate alla frontiera con la Lituania, che dista circa 150km da Minsk. Da luglio a oggi migliaia di persone provenienti soprattutto dall'Asia, cercano di entrare irregolarmente in Lituania. Per questa ragione il Parlamento lituano ha approvato una legge che restringe moltissimo il diritto all’asilo, permettendo alle autorità lituane di trattenere migranti e richiedenti asilo per 6 mesi dopo il loro arrivo e di espellerli subito in caso di respingimento della richiesta, senza aspettare il processo di appello e anche la costruzione di un muro alto 4m e lungo 500km con il filo spinato, dal costo complessivo di 152 milioni di euro, che però ha suscitato le critiche di Bruxelles. La ragione di tale manovra orchestrata da Minsk è chiara: in Lituania sono presenti anche moltissimi dissidenti bielorussi, tra cui la leader dell’opposizione e legittima presidente Tsikhanouskaya, e Vilnius ha affermato che è pronta a riconoscere un governo bielorusso in esilio nel caso in cui venisse insediato. Un vero e proprio schiaffo alla tirannide di Lukashenka. 

Da allora la Lituania e la Polonia (altro Paese al confine con la Bielorussia che sta subendo la crisi migratoria) hanno chiesto l'intervento dell'UE e di imporre sanzioni a chi agevola il flusso irregolare nei Paesi, dichiarazione firmata anche da Lettonia ed Estonia. La Polonia ha anche dichiarato lo stato di emergenza e ha iniziato a costruire un muro al confine con la Bielorussia. Intanto che la "guerra ibrida" di Lukashenka va avanti, a rimetterci sono i più deboli. A oggi migliaia di persone, tra cui diversi minori, sono bloccate al confine senza riparo, cibo o assistenza medica, costrette a bere dai corsi d’acqua della foresta, secondo molte testimonianze diverse persone non riuscivano neanche a stare in piedi per quanto fossero debilitati e 3 persone sono morte di stenti. Da questa ennesima drammatica crisi l'UE ne potrà uscire solo se unita, creando finalmente una politica europea comune per gestire l'immigrazione in modo efficiente, garantendo anche la tutela dei diritti umani dei rifugiati e che finalmente superi il Trattato di Dublino.