sabato 30 dicembre 2023

La trasformazione della forma partito in Italia: verso una nuova politica

 di Arch. Matteo E. Maino


L'Italia è un paese in cui la politica è sempre stata dominata da grandi partiti, con un forte leader carismatico. Negli ultimi anni, però, questa forma di partito è andata progressivamente in crisi, a causa di una serie di fattori, tra cui la frammentazione del voto, la crisi della rappresentanza e l'avvento dei social media.

La crisi dei partiti tradizionali ha aperto la strada a nuove esperienze, come quella dei Cinque Stelle. I Cinque Stelle hanno saputo catalizzare il malcontento popolare, proponendo una politica alternativa, basata sulla partecipazione diretta dei cittadini.

Tuttavia, l'esperienza dei Cinque Stelle è stata disastrosa, dimostrando che la decrescita felice non è un modello sostenibile e la partecipazione diretta è una chimera.

La crisi dei partiti tradizionali e l'esperienza dei Cinque Stelle hanno portato alla consapevolezza che è necessario un nuovo modello di politica in Italia. Un modello che sia in grado di superare la visione leaderistica, di favorire la partecipazione dal basso e di rifondare la politica sui territori.

Guardo con favore, in questa direzione, ai Riformatori di Centro; anche se molto critico nella loro attuale configurazione formale e operativa.

Partecipazione dal basso

La partecipazione dal basso è fondamentale per una nuova politica. I cittadini devono essere protagonisti della vita politica, non semplici spettatori. Per questo è necessario che i partiti siano in grado di coinvolgere i cittadini in tutte le fasi del processo decisionale. Il cittadino deve tornare a sentirsi rappresentato da chi coglie i suoi problemi reali e concreti, che sia in grado di adottare strategie future concrete e partecipate.

La partecipazione dal basso può avvenire attraverso diversi canali, come le assemblee, i referendum e i gruppi di lavoro. È importante che i partiti siano in grado di utilizzare questi canali in modo efficace e organizzato, per coinvolgere i cittadini e raccogliere le loro idee, per poi sviluppare con profitto le azioni politiche a supporto delle soluzioni tangibili dalla popolazione.


Rifondazione sui territori

La politica deve essere rifondata sui territori. I partiti devono essere radicati sul territorio, in modo da rappresentare le esigenze dei cittadini. Per questo è necessario che i partiti abbiano una forte presenza nei comuni, nelle province e nelle regioni.

La rifondazione sui territori può avvenire attraverso la formazione di nuove generazioni di politici, che siano nati e cresciuti nel territorio che rappresentano. È importante che questi politici siano in grado di comprendere le esigenze dei cittadini e di trovare soluzioni concrete ai loro problemi.


I social media

I social media possono essere un potente strumento per la partecipazione politica.

Tuttavia, è importante utilizzare i social media in modo consapevole, evitando di farsi distrarre dai contenuti superficiali e populisti.

I social media possono essere utilizzati per informare i cittadini, per raccogliere le loro idee e per promuovere la partecipazione politica. È importante che i partiti utilizzino i social media in modo responsabile, per promuovere un dibattito politico serio e costruttivo.


Conclusione

La trasformazione della forma partito in Italia è un processo in atto. È un processo che richiede tempo e impegno, ma che è necessario per costruire una nuova politica, più partecipativa, più radicata sui territori e più efficace.

I partiti che sapranno cogliere questa sfida saranno quelli che avranno successo nelle prossime elezioni. I partiti che continueranno a perseverare nella visione leaderistica e nella decrescita felice saranno destinati all'oblio.

mercoledì 20 dicembre 2023

Violenza contro le donne: possesso e sottomissione #DonnealCentro

 di Valeria Frezza

Nel Global Gender Gap del World Economic Forum, sui Paesi con comportamenti virtuosi nei confronti delle donne, l’Italia è precipitata al 79mo posto.  

Dopo decenni di battaglie femministe, siamo ancora costretti a constatare la visione del corpo della donna come oggetto da possedere, da sottomettere, da usare, figlia della peggiore cultura arcaica e patriarcale. 

Guardare indietro aiuta a capire da dove veniamo, per comprendere quanto c’è ancora da fare. In Italia il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, insieme al matrimonio riparatore. La violenza sessuale è divenuta reato contro la persona solo da 27 anni, nel 1996. Prima, con il Codice Rocco di epoca fascista, lo stupro era un reato contro la morale. Siamo un Paese che ancora non accetta la cultura del rispetto, della parità, dei diritti delle donne? 

La violenza di genere ha una matrice culturale, anche perché si fonda sulla disparità. La cultura patriarcale, dalla notte dei tempi, attribuisce un ruolo minoritario alla donna che a sua volta introietta, anche inconsapevolmente, una serie di comportamenti per aderire o avvicinarsi a quel modello.

A tal punto che le donne, a volte, non percepiscono alcune avvisaglie. La gelosia, il possesso, il dover chiedere permesso ad un uomo, l’isolamento che i violenti attuano verso le compagne, sono indicatori di una relazione non paritaria, di una pericolosa limitazione della libertà e dei diritti. Se un uomo controlla o gestisce il denaro e le spese della propria compagna – in Italia una donna su tre non ha un conto corrente personale - è violenza economica, una via facile di accesso per quella psicologica e fisica. Per una serie di ragioni, chi subisce violenza – che sia economica, psicologica, fisica, digitale - non sempre la riconosce subito come tale. Se molto è stato fatto soprattutto dalle associazioni sul campo, c’è ancora strada da fare sull’emersione della violenza di genere.

In Italia le leggi contro la violenza sulle donne ci sono, non è tanto un problema di norme, a detta delle esperte che da anni lavorano sul campo. Il disegno di legge Roccella è stato approvato in via definitiva e implementa il Codice Rosso del 2019 e tutte le precedenti norme contro la violenza di genere.

Il cambiamento culturale comincia dal ruolo della donna nella società.

Se una donna non lavora e non ha un conto corrente personale ha ancora più rischi di subire la violenza. In Italia c’è quindi da affrontare il problema della grave disoccupazione femminile, soprattutto al Sud. Inoltre, i ruoli sociali e familiari e i lavori di cura non retribuiti in Italia sono ancora in maniera sproporzionata (oltre il 70%) a carico delle donne.

Ancora oggi la sottovalutazione della violenza è frequente, ecco perché dovrebbe esserci un impegno anche economico perché si avvii una formazione sistemica nella società, indispensabile per un reale cambiamento. Dare competenze agli attori della rete antiviolenza ma anche all’interno di qualsiasi categoria professionale, in qualunque luogo abitato da donne, anche per le violenze invisibili, basti pensare alle molestie sul lavoro, all'abuso di potere sulle donne in istituzioni civili e religiose che, spesso, pur partecipando al dibattito ed anche quando si mostrano sensibili al tema, di fatto non fanno nulla per cambiare loro.

Si fanno nuove leggi ma non si va ad attaccare realmente la questione culturale stanziando fondi per la formazione.

Le vittime di violenza spesso, ancora oggi, non vengono credute: per le donne con disabilità è quasi la norma perché si pensa, a causa di altri pregiudizi e stereotipi, che non abbiano una sessualità. Come nel caso di Maria, violentata tre volte al giorno dai 7 ai 27 anni. Nessuno le credeva, perfino la sua psicologa sosteneva fossero fantasie.

Le donne ospitate nei Centri antiviolenza, una volta garantita la sicurezza, tornano a lavorare, i bambini sono inseriti a scuola, frequentano scuole e centri estivi. “L’idea non è quella di nascondersi ma di riappropriarsi della propria libertà e della propria vita

Mediamente l’ospitalità in una Casa rifugio dura sei mesi e le donne che non hanno un’autonomia economica, dunque vivono in una situazione di ricatto, non vengono solo messe in protezione ma accompagnate in un percorso di indipendenza.  

Il messaggio positivo è che dalla violenza se ne può uscire ma è fondamentale chiedere aiuto. 

Liberamente tratto dall'articolo di Ansa di Enrica Di Battista 

lunedì 11 dicembre 2023

#NOPremierato, Sì partecipazione. Le regole del gioco per ricostruire la Politica.

 di Armando Dicone



Il governo Meloni-Salvini ha approvato in Consiglio dei ministri il disegno di legge costituzionale, che prevede l'introduzione dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri da parte degli elettori, con un premio di maggioranza del 55% dei seggi parlamentari al partito o alla coalizione del candidato premier.

Questa riforma, presentata come una misura per rafforzare la stabilità dei governi, nasconde in realtà la volontà di affermare la logica del populismo, la “madre delle riforme” demagogiche, che mina i principi fondamentali della nostra democrazia e della nostra Costituzione.

 

L'elezione diretta del PdC viola il principio della separazione dei poteri, che è alla base di ogni ordinamento democratico. Il PdC, infatti, sarebbe un capo politico dotato di poteri straordinari, in grado di condizionare l'attività legislativa e di controllare la maggioranza parlamentare. Il Parlamento, a sua volta, perderebbe il suo ruolo di organo rappresentativo della sovranità popolare e di controllo sull'esecutivo, riducendosi a una camera di registrazione delle volontà del premier.

Il Presidente della Repubblica, infine, vedrebbe limitate le sue funzioni di garante della Costituzione e dell'unità nazionale, in quanto non potrebbe più nominare il presidente del Consiglio, né esercitare il potere di veto sui decreti-legge.

 

In secondo luogo, il premierato non assicura una maggiore rappresentatività, ma al contrario favorisce la personalizzazione e la polarizzazione della politica, rendendo più difficile il dialogo e il confronto tra le diverse forze politiche e sociali.

 

In terzo luogo, il premierato viola il principio della rappresentanza proporzionale, che è previsto dall'articolo 48 della Costituzione, secondo cui "il voto è personale ed eguale, libero e segreto". Il principio della rappresentanza proporzionale, infatti, implica che il Parlamento sia composto da deputati e senatori che riflettano la pluralità e la diversità delle opinioni e degli interessi dei cittadini. Il premierato, invece, prevede un sistema elettorale maggioritario, in cui il partito o la coalizione del premier ottiene il 55% dei seggi parlamentari, a prescindere dalla percentuale di voti effettivamente ottenuta. Questo sistema, però, non assicura una maggiore governabilità, ma al contrario produce una distorsione della volontà popolare, penalizzando le minoranze e favorendo il bipolarismo.

 

Per queste ragioni, penso che il premierato sia una riforma inaccettabile e pericolosa, che va respinta con forza da tutti i cittadini e da tutte le forze politiche che credono nella democrazia e nella Costituzione.

 

È necessario rilanciare il dibattito su altre riforme istituzionali, che siano in grado di rafforzare la qualità della democrazia e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, nel rispetto dei principi costituzionali:

 

-La democrazia interna nei partiti, che è prevista dall'articolo 49 della Costituzione, secondo cui "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". La democrazia interna nei partiti, infatti, implica che i partiti siano organizzati in modo trasparente e partecipativo, garantendo ai propri iscritti il diritto di eleggere i propri dirigenti e candidati, di esprimere le proprie opinioni e proposte, di controllare l'attività dei propri rappresentanti. La democrazia interna nei partiti, inoltre, favorisce il rinnovamento della classe politica, la responsabilizzazione dei leader, la rappresentanza delle diverse sensibilità.

 

-Una nuova legge elettorale di tipo proporzionale con il voto di preferenza, che sia in grado di assicurare una rappresentanza fedele e proporzionale delle diverse forze politiche e delle diverse componenti sociali e territoriali del Paese. Il voto di preferenza, inoltre, permette agli elettori di scegliere non solo il partito, ma anche i candidati da eleggere, evitando il fenomeno delle liste bloccate imposte dalle segreterie dei partiti. Una legge elettorale proporzionale con il voto di preferenza, infine, consente di evitare le distorsioni e le ingiustizie del sistema maggioritario, che premia il partito o la coalizione più votata, a scapito delle minoranze.

 

-Una riforma per la sfiducia costruttiva come in Germania, che consiste nell'impossibilità da parte del Parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia a un nuovo governo. In questo modo, si evita che un governo, nonostante abbia perso la maggioranza parlamentare, possa continuare a rimanere in carica nel caso in cui le forze politiche in Parlamento non riescano ad accordarsi per formare un nuovo governo. Una riforma per la sfiducia costruttiva, inoltre, impedisce che il governo possa essere fatto cadere da una minoranza di parlamentari, che potrebbero essere tentati di cambiare schieramento per motivi opportunistici o clientelari.

 

Queste sono le riforme necessarie e urgenti per migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni, per ricostruire la Politica e per rafforzare la nostra democrazia.

 

Grazie per l'attenzione.

 

Armando Dicone