giovedì 7 maggio 2020

La (vera) politica è davvero morta?

di Temistocle Gravina

Nell’interessante articolo del 28 aprile di Armando Dicone, su questo blog sugli estremismi in politica (che vi invito a leggere qui 

https://forumalcentroblog.blogspot.com/2020/04/per-salvarci-dagli-estremismi.html?m=1

si mette in evidenza come la politica italiana sia malata; e che la si continui a curare non cercando di capire di cosa soffra, ma lasciando che coloro che dovrebbero controllare la sua temperatura e il suo stato di salute, cioè gli elettori, se ne vadano abbandonando la malata a sé stessa (leggi astensionismo).

Scrive Dicone: “Per superare gli estremismi servirebbe, a mio parere, un nuovo pensiero forte, una nuova idea culturale e politica di centrismo. Non un'operazione di semplice addizione di classe dirigente, ma un percorso dal basso di partecipazione attiva, di impegno e responsabilità civica, una strada lunga ma efficace.

Con l’idea di ricominciare dal basso, dalle fondamenta, stiamo cominciando a convivere in questa pandemia. Ogni giorno diciamo: andrà tutto bene… quando ricominceremo faremo così… e frasi simili che spesso diventano quasi un esorcismo laico.

Io mi sono chiesto: cosa significa ricominciare in modo nuovo in politica?

Anzitutto capire cosa è la politica.

A me piace la definizione di politica come arte di governare lo stato.

È interessante notare infatti come nella lingua greca (da cui nasce il concetto) dalla stessa radice (polis = città) vengano fuori sia la parola politica che la parola cittadino (polites). Come a dire che la politica è fatta dai cittadini che lavorano insieme per il bene della città, cioè degli altri cittadini.

Questo concetto me ne richiama un altro: se si lavora insieme per il bene di tutti, vuol dire che materialmente ognuno deve mettere al servizio di tutti ciò che sa fare. (Politica quindi è anche fare un buon pane, essere un bravo medico, saper riparare al meglio un’auto.) E che nessuno debba considerarsi al di sopra degli altri, ma deve capire che se sta bene uno, stanno bene tutti.

Esattamente l’opposto di altre concezioni della politica in cui il bene di uno stato si ha quando una classe ‘si libera dalle catene’ e arriva a governare contro i precedenti governatori / oppressori. Oppure quando una classe che si ritiene superiore, non per meriti sul campo ma per blasone di nascita, si sente in diritto di dettare le condizioni della vita politica.

Fatta questa premessa, non posso che andare al pensiero, ma soprattutto alla vita personale e pubblica, di un personaggio che ha fatto la politica di quella prima Repubblica forse troppo velocemente archiviata e ripudiata per coprire colpe di gente che si è riciclata nella storia italiana di oggi dove continua a fare danni.

Parlo naturalmente di Aldo Moro, che con Enrico Berlinguer stava per dare una spallata ad un vecchio modo di vivere la politica e lo stato, un modo fatto di contrapposizioni rigide e, come evidenzia l’articolo di Dicone, di quegli estremismi velenosi e deleteri che ci portiamo ancora sul groppone.

Per Moro esiste un principio che deve governare ogni cosa, dalla vita personale a quella vita sociale, alla politica: la persona. Per lo statista pugliese solo il mettere al centro di ogni cosa la persona umana può essere il perno, il cardine su cui costruire un cambiamento duraturo e solido in ogni ambito.

Ecco: solo se si fa della persona (nella sua unicità e totalità) e del suo bene l’obiettivo primario di ogni scelta politica, si fa un’azione concreta e costruttiva, perché la società è costituita da persone e se crescono le persone, cresce la società.

Far maturare l’essere umano in ogni sua sfaccettatura vuol dire rispondere anche al principio della creazione (o, per chi non è credente, dell’evoluzione): se ogni tassello della storia è robusto e sano, tutto il puzzle viene bene, armonico e splendente.

La politica allora deve rispondere ai bisogni della persona umana: il diritto ad avere di che nutrirsi e di come procurarsi il cibo anche attraverso il lavoro, come potersi curare, crescere intellettualmente e spiritualmente attraverso la cultura, creare una famiglia come centro e volano della vita sociale, potersi esprimere liberamente e partecipare alla vita pubblica per decidere insieme agli altri sul bene di tutti.

La fortuna del nostro popolo è quello di aver avuto in dono, da coloro sono si seduti in parlamento dopo la II guerra mondiale, la Costituzione, cioè la carta di intenti con cui (ri)costruire l’Italia dopo la dittatura fascista. Essa contiene esattamente quei principi elencati sopra; perciò saremo pienamente italiani quando ci sforzeremo di raggiungere quegli obiettivi.

Fare una politica nuova oggi, così, ha già i binari entro cui agire e gli strumenti democratici per farlo.

Una politica che parta dall’uomo e arrivi all’uomo deve avere un movimento politico e culturale che si pone al centro tra gli opposti estremismi.

In conclusione, per riprendere un pensiero di Gianni Baget Bozzo sulla politica di Moro, essere un partito/movimento di centro non significa pensare ad una linea retta e al suo punto centrale, che evocherebbe comunque due estremi(smi) e punti via via più distanti l’uno dall’altro; bensì ad un cerchio, in cui il centrale avrebbe la stessa distanza da ogni altro punto della circonferenza e potrebbe così fare da mediatore tra tutti questi ultimi.


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