sabato 28 marzo 2020

Primo anniversario di #ForumalCentro: come cambiare rotta

di Valeria Frezza

Il leaderismo sta marcando la nostra storia politica più recente. Leader e leaderismo sono due realtà diverse. Berlinguer era un leader, come anche Longo, ma anche come Moro o Zaccagnini. Erano leader, uomini d’idee, ma anche grandi mediatori delle varie anime di un partito ed erano riconosciuti dalle pluralità interna come elementi di coesione e di innovazione. Nel leaderismo attuale, il leader non rappresenta la visione della volontà di un popolo, o di una parte di questo, bensì è lui che chiama, in un modo o in un altro, intorno a sé un popolo (o semplicemente una sua claque) e lo fa diventare il suo popolo. Oggi i leader sono icone pop. Possiamo dire che il leaderismo sta al leader come il litigio sta al confronto. In questo contesto ogni leader deve distinguersi dagli altri estremizzando le idee, le posizioni e, soprattutto, contrapponendosi duramente agli altri leader. Inevitabilmente si procede verso un’acutizzazione delle conflittualità, a un continuo scontro di tifoserie, a un tutti contro tutti. Stiamo assistendo a un innalzamento globale della temperatura sociale, sempre più spesso anche sovranazionale, e ci avviciniamo rapidamente verso il punto di non ritorno.
Quali strumenti abbiamo per imporre un cambiamento di rotta? I partiti, che sono (e dovrebbero tornare ad essere) il collegamento fra i cittadini e lo Stato, i primi custodi della democrazia. Oggi, però, i partiti sono scatole vuote di idee ma piene di ambizioni e propaganda. A ben vedere, la crisi della politica non è determinata dalla perdita di ruolo dei partiti, ma dal loro svilimento in funzione d’interessi privati o di lobbies. La nostra è una crisi di qualità della classe politica e dei criteri di selezione adottati. Se i partiti s’indeboliscono lo Stato non ha più ancoraggi con la società e diventa un’entità a sé stante, autoreferenziante. Di sicuro non è questa l’Italia che vogliamo lasciare ai nostri figli. Le donne in particolare hanno bisogno di fiducia nel futuro, di vedere l’oggi come radice del domani. Qui rientra la cultura di un’ecologica della politica, perché, la realtà, è un ecosistema dove tutto è collegato. Questo deve essere l’assunto base e consapevolezza per ogni nostra azione. Occorre saper ricercare l’armonia, l’interesse comune, il rispetto, la consapevolezza.
Nell’impresa il lavoro deve tornare ad avere una propria dignità. Questo deve essere chiaro se vogliamo creare il domani che i nostri figli devono pretendere da noi. 


Fonte L'argine

Come ottenere pieni poteri per decreto

di Leonardo Gaddini

La prossima settimana l'Országgyűlés (il parlamento ungherese) prenderà in considerazione un disegno di legge di emergenza che conferirebbe al primo ministro Viktor Orbán il potere di governare con decreto, senza una chiara data di interruzione (oltre i 90 giorni previsti dalla Costituzione ungherese).
Il disegno di legge cerca di estendere lo stato di emergenza dichiarato all'inizio di questo mese sul coronavirus e potrebbe anche vedere persone incarcerate per aver diffuso informazioni ritenute "false notizie". Il governo ha descritto la mossa come una risposta necessaria alle sfide senza precedenti poste dalla pandemia di coronavirus, ma i critici hanno immediatamente etichettato la legislazione come pericolosamente aperta e vulnerabile agli abusi. L'attuale bozza da, praticamente, carta bianca al Governo per un tempo indeterminato. Quattro ONG, incluso il Comitato di Helsinki per i Diritti Umani, hanno invitato il Governo a fornire una clausola di tramonto alle misure di emergenza e di rendere il decreto in linea con i principi costituzionali.

La nuova legge introdurrebbe anche pene detentive fino a cinque anni per chiunque pubblicizzi false informazioni che allarmano il pubblico o che rendono vani gli sforzi del governo per proteggere le persone. Essa ha dunque causato inquietudine tra i giornalisti indipendenti, che sono stati spesso accusati dal governo e dalla sua fedele scuderia di mezzi di informazione, di diffondere "fake news" contro il Governo. Il portavoce di Orbán, Zoltán Kovács ha affermato che la mancanza di una chiara data di fine è dovuta nel caso in cui i parlamentari si fossero ammalati troppo perché il parlamento potesse riunirsi.

Parte dell'allarme è dovuta al record del governo di Orbán che nell'ultimo decennio ha approvato norme anti-democratiche, che hanno eroso lo Stato di Diritto. Gli ultimi 10 anni hanno fornito ampie prove del fatto che il governo ungherese sfrutta e abusa delle opportunità per indebolire le istituzioni che fungono da controllo del suo potere. Gwendoline Delbos-Corfield, un eurodeputato francese, Presidente della Commissione del Parlamento Europeo per la tutela dello Stato di Diritto, ha avvertito che l'Ungheria ha intrapreso una svolta pericolosa rispetto agli standard democratici e che con questo decreto, Orbán riceverebbe carta bianca per rafforzare ulteriormente se stesso e togliere, ai cittadini ungheresi, i loro diritti sotto gli auspici di affrontare la crisi della coronavirus.

Perchè il decreto passi ci vuole una maggioranza dei quattro quinti del Parlamento, ma i partiti dell'opposizione hanno affermato che non sosterranno la legislazione se non verrà modificata. Tuttavia questo vale solo per la prossima, Orbán, quindi potrebbe aspettare una settimana e approvarlo con una maggioranza dei due terzi, che il suo partito Fidesz comanda in parlamento (con l'alleato KDNP).

Intanto Orbán, per aumentare il proprio consenso, da la colpa del coronavirus agli immigrati. Molti di essi sono stati stipati in una piccola area senza macherina, contro ogni minimo standard sanitario previsto. Infine, la parte più criticata del decreto, consiste nel fatto che il governo potrà anche, "se necessario", chiudere il Parlamento attraverso un semplice decreto, senza alcuna votazione da parte del Parlamento stesso. Questo è l'ennesimo esempio del perchè bisogna sempre diffidare da chiunque invochi i pieni poteri, in quanto detentore del consenso del popolo, perchè è così che muore la Democrazia sotto scroscianti applausi.

venerdì 27 marzo 2020

Spunti sulla democrazia diretta

di Giulio Colecchia

Credo che quello della "democrazia diretta" sia un problema di attualità, ma crea un modello di cittadinanza apparentemente coinvolto ma, alla fine, sicuramente soggetto a quelle forze - economiche, finanziarie, culturali o soltanto proprietarie di reti strutturali - che riescono a fare sintesi e presentare, certamente secondo schemi di loro interesse, progetti e modelli di governo. Direi che il cittadino è più fragile se non esercita i propri diritti, anche solo quelli di opinione, in forma associata piuttosto che singola. Pur convenendo senza riserve con la necessità di un rapporto ad personam con i cittadini per ascoltarli meglio e di più ed orientarli al di fuori dello stagno del populismo, credo che la democrazia nel nostro Paese vada messa al sicuro rafforzando quei gruppi intermedi che siano capaci appunto di ascoltarli e di fare quella sintesi, pur necessaria per diventare proposta di governo, sulla base di valori etici ed umani e non sugli interessi del mercato. Si chiamino partiti, sindacati, cooperative, libere associazioni o in altro modo non importa. Ciò che conta è che sappiano mettere davvero al centro la persona e tutto ciò che attiene la sua sfera di sentimenti. Importante, quindi, è invogliare la cittadinanza attiva e la rappresentanza politica ad esprimersi attraverso forme aggregate in cui la responsabilità comune faccia crescere anche quella individuale, rifuggendo dalla convinzione che partecipare possa bastare qualche Tweet o qualche commento su Facebook. Il contributo al lavoro di costruzione di questa società più partecipata e meglio rappresentata, che attraverso #ForumalCentro stiamo tutti perseguendo, mi sembra ben impostato e, dall'allargamento della platea di partecipanti e dall'ampiezza multiculturale e valoriale che esprime, credo che riuscirà con successo a diventare un tassello importante di una società migliore.

sabato 21 marzo 2020

Io non ci sto! Così non si fa!!

dell' On. Erminia Mazzoni

L'annunciato intervento finanziario dell'UE non è dignitoso. Il 26 Marzo il #ParlamentoEuropeo voterà, con procedura d'urgenza, la proposta di iniziativa della #CE .
Solo una ratifica, la procedura non prevede la possibilità di proporre emendamenti. L'#UE ha perso una buona occasione per dimostrare la propria utilità e il Governo italiano per dar segno della propria autorevolezza. L'UE prima ha sottovalutato il #Covid19 trattandolo quasi come l'ennesimo caso di superficialità/impreparazione dell’Italia, consentendo agli altri paesi di chiudere al nostro invece di blindare l'UE dall’esterno e ora propone un intervento "economico" senza investire un centesimo. I 37 miliardi di cui parla il documento non sono risorse nuove, ma somme già dovute: 29 miliardi le anticipazioni 2020 sulla programmazione e 8miliardi le restituzioni sull'anticipazione 2019, che vengono solo rinviate a fine programmazione.
La parte di intervento positiva:
1.autorizzazione a finanziare con FESR e FSE i costi sostenuti dalle PMI, a partire dal 1 Febbraio, per fronteggiare le emergenze Covid19
2.ammissibilità nell'obiettivo ricerca e innovazione dei costi sostenuti per acquisto di prodotti e servizi in relazione all'emergenza sanitaria
3.ammissibilità della riprogrammazione dei POR e PON trasferendo risorse da una priorità ad un'altra, nel limite dell'8% dello stanziamento, senza dover chiedere il parere della CE
L’unica e sola richiesta italiana??? Coprire con FSE costi di personale e presidi sanitari, formalmente non accolta perché già ammessa dai regolamenti, invocando la "causa di forza maggiore". Questo vorrà dire difficoltà interpretative e conseguenti rallentamenti.
Potevano essere proposti interventi, sempre a saldo zero per il bilancio UE che avrebbero però consentito di mettere in circolazione una maggiore liquidità, solo rendendo meno complesse e burocratiche alcune procedure.
La gestione di questa emergenza drammatica non può prescindere dalla previsione di misure economiche in grado di prevedere gli scenari del dopo emergenza

venerdì 20 marzo 2020

#distantimauniti

di Valeria Frezza


Ho raccolto qui di seguito le testimonianze che si riscontrano in Italia in seguito ai provvedimenti di quarantena presi a causa del Coronavirus.
Le famiglie sono chiuse in casa con i bambini e gli animali domestici e non hanno la possibilità di portarli a fare quattro passi all'aperto e spesso vivono in ambienti abbastanza ristretti.
Il  lavoro in smartworking (quando è possibile, con una connessione internet estremamente lenta e apparecchi informatici condivisi da più persone, famiglie che a volte hanno solo il cellulare (niente PC, scanner e stampante)
Didattica a distanza: se i genitori lavorano fuori casa dono costretti a portare i bimbi dai nonni per motivi lavorativi? Difficoltà nell'utilizzo delle tecnologie, condivisione degli strumenti informatici, rete internet inadeguata, uso di tante piattaforme, simultaneità, sovraccarico di compiti da svolgere a casa, la didattica a distanza spesso si riduce ai compiti a casa, soprattutto per i bimbi più piccoli e per la disabilità spesso il metodo non è troppo inclusivo e i bambini rischiano di rimanere indietro.
Indicazioni non sempre chiare e spesso tutto viene lasciato alla buona volontà e alle competenze informatiche di insegnanti, genitori e nonni.
Le aziende e le  piccole imprese sono state costrette a chiudere e si trovano a dover affrontare le spese e le difficoltà familiari quotidiane. Stanziare dei soldi non è sufficiente (e potrebbere essere anche di più) e oltretutto i tempi burocratici sono spesso molto lunghi.
A me risulta che i vouchers baby sitter e l'assistenza domiciliare per i disabili (e gli anziani) siano inutilizzabili perchè c'è da evitare il contagio e quindi le famiglie finiscono per farne a meno ma con molta difficoltà.
Le associazioni di volontariato si trovano spesso con le mani legate nell'aiuto ai più deboli a causa dei divieti e delle chiusure.
Anziani rinchiusi in istituto con l'unica possibilità di avere contatti telefonici e nemmeno sempre e i senzatetto per strada.
Ultimo ma non meno importante, i fedeli cattolici risentono della privazione della loro presenza in Chiesa  che vuol dire comunione e condivisione con gli altri e assenza della comunione eucaristica (mi piacerebbe che qualcuno segnalasse le difficoltà per le altre religioni).
Possibili effetti psicologici: depressione, esaurimento nervoso, burnout,  scoraggiamento, percezione delle persone che i cambiamenti che ci sono stati in questo periodo resteranno tali e/o che niente tornerà come prima, sfiducia, rabbia, accuse reciproche tra persone, divisione, paura, panico, dipendenza dai sistemi informatici.
In che modo potremmo porre all'attenzione dei politici queste problematiche? Perché a giudicare e a dare ordini è sempre molto facile per tutti e stanziare soldi non è sufficiente.
Questo articolo vuole contribuire a rendere la nostra comunità più responsabile, conoscendo i problemi ci si può aiutare vicendevolmente e per non lasciare solo nessuno. Vi invito a partecipare tutti per il fine che ho sopra indicato. Secondo me sarebbe consigliabile sentire le persone telefonicamente e non inviare continuamente siti, video, informazioni di ogni genere (soprattutto sul coronavirus) perché non fa bene alla salute e genera ansia.
Perché secondo me  #distantimauniti vuol dire questo. avere contatti umani con le persone, amicizia e affetto.

mercoledì 18 marzo 2020

La mobilità dei docenti (ai tempi del coronavirus)


Approfitto per chiedere alla ministra Azzolina di riflettere bene prima di preparare un'ordinanza che potrebbe arrecare un'enorme ingiustizia e una vacanza di ricorsi. Sottolineo nuovamente che il bando di concorso 2018 non aveva vincoli quinquennali. Le regole si stabiliscono prima e non dopo la fine di un concorso (ricordo che, incredibile ma vero, il concorso 2018 non è neanche completato per alcune classi di concorso). Se il nuovo governo vuole mettere dei paletti tempistici lo faccia con i nuovi concorsi e non con quelli già avvenuti. Speriamo quindi che il ritardo per forza maggiore dia più tempo per riconsiderare meglio il problema e per confrontarsi fattivamente con i Sindacati confederali.

Vorrei riflettere con tutti voi e con i politici che ci leggono. Molte persone rientrate dal Nord al Sud in questa emergenza sono proprio insegnanti...segno che tutti hanno interesse a rientrare vicino casa appena possibile.
Il grave danno che ogni blocco arreca ai tantissimi colleghi che lavorano in zone lontane...dal loro cuore. Permettetemi di scrivere cuore e non residenza o domicilio perchè in questo periodo assurdo e irreale, abbiamo assistito a delle vere e proprie fughe verso il loro vero cuore. Le abbiamo criticate, certo, io per prima e le critico ancora ma oggi in risposta alla mia domanda ad una collega scesa giù  nel suo paese del "perchè lo hai fatto", è seguita la risposta, "se devo morire, voglio morire nella mia terra". Attenzione, non giustifico per nulla e ho rimproverato la collega e anche con molta veemenza, ma dopo questo periodo la politica deve farsi veramente due domande. Aumentare i posti, spendere sulla scuola davvero, concedere la mobilità, evitando lunghi blocchi permettendo ai docenti di scegliere e raggiungere il cuore, sono scelte non solo di buon senso ma obbligate oggi più di ieri.

Scusate ma la tristezza di vedere colleghi lontani dalla propria famiglia oggi assume una gravità ancora più sentita.

Prof.ssa Margherita Stimolo
Coordinamento Nazionale Docenti Abilitati

Storia, cultura e memoria: strumenti per una nuova politica

di Germano Baldazzi

Il giovane intellettuale e filosofo Francois–Xavier Bellamy ha pubblicato un interessante intervento sul quotidiano “Avvenire”, domenica 15 marzo, sul rapporto tra politica e filosofia.

Una bella riflessione, interessante a tratti affascinante.

Ha iniziato raccontando dapprima la sua esperienza di insegnante in periferia e ho ripensato immediatamente all’esempio di don Lorenzo Milani, che si è fatto ultimo - anche lui – tra gli ultimi di quella sperduta frazione nella periferia esistenziale di Barbiana.

Da lì, da quell’esilio non certo dorato, ha costruito una nuova umanità, una cultura insieme a coloro che erano gli scartati, gli ultimi, quelli che non avevano diritto ad avere una scuola ma, a malapena, un priore, che era stato spostato, allontanato perché voleva costruire qualcosa di nuovo, ma era “scomodo” ed è stato inviato nella periferia della periferia. Eppure… anche lì, anche da loro ha saputo costruire qualcosa di buono: li ha istruiti perché non fossero ultimi della società.

Barbiana: una frazione talmente insignificante che non aveva nemmeno la dignità di avere una sua scuola dell’obbligo. Era nel paese vicino più grande, ma in inverno, con la neve, davvero non raggiungibile. Questi bambini e ragazzi erano condannati all’ignoranza.

Il nuovo Priore di Barbiana, appena arrivato si interrogò subito su cosa potesse significare cambiare la loro vita e il loro destino: infatti, insegnò loro non solo a scrivere e a far di conto, ma a conoscere la società, impararono con don Milani a leggere il giornale, e a comprendere le notizie e i fatti che si narravano. Nacque, così la “scuola popolare”, con tanti ragazzi anche di diverse età, dove si invitavano anche persone “importanti” per fare conferenze, ma spesso divenivano colloqui con interrogatori veri e propri da parte dei ragazzi che erano sempre più incuriositi ed affamati di imparare i meccanismi della vita reale.

Oggi, questa “trasmissione della conoscenza” per usare l’espressione del filosofo Francois-Xavier Bellamy, è attuata in diverse situazioni e in diversi interventi verso gli “analfabeti di oggi”, cioè coloro che arrivano in Italia e non parlano la nostra lingua, e subiscono spesso un grave scotto per l’integrazione. E penso, solo per fare un esempio, al lungimirante impegno di Eraldo Affinati, che da diversi anni insegna la cultura e la lingua italiana gratuitamente agli stranieri, fornendo loro uno strumento valido per riscattare la loro vita in Italia: trovare un lavoro, mettersi in regola, chiedere i documenti, ottenere l’assistenza sanitaria, pagare le tasse, con tutto ciò che ne consegue.

Affinati investe sulle loro vite, condivide il suo patrimonio di cultura con chi ha fame e necessità di integrarsi, fornendo loro il primo strumento: la lingua e la cultura. Inoltre, il suo impegno porta frutti “in questo genio della trasmissione dell’identità europea è l’accoglienza di ciascuno, qualunque sia la sua storia. La nostra identità non è un’occasione per escludere, ma per costruire il legame che ci unisce”, ed è esattamente il risultato che il maestro fondatore della Penny Wirton School cerca di raggiungere. La sua scuola è chiaramente una risposta ad una delle periferie esistenziali di cui spesso parla Papa Francesco.

L’articolo del filosofo porta anche ad altre suggestioni: ad esempio, in merito all'identità e alla costruzione europea, una forte spinta con un indirizzo preciso è venuta da San Giovanni Paolo II. Lui teorizzò, predicò, incontrò capi di stato e lottò per arrivare alla costruzione di una Europa unita dall"'Atlantico agli Urali", cristiana e pacifica. Infatti, il continente europeo ha vissuto un lungo periodo di pace dopo il Secondo conflitto mondiale: pur se divisa in due blocchi, non scivolò nell’abisso di una nuova guerra, fino alla tragedia della divisione della Jugoslavia, allora con una guerra difficile e sanguinosa, iniziata nel giugno del 1991 e terminata con la stipula di due accordi, alla fine del 1995.

Il suo sogno, Giovanni Paolo II lo manifestò ai partecipanti nel corso del V Simposio del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), nel 1982.

Questa è una storia che bisogna ricordare: perché chi non ha memoria delle proprie origini, perde anche il senso di dove andare e di cosa essere. Purtroppo, invece, in parte s’è perso il senso di civiltà europea perché in pochi conoscono la storia, i dolori di una guerra fratricida. E i testimoni della Seconda Guerra Mondiale stanno scomparendo e, con essi, la memoria viva, la testimonianza diretta. Così, sarà più facile smarrirsi e rinchiudersi nel pertugio del proprio stato, piccolo o grande che sia, ma senza quel respiro universale che hanno trasmesso i padri fondatori dell’Europa che, dopo la distruzione della guerra, hanno prima contribuito alla ricostruzione del proprio Stato e poi all’edificazione dell’Europa pacifica e pacificata.

Il rischio di oggi è perdere questo “respiro universale”, che invece deve tendere, portare ad una unità fattuale, non solo economica, monetaria.  

A mio modesto e personale modo di vedere, i cattolici devono essere i portatori di questa memoria storica dei padri fondatori dell’Europa, oltre che dell’Italia ricostruita, naturalmente. I cattolici hanno dato molto in impegno, idee, politica, proposte e prospettive per il futuro.

Oggi la marginalità dei cattolici, una timidità non è più consentita: ci viene in aiuto anche Papa Francesco che chiede di farsi prossimi ai periferici: dalla periferia possono venire nuove energie di bene, propulsive per la costruzione di una nuova politica vicina alla gente, che divenga protagonista. Per riuscire, io credo, bisogna tornare sulle strade, nei quartieri, riaprire quelle sedi di partito che una volta erano un po’ l’anima, il riferimento del quartiere ed ora non esistono più, o se ci sono, sono ben nascoste!

Bisogna tornare a parlare con la gente, perché ci sono tanti arrabbiati perché nessuno ascolta i loro problemi (e ce ne sono tanti da affrontare), ma già l’ascolto è un modo per prendersi carico e iniziare a costruire una nuova casa, un nuovo impegno. Il primo passo è l’incontro e l’ascolto, poi verrà l’impegno dopo aver ragionato, essersi confrontati e capito dove servirà l’intervento. Probabilmente all’inizio si sbaglierà o saremo contestati, ma è in conto: qualcuno dovrà accendere la prima scintilla per una nuova iniziativa, che parta dal basso, perché senza radici non reggerà.

Molto altro si potrebbe scrivere, con tante suggestioni proposte dall'intellettuale francese,  ma l’importante è fissare i concetti e scendere in strada ad incontrare ed ascoltare. Poi si capirà qualcosa in più e si potrà agire per il meglio

Buon lavoro!

lunedì 16 marzo 2020

Europa ed economia al tempo del Covid19

di Giulio Colecchia


La sfida lanciata dal COVID 19 giunge, per l’Italia, in un momento particolarmente critico e non solo per quanto riguarda la tenuta del sistema sanitario. Quest’ultimo, alla verifica, sta dimostrando quanto importante sia stata, per tutti noi, la riforma Anselmi che dal 1978 ha realizzato un sistema di assistenza universale che assicura uguali prestazioni a tutti i cittadini.
L’altra sfida, che costringe anche i più riottosi sostenitori dell’autonomia quasi autarchica degli Stati a riconsiderare le proprie certezze, è quella della crescita economica dell’economia mondiale e dei suoi effetti. Per essere realisti, considerata l’accentuata contrazione dei mercati e la conseguente diminuzione nella produzione di beni e servizi, oggi è più opportuno, purtroppo, parlare di recessione; di arretramento, cioè, di quelle condizioni in cui i sistemi produttivi assicurano sviluppo e lavoro.
La riduzione del trend di crescita del grande mercato cinese (già in atto prima del Covid19 ed oggi ancora non misurabile), le guerre commerciali a raffica dell’America di Trump, le nuove tensioni tra Russia, Turchia e IRAN che si contendono aree già dilaniate da lunghe e feroci guerre, l’instabilità politica del nord Africa, con una Libia capitale del terrore e di ogni violenza, sono solo alcuni dei fattori di instabilità e di preoccupazione mondiale, quelli che hanno l’onore (o il disonore) della cronaca.
In questo contesto, magmatico e preoccupante, l’Unione Europea avrebbe l’opportunità, di svolgere un ruolo decisivo per frenare questo impazzimento generale o almeno per contenerne gli effetti al suo interno. Però, a dispetto delle tante sollecitazioni a definire un’unica strategia europea su politica estera e politiche sociali interne e delle ripetute promesse di cambio di passo durante l’ultima campagna elettorale del 2019, ancora lontana appare l’EUROPA DEI POPOLI di De Gasperi, Shuman e Adenauer. Non solo. Anche la politica economica, che finora ha catalizzato le maggiori attenzioni, pur tra ripetuti conflitti interni, oggi appare sempre meno comunitaria, sempre più condizionata dagli interessi nazionali, sempre meno solidaristica e, perciò, assolutamente inefficace quale manifestazione di autorevolezza tanto tra le grandi potenze che sui mercati mondiali. La recente discussione sulla proposta del Presidente della Commissione Ursula von der Leyen di aumentare la disponibilità del bilancio comunitario (+0,11%) è naufragata tra l’aperta ostilità di alcuni Paesi frugali (nord europei) e le tattiche opportuniste e dilatorie di quelli che, da sempre, nascondono egoismi nazionalisti con malcelati atteggiamenti leaderistici. Si aggiunga a questa ottusa reazione la dichiarazione d’indifferenza verso la nuova crescita dei differenziali tra i titoli di Stato (bond) italiani e tedeschi da parte della Presedente della BCE Cristine Lagarde per chiudere un quadro che non può che accentuare diffuse preoccupazioni.
Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che senza denari non si dice messa! E la messa non può che essere celebrata con una voce unica, quella del comune interesse dei popoli europei e, quindi, del loro bene comune. A questo bisogna finalmente porre attenzione, partendo dalla definizione tra gli Stati di una unica ed equa politica fiscale e da una politica di bilancio più dispositiva ed incisiva. La saldatura delle politiche fiscali tra gli Stati, anche con condivise modulazioni che tengano conto le differenti condizioni socio-economiche, è, sicuramente, non solo una scelta di equità e giustizia sociale, ma anche un indispensabile contributo alla lotta alle evasioni ed elusioni che taglieggiano, insieme agli effetti della corruzione, tutti i singoli bilanci. Fonti UE indicano, per il 2014, nel 12,6% l’evasione IVA nella media dei Paesi dell’area euro. Se solo l’Italia, anche con il contributo di una legislazione fiscale europea che persegua le fughe di capitali verso quegli Stati più “accoglienti e comprensivi”, riuscisse a recuperare parte dei 111 miliardi stimati dalla Commissione Giovannini per il 2014, gli effetti sul suo bilancio sarebbero diretti e considerevoli. Ma lo sarebbero, di conseguenza, anche verso gli altri Stati europei (Germania in testa) che trarrebbero benefici, indiretti ma altrettanto rilevanti, da un miglioramento dei nostri conti pubblici.
Già, i conti pubblici. Quello di un loro riequilibrio non è, comunque, solo un problema italiano, anche se, come noto, i nostri sono quelli più malmessi. Considerando una scelta autolesionista quella di tentare una fuga dall’Europa, su cui qui non ho tempo di soffermarmi, credo che l’obiettivo fondamentale sia quello di un vero bilancio europeo; superando le caratteristiche di bilancio di scopo che oggi ha, per divenire strumento per politiche davvero inclusive ed unificanti, per favorire e garantire le priorità che prima indicavo: politica estera e politica sociale. Per giungere a tale risultato l’UE non può non affrontare il tema del consolidamento dei debiti pubblici dei vari Stati. Anche senza riconsiderare l’utilizzo degli eventuali avanzi di bilancio, la necessità di liberare i mercati finanziari dai tanti titoli pubblici nazionali, spesso in competizione tra di loro e perciò stesso creatori di occasioni speculative, si prospetta come una scelta virtuosa. La riduzione dei margini speculativi ed un più efficace controllo, sia pure indiretto, sulla spesa dei singoli Stati rappresenterebbe un elemento decisivo per la stabilità dell’intera area UE e questo potrebbe essere assicurato anche senza interventi di sostegno della BCE com’è avvenuto con il Quantative Easing. Per questo il dibattito, che sta tornando di attualità, sulla possibile emissione di EURO BOND può rappresentare la svolta decisiva che spingerebbe i Paesi ad una riconsiderazione dei piccoli o grandi egoismi nazionali che finora li hanno guidati, muovendoli verso un modello di Europa che, pur composta da etnie e culture distinte, abbia una sola voce autorevole ed efficace nel mondo. Per noi italiani gli EURO BOND non rappresenterebbero un’occasione per annacquare il nostro debito pubblico, così come alcuni Paesi sostengono, ma, anche alla luce dell’adesione che diventa per noi necessaria al Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), difendendoci dalla speculazione finanziaria, ci indurrebbero, finalmente, a realizzare quelle riforme che fino ad oggi tutti i Governi hanno eluso, inseguendo il consenso e facendolo pagare agli italiani, e ci consentirebbe di programmare interventi di fertilizzazione dell’economia e di infrastrutturazione di cui il nostro Paese ha urgente bisogno.

La riforma dello Zar

di Leonardo Gaddini


ll 20 Gennaio 2020, il presidente russo Vladimir Putin ha presentato il suo progetto della riforma costituzionale alla Duma di Stato che l'ha appovata a larghissima maggioranza, ciò è dovuto al fatto che i (pochi) partiti di vera opposizione non sono riusciti a eleggere nessun rappresentante in Parlamento visto la soglia di sbarramento liberticida del 7%. In totale, saranno modificati ben 14 articoli. In generale, i più rilevanti sono i seguenti: 
  
1) la Costituzione russa dovrebbe avere la precedenza sul diritto internazionale;
2) la Duma di Stato (la camera bassa del Parlamento) dovrebbe avere il diritto di approvare la candidatura del Primo Ministro (attualmente dà solo il consenso alla sua nomina). La Duma di Stato sarà anche in grado di approvare i candidati dei vice primi ministri e dei ministri federali; il Presidente non potrà rifiutare la loro nomina, ma in alcuni casi sarà in grado di rimuoverli dall'incarico;
3) le persone che detengono "posizioni importanti per garantire la sicurezza del paese" (Presidente, Ministri, Giudici, Capi di regioni) non dovrebbero avere la cittadinanza straniera o un permesso di soggiorno in altri paesi, né al momento del loro lavoro in carica o, nel caso del Presidente, in qualsiasi momento prima;
4) il Consiglio della Federazione Russa (la camera alta del Parlamento) potrà proporre al Presidente di licenziare i giudici federali; in alcuni casi, il Consiglio della Federazione, su proposta del Presidente, avrà il diritto di rimuovere i giudici delle corti costituzionali e supreme;
5) consolidamento dello status e del ruolo del Consiglio di Stato (attualmente è solo un organo consultivo e non è previsto dalla Costituzione);
6) concedere alla Corte Costituzionale la possibilità di verificare la costituzionalità delle leggi adottate dall'Assemblea federale della Federazione Russa (il Parlamento bicamerale) su richiesta del Presidente prima che siano firmate dallo stesso;
7) rimuovere la clausola "in fila" dall'articolo che regola il numero massimo di termini presidenziali. 

Putin ha motivato queste riforme dicendo che vuole rafforzare il ruolo del Parlamento e per migliorare la politica sociale e il funzionamento della Pubblica Amministrazione, ma la realtà è un'altra. Con queste riforme il potere, già molto ampio, del Presidente diventerà praticamente assoluto. Infatti Putin potrà rimuovere i giudici costituzionali che si opporranno alle sue leggi, sostituendoli con altri pro-governo. Ciò porterà, di fatto, il Parlamento ad essere totalmente sotto il suo controllo visto che potrà usare la "nuova" Corte Costituzionale per fermare le leggi. con il Parlamento in queste condizioni Putin potrà controllare meglio anche i suoi ministri, visto che diventeranno sfiduciabili individualmente. Oltre a ciò, rimuovendo la dicitura "in fila", Putin potrà restare Presidente praticamente a vita.
Secondo l'attuale Costituzione per far entrare in vigore le modifiche, basta il voto favorevole della Duma, ma Putin ha concesso anche che si tenesse (il 22 Aprile) un referendum consultivo, con l'obiettivo rafforzare il suo consenso, l'esito infatti pare scontato (un sondaggio del 11 Maggio ha rilevato che circa il 64% dei russi è favorevole). Dal 23 Aprile, insomma, Putin dovrebbe riuscire finalmente ad ottenere quel potere assoluto che tanto brama, diventando così lo Zar del terzo millennio.

venerdì 13 marzo 2020

Il tempo per ricostruire.


di Armando Dicone

Il 26 luglio 1943 Alcide De Gasperi, con lo pseudomino Demofilo, pubblicò clandestinamente l’opuscolo: “Le idee ricostruttive della Democrazia Cristina”. Iniziò a scriverlo un anno prima con la collaborazione di Paolo Bonomi, Pietro Campilli, Camillo Corsanego, Guido Gonella, Achille Grandi, Giovanni Gronchi, Stefano Riccio, Pasquale Saraceno, Mario Scelba e Giuseppe Spataro. Questi grandi uomini condivisero clandestinamente idee, proposte e soluzioni durante il fascismo, ma evidentemente la voglia di ricostruire era più grande della paura.  

Premesso che per fortuna non siamo in guerra con altri esseri umani, ma con un nemico invisibile e pericoloso, non siamo in presenza di una dittatura, non abbiamo un grande statista come De Gasperi, noi non siamo come i giganti che collaborarono con lui, abbiamo però dalla nostra parte internet, i social e tutti gli strumenti necessari per collaborare, condividere e trovare insieme le soluzioni più utili per ricostruire la nostra amata Italia e forse anche l’Europa, che per noi non può essere solo un insieme di egoismi nazionali.

Come è evidente, l’esigenza di ricostruire la politica non è certo scaturita oggi con il covid19, ma è una necessità che in questi giorni si mostra in modo più eclatante.
Se uno Stato ha una politica forte, istituzioni apprezzate dai cittadini, un debito pubblico “normale”, un’economia sana, può affrontare qualunque emergenza con più forza e serenità, se invece uno Stato è indebolito da decenni di ritardi in quasi tutti i settori, si è in continua emergenza e non si ha il tempo di avere una visione politica a lungo termine.

Adesso tutti insieme dobbiamo stringerci (virtualmente) come una sola comunità forte e solidale, soprattutto con i più deboli e con chi soffre a causa del virus, e se possibile potremmo usare questo tempo per incontrarci sui social, condividere idee, proposte e trovare le migliori soluzioni ai tanti problemi dell’Italia che ci portiamo dietro da troppi anni. Sono sicuro che la competenza, la partecipazione attiva e la condivisione delle idee torneranno di “moda” molto presto. Abbiamo due strade: o ci chiudiamo in casa e pensiamo al nostro comodo salotto, oppure stando a casa collaboriamo tutti insieme per ricostruire.

Se avete tempo e voglia usate hashtag #ForumalCentro per fare le vostre proposte, condividere idee o segnalare temi e soluzioni.

giovedì 12 marzo 2020

Laura Montoya: ascesa di una donna che ha cambiato la storia del suo paese

di Valeria Frezza

Nel 12 maggio 2013 Papa Francesco ha voluto la canonizzazione della prima Santa della Colombia: Laura Montoya con il nome di Santa Laura di Santa Caterina da Siena. Laura era una donna, un'insegnante, donna al servizio di Dio che ha profondamente cambiato la concezione di un paese profondamente egoista e sessista.
La sua storia si situa tra 800 e 900, dopo un'infanzia trascorsa nella devozione e nel timor di Dio, Laura si ritrova senza padre, ucciso durante la guerra civile.
Frequenta comunque il collegio e per mantenersi si occupa dei malati del manicomio e ottiene il diploma di maestra.
Laura sente la vocazione per la vita consacrata ma non viene ritenuta idonea. Dopo un viaggio nella foresta dove incontra delle tribù indios, scopre la sua vocazione definitiva: evangelizzare gli indigeni della Colombia, che fino a quel momento avevano conosciuto solo bianchi avidi di conquista.
Contemporaneamente la sua professione di maestra la porta attraverso varie popolazioni di Antioquia. 
Dopo aver superato molti ostacoli, perché la Chiesa considera l'attività missionaria un compito solo per uomini e dalla società del tempo, che vede la donna destinata al matrimonio oppure alla vita di clausura, trova la comprensione di monsignor Crespo, vescovo di Santa Fe de Antioquia e dello stesso Papa.
Accettando i sacrifici, le umiliazioni, le prove, le contraddizioni che sarebbero sopraggiunte parte per Dabeiba il 5 maggio 1914.
E’ arrivata a Dabeiba sulla schiena di un mulo, accompagnata da sua mamma e da altre quattro giovani volontarie, e lì ha fondato la prima casa della congregazione Missionarie di Maria Immacolata e Santa Caterina di Siena (furono poi chiamate Laurite), che oggi è sparsa in 21 paesi, compresi due dell’Africa, e può contare con più di 800 missionarie. Rosalba Dominicò, una indigena di El Pital, nei dintorni di Dabeiba, dove madre Laura ha piantato il primo noviziato, evoca così i racconti di suo padre: “Quando Madre Laura è arrivata, tutti avevano paura, erano molto sospettosi, poi però hanno visto che lei era buona. Gli indios erano nudi e lei li ha vestiti, gli ha dato indumenti e da mangiare, gli ha insegnato a leggere e a coltivare i fagioli, il grano e la yuca. Il mio papà mi ha raccontato che è stata lei a risollevarci tutti”.
Ci furono anche degli indigeni invidiosi che avevano poca fiducia nelle capacità di quella estranea, e meno ancora riguardo alle sue intenzioni evangelizzatrici. Ma la madre li ha conquistati poco a poco. All’inizio, avvalendosi di prodigi soprannaturali che sono diventati leggendari: che poteva debellare la piaga delle cavallette, che curava le malattie, che aveva stretto un patto con gli animali feroci per tenerli alla larga nelle loro incursioni notturne, che aveva il potere di placare le tempeste. Ma le sue virtù terrene hanno ottenuto un effetto ancora maggiore: si è mescolata con le comunità del posto, ha imparato le loro usanze, si è alimentata con il loro stesso cibo e si è conquistata la fiducia a forza di essere come loro. Li faceva venir fuori dalle loro capanne con l’aiuto di un grammofono a manovella, che oggi è un reperto da museo da cui però si possono ottenere ancora melodie arrugginite. 
Oggi non è più necessario fare prodigi e attrarre gli indigeni con la fonola, ma le suore Laurite conservano con zelo religioso gli insegnamenti della loro fondatrice per continuare la sua opera. Ogni settimana, a gruppi di due o tre, come agli inizi, le missionarie visitano gli indigeni nelle loro capanne per assisterli fisicamente e spiritualmente.
Madre Laura, dopo aver rivoluzionato il concetto di missione con nuovi mezzi pedagogici e nuovi metodi di evangelizzazione, trascorre i suoi ultimi nove anni sulla sedia a rotelle, sempre missionaria con il cuore e, comunque, anima della sua congregazione. Muore il 21 ottobre 1949, quando le sue suore sono 500 e le novizie un centinaio, a servizio di 22 popoli indigeni

Fonte Aleteia

Decreto legge 11.03.2020

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 

Vista la legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19» e, in particolare, l’articolo 3;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, recante “Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020; 
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 47 del 25 febbraio 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 52 del 1° marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19”, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell’8 marzo 2020;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020, recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull'intero territorio nazionale pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.62 del 9 marzo 2020”;
Considerato che l’Organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio 2020 ha dichiarato l’epidemia da COVID-19 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale;
Vista la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, con la quale è stato dichiarato, per sei mesi, lo stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili;
Considerati l'evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia e l'incremento dei casi sul territorio nazionale; 
Ritenuto necessario adottare, sull’intero territorio nazionale, ulteriori misure in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19;
Considerato, inoltre, che le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico e l’interessamento di più ambiti sul territorio nazionale rendono necessarie misure volte a garantire uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea; 
Su proposta del Ministro della salute, sentiti i Ministri dell'interno, della difesa, dell'economia e delle finanze, nonché i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti, dello sviluppo economico, delle politiche agricole alimentari e forestali, dei beni e delle attività culturali e del turismo, del lavoro e delle politiche sociali, per la pubblica amministrazione, e per gli affari regionali e le autonomie, nonché sentito il Presidente della Conferenza dei presidenti delle regioni; 
DECRETA:
ART. 1
(Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale)
Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 sono adottate, sull’intero territorio nazionale, le seguenti misure:
  1. Sono sospese le attività commerciali al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità individuate nell’allegato 1, sia nell’ambito degli esercizi commerciali di vicinato, sia nell’ambito della media e grande distribuzione, anche ricompresi nei centri commerciali, purché sia consentito l’accesso alle sole predette attività. Sono chiusi, indipendentemente dalla tipologia di attività svolta, i mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie. Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.
  2. Sono sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering continuativo su base contrattuale, che garantiscono la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Resta consentita la sola ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto. Restano, altresì, aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande posti nelle aree di servizio e rifornimento carburante situati lungo la rete stradale, autostradale e all’interno delle stazioni ferroviarie, aeroportuali, lacustri e negli ospedali garantendo la distanza di sicurezza interpersonale di un metro.
  3. Sono sospese le attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti) diverse da quelle individuate nell’allegato 2.
  4. Restano garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonché l’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi.
  5. Il Presidente della Regione con ordinanza di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6, può disporre la programmazione del servizio erogato dalle Aziende del Trasporto pubblico locale, anche non di linea, finalizzata alla riduzione e alla soppressione dei servizi in relazione agli interventi sanitari necessari per contenere l’emergenza coronavirus sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro della salute, può disporre, al fine di contenere l’emergenza sanitaria da coronavirus, la programmazione con riduzione e soppressione dei servizi automobilistici interregionali e di trasporto ferroviario, aereo e marittimo, sulla base delle effettive esigenze e al solo fine di assicurare i servizi minimi essenziali.
  6. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 1, comma 1, lettera e), del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020 e fatte salve le attività strettamente funzionali alla gestione dell’emergenza, le pubbliche amministrazioni, assicurano lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente, anche in deroga agli accordi individuali e agli obblighi informativi di cui agli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 e individuano le attività indifferibili da rendere in presenza.
  7. In ordine alle attività produttive e alle attività professionali si raccomanda che:
    1.  sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o in modalità a distanza;
    2.  siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti nonché gli altri strumenti previsti dalla contrattazione collettiva;
    3.  siano sospese le attività dei reparti aziendali non indispensabili alla produzione;
    4.  assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro come principale misura di contenimento, con adozione di strumenti di protezione individuale;
    5.  siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali;  
  8. per le sole attività produttive si raccomanda altresì che siano limitati al massimo gli spostamenti all’interno dei siti e contingentato l’accesso agli spazi comuni;
  9. in relazione a quanto disposto nell’ambito dei numeri 7 e 8 si favoriscono, limitatamente alle attività produttive, intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.
  10. Per tutte le attività non sospese si invita al massimo utilizzo delle modalità di lavoro agile.
ART. 2
(Disposizioni finali)
1. Le disposizioni del presente decreto producono effetto dalla data del 12 marzo 2020 e sono efficaci fino al 25 marzo 2020.
2. Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto, le misure di cui al  decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020. 
3. Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione.
Roma, 11 marzo 2020
                        
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 
IL MINISTRO DELLA SALUTE

Allegato 1
COMMERCIO AL DETTAGLIO

Ipermercati
Supermercati
Discount di alimentari
Minimercati ed altri esercizi non specializzati di alimentari vari
Commercio al dettaglio di prodotti surgelati
Commercio al dettaglio in esercizi non specializzati di computer, periferiche, attrezzature per le telecomunicazioni, elettronica di consumo audio e video, elettrodomestici
Commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e tabacco in esercizi specializzati (codici ateco: 47.2)
Commercio al dettaglio di carburante per autotrazione in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (ICT) in esercizi specializzati (codice ateco: 47.4)
Commercio al dettaglio di ferramenta, vernici, vetro piano e materiale elettrico e termoidraulico
Commercio al dettaglio di articoli igienico-sanitari
Commercio al dettaglio di articoli per l'illuminazione
Commercio al dettaglio di giornali, riviste e periodici
Farmacie
Commercio al dettaglio in altri esercizi specializzati di medicinali non soggetti a prescrizione medica
Commercio al dettaglio di articoli medicali e ortopedici in esercizi specializzati
Commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toletta e per l'igiene personale
Commercio al dettaglio di piccoli animali domestici
Commercio al dettaglio di materiale per ottica e fotografia
Commercio al dettaglio di combustibile per uso domestico e per riscaldamento
Commercio al dettaglio di saponi, detersivi, prodotti per la lucidatura e affini
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato via internet
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto effettuato per televisione
Commercio al dettaglio di qualsiasi tipo di prodotto per corrispondenza, radio, telefono
Commercio effettuato per mezzo di distributori automatici

Allegato 2
Servizi per la persona

Lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia
Attività delle lavanderie industriali
Altre lavanderie, tintorie
Servizi di pompe funebri e attività connesse