giovedì 26 dicembre 2019

Catherine Samba-Panza, speranza di pace per la Repubblica Centrafricana

di Valeria Frezza

Catherine Samba-Panza fu la prima donna presidente nella storia della Repubblica Centrafricana e fu chiamata a guidare il governo di transizione che doveva pacificare il paese (in balia di un conflitto civile). Il suo primo atto di rilievo fu la nomina del nuovo primo ministro André Nzapyeké, esperto di lungo corso di finanza ed ex segretario generale della Banca di sviluppo africana. Intanto l’Onu diede il via libera ad una missione europea di peacekeeping.
Gli Stati Uniti  riposero grandi aspettative nella neoeletta capo di Stato e agirono con azioni mirate contro coloro che intendevano destabilizzare il Paese.
Anche la Francia ebbe grande fiducia in lei e schierò a Bangui le proprie truppe chiedendo a più riprese al Consiglio di Sicurezza di prendere in considerazione la possibilità di coordinare un intervento per fermare un possibile genocidio. Già sindaco di Bangui dal 2011, Samba-Panza aveva assicurato che sarebbe stata "la presidente di tutti i centrafricani, nessuno escluso". A lei, spettò il difficile compito di riavvicinare le anime contrapposte del paese, oltre che di riavviare la macchina politico-amministrativa statale che, con lo stop forzato a causa della guerra civile, stava causando danni ingenti ad un sistema socio-economico già tra i più fragili e poveri del mondo.
Dovette far rientrare migliaia di sfollati nei propri villaggi per riprendere un’esistenza quanto più "normalizzata" possibile, dopo quella vissuta al limite della sopravvivenza grazie agli aiuti umanitari delle organizzazioni non governative internazionali.
L’obiettivo non era affatto scontato, soprattutto a fronte del rischio concreto di un’ingerenza estera magari giustificata dalla cosiddetta responsabilità di proteggere.
Infatti, furono le stesse Nazioni Unite ad affermare che ”nella Repubblica del Centrafrica potevano esserci, senza dubbio, tutti gli elementi per parlare di genocidio” alla stregua di quanto avvenne nel Ruanda e in Bosnia.
Dal 24 marzo del 2013, da quando il regime del presidente François Bozizé fu rovesciato dalle milizie della coalizione ribelle Seleka guidata da Michel Djotodia, il Centrafrica rimase scosso da violenze e razzie di estrema brutalità.
In questo instabile e difficile contesto il parlamento centrafricano cerco di trovare l’accordo per portare il paese al più presto al voto, nel tentativo di avviare un percorso verso la stabilità, la democrazia ed un  passo importante verso una possibile riconciliazione delle parti.
In occasione della visita di Papa Francesco a Bangui, finalizzato all'apertura della Porta Santa per il Giubileo della Misericordia, la presidente chiese perdono a nome di tutta la classe dirigente del paese, ma anche di "tutti coloro che hanno contribuito in qualche modo alla sua discesa agli inferi, confesso tutto il male che è stato fatto qui, abomini commessi in nome della religione da parte di persone che si definiscono credenti" [cit.]
"La vostra presenza [rif. Papa Francesco] è vista come una vittoria della fede sulla paura, sull'incredulità ed una vittoria della compassione e della solidarietà della Chiesa universale" [cit.]

sabato 21 dicembre 2019

Dibattito di #ForumalCentro in occasione della nascita dell’associazione Voce Libera di Mara Carfagna del 20/12/2019

La nascita dell’associazione è un’iniziativa importante che vuole aggregare liberal-popolari e riformisti per fare uscire il paese dalle secche degli sterili governi populisti di destra e di sinistra. In questo momento di grande difficoltà è necessario trovare nuove formule per scardinare un potere costituito che non porta a nulla. La speranza è che escano fuori proposte politiche convincenti e coinvolgenti soprattutto per il primo “partito italiano”: il popolo degli indecisi. Tali iniziative possono servire a coagulare il consenso di quei cittadini moderati che invece di approdare alle sirene populiste, avrebbero un'alternativa. Questi embrioni dovrebbero far parte di un progetto più generale, più ambizioso e sostanzioso. Man mano che si vanno annunciando iniziative come quelle della Carfagna, il livello dell’ottimismo sale, anche se poi, ragionevolmente, bisognerà lavorare per evitare che i personalismi, su cui questi progetti nascono, diventino il loro obiettivo principale. Non sarà facile, per gli uomini e le donne di buona volontà come noi, scardinare questa probabile deriva, ma dobbiamo farlo con ostinazione, perché si crei un processo culturale nuovo che determini condizioni e convinzioni diffuse di unità di centro. Si evidenzia la necessità di un passaggio di questa era di partiti “personali” (c’è anche molta distanza tra gli attuali leader politici e i cittadini) a partiti con basi chiare e condivise, non un partito con le proprie idee e con i propri “amici”. C’è bisogno invece di idee chiare su cui si confrontano più persone che decidono successivamente il leader; il quale a sua volta può essere sostituito democraticamente senza che vengano meno le idee di base. A causa del sistema maggioritario, della crisi della famiglia, dei conflitti generazionali legati al “blocco dei pensionamenti”, il Paese è stato sottoposto a gravi lacerazioni. Non basta urlare slogan come: più lavoro e meno tasse, accoglienza o non accoglienza, popolarismo o sardine, restituiamo il futuro ai giovani (senza avere la minima idea di come farlo). Viviamo in un’epoca di miti ed egoismi mascherati con promesse che spostano in avanti nel tempo le soluzioni che oggi non fanno comodo. Un esempio? Preferiamo parlare del futuro dei giovani piuttosto che del loro presente. Occorre smascherare l’ipocrisia, ma ciò non è possibile senza “scomodarsi” e rinunciare al proprio protagonismo ed investire su nuove risorse per il presente e per il futuro. Per fare luce su “miti e false promesse” e smascherare la politica dell’io assoluto è necessario seminare il terreno fertile. I cittadini cominciano a non poterne più della pratica della frammentazione della visione del Paese per appropriarsi di un pezzo e farne il proprio cavallo di battaglia. Chi guarda ai giovani, chi agli anziani, chi al Nord e chi al Sud. Chi promuove una Ue più forte e chi un’uscita dall’Ue. Nessuno ha la capacità di mettere insieme il tutto. “La mia idea della politica è quella che segue il cerchio della vita. Nessuno può essere escluso dall’azione politica. Ogni parte è necessaria” [cit. Erminia Mazzoni]
Le perplessità riguardano i numerosi partiti che si sono presentati con il “cartellino” del popolarismo, avendo poi avuto scarso riscontro popolare, essendoci ben poco di quello (l’ennesimo slogan), ma bando alla rassegnazione, "Voce Libera" può essere un ulteriore passo. Attualmente viviamo in una situazione politica con la Lega che tenta di fagocitare tutta l’area del centrodestra con una proposta populista diventata al momento dominante, Renzi e Calenda che guardano erroneamente a sinistra, i 5stelle e il PD che hanno rispettivamente perso la propria bussola. Apprezziamo comunque l’iniziativa culturale quale vuole essere "Voce Libera" ed anche altre iniziative come "Politica Insieme" ed altre realtà similari che hanno come scopo di ridare voce e sostanza alla galassia centrista. Non basta che si prendano le distanze dai partiti e movimenti estremisti e populisti, ma è necessario che tutti convergano verso il Centro, valorizzando pure le leadership che stanno guidando ogni progetto centrista nei vari movimenti, ma predisponendo un modello coordinato e rappresentativo di tipo federato che ne assuma il governo politico e sia in grado di esprimere una progettualità adeguata ai problemi della gente.

sabato 14 dicembre 2019

Brevi considerazioni sulla scuola pubblica italiana

di Maria Rosaria & Valeria

Qui di seguito un  nostro piccolo contributo sulla scuola pubblica italiana. La scuola nel corso del tempo ha subito notevoli riduzioni di investimenti sia dal punto di vista economico che del personale scolastico. 
L'Unione Europea ha attivato una procedura di infrazione e relativa sanzione per abuso di precariato scolastico all'Italia. I vari governi italiani nel tempo hanno cercato di sanare la piaga lentamente e con molta difficoltà senza ancora esserci riusciti. Ciò non ha garantito la continuità didattica e ha gravemente danneggiato la scuola (citiamo in particolare l'ambito dell'inclusione, dove sono stati reiterati supplenti privi di abilitazione agli alunni disabili, perché per lungo tempo sono venuti a mancare i percorsi abilitanti per il sostegno e tuttora sono inferiori al fabbisogno). La gestione aziendale della scuola pubblica ed aver dato maggiori poteri ai Dirigenti Scolastici (i quali sono stati investiti di una serie di competenze senza che gli fossero forniti gli strumenti per portarle avanti e/o promuoverne) ha portato a dover accontentare i genitori per procacciarsi le iscrizioni e per ottenere fondi attraverso dei progetti non sempre utili. I docenti, oltre ad attraversare un precariato molto lungo, sono sottoposti a formazione continua, ad esami, concorsi ecc. (spesso inutili e sempre sugli stessi argomenti, tolgono tempo ed energia alla didattica), burnout e stipendi troppo bassi. A scuola mancano beni primari come la cancelleria, gli edifici spesso non sono sicuri, il mobilio è obsoleto. L'inserimento a scuola della tecnologia seppur positivo, è stato in parte invalidato per vari motivi ed aver posticipato i pensionamenti, benefici di certo alla scuola non ne ha portati.
La scuola cammina sulle gambe di insegnanti appassionati che hanno nel tempo accolto la sfida urgente che l'istruzione e l'educazione impongono o hanno imposto a questo paese.
Altre nazioni, che normalmente consideriamo più indietro rispetto alla nostra, come le nazioni dell’est europeo ed addirittura la Turchia, investono sulla scuola perché sanno essere uno snodo essenziale per traghettare la società nel futuro.
Ciò riguarda anche la politica linguistica dell'Unione Europea che è la seguente e in Italia andrebbe implementata: l'UE considera il multilinguismo un elemento importante della competitività europea.
Uno degli obiettivi della politica linguistica dell'UE è pertanto che ogni cittadino europeo abbia la padronanza di altre due lingue oltre alla propria lingua madre e altrettanto sarebbe auspicabile per quanto riguarda le competenze informatiche. Sulle lingue e sulle competenze digitali si sono susseguiti solo degli slogan.
Essendo venute a mancare pertanto le basi, il rispetto, la valorizzazione e gli investimenti, ogni ulteriore discorso ad oggi risulta superfluo.

venerdì 13 dicembre 2019

Governare al femminile

di Valeria Frezza

I governi guidati da donne sono più democratici, pacifisti e meno corrotti. Questa definizione della leadership femminile è frutto di studi accademici e di statistiche. Ci sono insomma delle caratteristiche ricorrenti che si ritrovano nei governi guidati da donne, che hanno cioè ricoperto incarichi di governo (pochi e di recente), portando innovazione nella gestione di grandi responsabilità politiche.
Lo stile di leadership femminile è tendenzialmente diverso da quello maschile: è uno stile non aggressivo. Le donne nei contesti politici sono più collaborative, apparentemente accomodanti e cercano, se possibile, la mediazione. Una possibile spiegazione è che, sapendo di avere meno potere, devono trovare degli alleati, si pensi alla Merkel. Viene considerata poco femminile. In realtà il suo stile è molto femminile, con un’elevata capacità di tenere insieme posizioni lontane, di negoziare.
Possiamo riconoscere le stesse caratteristiche ad Ursula Von der Leyen, membro della CDU tedesca, attuale presidente della Commissione Europea.
Lo stile femminile, a differenza di quello maschile, ha una visione più di lungo periodo. Ha una sensibilità maggiore verso un’analisi orientata al genere. Cioè è più probabile che un governo con un’elevata componente femminile raggiunga obiettivi maggiormente egualitari.
Esempi di approcci innovativi al femminile:
Gro Harlem Brundtland è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di premier della Norvegia. Nel 1987, in qualità di presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) dell’ONU firma la relazione Our Common Future. Sicurezza alimentare, efficienza industriale, rinnovabili: è già tutto lì, con decenni di anticipo sui tempi. «Le sfide del mondo contemporaneo possono sembrare improbe, ma il compito dei cittadini è  impegnarsi".
Benazir Bhutto, prima e unica donna a diventare primo ministro del Pakistan (Partito Popolare Pakistano)
figlia dell'ex primo ministro pakistano Zulfiqar Ali Bhutto e di Begum Nusrat Bhutto, di origini curdo-iraniane. Il nonno paterno sir Shah Nawaz Bhutto era invece un sindhi, ed era stato una delle figure chiave del movimento indipendentista del Paese.
A 35 anni, è la prima donna eletta primo ministro in tutto il mondo musulmano. Il suo governo dura però solo venti mesi. Come suo padre, nel 1990 viene destituita dopo lo scontro con il presidente del Pakistan Ghulam Ishaq Khan, che Bhutto accusava di essere alleato con l’opposizione del conservatore Nawaz Sharif. Nel 1993 il PPP vince di nuovo le elezioni e torna al potere, per restarci fino al 1996. Una vita fatta di partenze e ritorni. Bhutto nel 2007 era appena rientrata in Pakistan per partecipare alle elezioni: per otto anni era stata costretta all'esilio prima a Dubai e poi a Londra, con l'accusa di corruzione. Leader di uno dei principali partiti dell’opposizione al governo del presidente e capo dell’esercito Pervez Musharraf, arrivato al potere con un colpo di stato nel 1999, il suo ritorno in patria il 18 ottobre 2007 finisce nel sangue: un attentato contro il suo corteo fa 140 vittime. Solo due mesi il sogno di ritornare a guidare il Pakistan finisce per sempre. 
Muore all'età di 54 anni.
Rigoberta Menchù: ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene. Bruciato vivo il padre, uccisa e esposta a cielo aperto la madre, assassinati dall’esercito due fratelli. Questa la terribile sorte toccata a loro e a molti altri, uccisi per mano di carnefici oggi accusati di genocidio contro la popolazione maya. Si è candidata alla carica di Presidente della Repubblica in occasione delle elezioni del 2007, è una testimonianza vivente di cosa possa generare la forza della parola pacifica che è anche nella ribellione.
Aung San Suu Kyi: politica birmana, attiva per molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare, imponendosi come capo del movimento di opposizione, tanto da meritare premi Rafto e Sakharov, prima di essere insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991. Aung San Suu Kyi è attualmente Consigliere di Stato della Birmania, Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell'Ufficio del Presidente. Nel settembre 2017 è stata oggetto di critiche da parte di un'altra premio Nobel per la pace, la pakistana Malala Yousafzai, che, a proposito delle violenze perpetrate dall'esercito birmano contro la minoranza musulmana Rohingya e il suo comportamento giudicato indifferente - quando non propriamente ostile - nei confronti dei Rohingya.
Le donne che sono arrivate ai più alti gradi della politica sono poche e spesso si devono scontrare contro il sistema maschile e patriarcale.
Non basta piazzare una donna al governo di un Paese perché le cose funzionino meglio, tuttavia, serve una trasformazione culturale e sociale per la quale è una condizione necessaria ma non sufficiente.

venerdì 6 dicembre 2019

1. Le interviste di #ForumalCentro: Onorevole Erminia Mazzoni

Intervista di Paolo D'Addario

1. In questa Italia post-ideologica, dove le esperienze di governo populiste prima con il Governo Giallo-Verde e poi con quello Giallo-Rosso dimostrano che slogan ad effetto possono essere sufficienti per vincere le elezioni, ma disastrosi nell’azione di Governo, se non confermati ed avvalorati da proposte serie, meditate e concrete che rispondano alla complessità dei problemi che affliggono il nostro paese. E’ ipotizzabile, oltre che auspicabile, che si crei un nuovo spazio politico per i cattolici ed un loro conseguente ruolo di rilevo ?
E’ realistico e attuale stimolare i cattolici a riprendere un ruolo attivo per rimettere al centro dell’agire politico il valore della persona e restituire a ciascuno il protagonismo necessario a fare di un territorio uno stato democratico. Ma la parola d’ordine è Pazienza. Il modello politico di moda oggi è purtroppo il Super Io urlante, dal pensiero corto, lontano anni luce dall’immagine dei “liberi e forti”. La politica italiana ha subito una radicale trasformazione. I riferimenti ideali intorno ai quali si costruivano i partiti di un tempo si sono diluiti nelle nuove formazioni che ne hanno preso il posto. La Democrazia Cristiana, espressione storica dei cattolici impegnati in politica, è quella che più di altri ha dissolto il proprio patrimonio in contenitori diversi. In questo modo la matrice valoriale che ne rappresentava l’essenza non ha più avuto forza ed è stata travolta dal clima di decadenza che ha livellato verso il basso la nostra democrazia e la nostra partecipazione civica. Il patrimonio di valori del cattolicesimo dovrebbe trovare interpreti determinati a restituire alla politica la dimensione dell’impegno e non sprecare energie nel tentativo di costruire un partito dei cattolici.
2. Le continue crisi che hanno colpito negli ultimi anni aziende e gruppi industriali che risiedono sul territorio italiano come Whirpool, ex Ilva, ma anche la macroscopica ed annosa questione Alitalia, ad oggi sostanzialmente irrisolte, sono solo il frutto di un quadro congiunturale ed economico internazionale negativo oppure denotano l’incapacità dei nostri governanti ad affrontare in modo innovativo ed efficace tali dossier tornando a proporre una politica industriale degna di questo nome ?
La qualità della classe dirigente fa la differenza. La congiuntura economica ha aggravato una condizione preesistente di inadeguatezza. Il nostro è un paese senza strategia, privo di una politica industriale, incerto sul piano delle relazioni internazionali e debole nella difesa della propria identità culturale, in altre parole ha pochi strumenti per reggere alle turbolenze di una economia globale dove non esistono più confini di protezione. L'Italia non è competitiva. Le tasse sulle imprese incidono per il 68% e il costo annuo sostenuto dalle stesse imprese per la gestione dei rapporti con la PA è pari a 57 Miliardi di Euro (Fonte The European House Ambrosetti).  I costi della PA superano di 45 miliardi la media europea senza produrre un equivalente plus in termini di efficienza. L'energia costa il 30% in più. La giustizia è la più lenta tra i paesi del consiglio d'Europa. Le infrastrutture sono infunzionali e il mercato del lavoro è rigido in entrata e in uscita. E ci sarebbe molto altro da aggiungere.
E, purtroppo,  ci esaltiamo a gestire le emergenze (addirittura saremmo un’eccellenza in Europa!), che non aiutano a inquadrare i problemi e a individuare soluzioni, e ci eclissiamo sulla gestione dell’ordinario, sulla prevenzione e sulla programmazione. Questo perché la gestione delle emergenze può essere tatticamente legata alle ravvicinate scadenze elettorali, mentre la pianificazione di una strategia di risanamento e crescita richiede tempo e non porta voti.
3. Molte di questi dossier riguardano aziende che hanno sede nel sud Italia, area geografica ricchissima di risorse umane, culturali, turistiche e naturali, che non riesce però ad emergere sul piano economico e sociale rispetto al resto del paese, potrà mai avverarsi il sogno di un Sud Italia traino e locomotiva del paese?
È naturale che gli scossoni della crisi si siano avvertiti maggiormente nelle aree più fragili del paese, acuendo la distanza tra aree a velocità diverse. La politica poco visionaria dei nostri tempi ha strumentalizzato le differenze fomentando gli animi invece di dar risposte. E’ per questo che fatichiamo più di altri a uscire fuori dalla crisi.
Governare il dualismo dell’Italia, ancor di più con il suo esasperarsi post crisi, non è cosa da poco.
Proprio ora che alla guida del paese ci vorrebbe una classe dirigente virtuosa, i criteri di selezione si sono allentati.
Invertire il senso di marcia del convoglio Italia non credo sia ipotesi praticabile nella realtà, ma fa bene conservare il sogno come stimolo positivo.
4. ….ed eventualmente, attraverso quali strumenti e risorse ciò potrà realizzarsi ? 
Bisogna dare priorità alla produzione. Aiutare le imprese, vuol dire investire in infrastrutture materiali e immateriali, ridurre il costo del lavoro e il carico fiscale. La produzione di beni e servizi crea lavoro e il lavoro crea domanda di consumi. Come nella più classica delle ricette economiche: il meccanismo è circolare.
E le risorse si trovano nei risparmi di spesa, che si ottengono puntando tutto su una strategia di crescita, senza disperderle in mille piccoli rivoli e nella eliminazione di tutte quelle sacche di inefficienza e di sprechi, che Cottarelli aveva analiticamente indicato nel proprio piano. Altre risorse si otterranno, puntando su investimenti pubblici adeguatamente selezionati, dotati delle risorse necessarie e completati in tempi brevi. Il costo dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche, zavorrati da inefficienza della PA e da complessità burocratica e normativa, sono enormi.
Per capirci, “le opere incompiute, più numerose al Sud che al Centro Nord, riguardano in gran parte infrastrutture sociali – plessi scolastici, centri sportivi, strutture ospedaliere – di pertinenza degli Enti locali. Il fenomeno è di dimensioni rilevanti: dei 647 progetti che nel 2017 risultavano avviati e non completati, il 70 per cento è localizzato al Sud, per un valore totale di 2 miliardi.”.
Secondo una simulazione pubblicata da Banca d’Italia a Settembre di quest’anno, “un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo PIL per un decennio, ossia 4 miliardi annui, e un taglio del cuneo fiscale sempre pari all’1 per cento del suo PIL avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana. Al Sud il moltiplicatore degli investimenti pubblici potrebbe raggiungere un valore di circa 2 nel medio-lungo termine, beneficiando della complementarietà tra capitale pubblico e privato e dei guadagni di produttività connessi con la maggiore dotazione di infrastrutture. L’economia del Centro Nord ne potrebbe beneficiare, per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree, con un aumento fino allo 0,3%.”.
5. L’Italia è inserita in un contesto europeo e mondiale dal quale, se intendiamo crescere, non possiamo prescindere. Le critiche a questa Europa da parte di populisti e sovranisti di mezzo continente sono totalmente infondate, oppure è necessario rivedere la costruzione europea, che oggi sembra non corrispondere più alle aspettative ed ai progetti dei padri fondatori ?
L’Unione Europea è un progetto non realizzato fino in fondo, del quale, però oggi più di ieri abbiamo bisogno. E’ evidente che se non si va avanti con determinazione il sistema, così come è, non è funzionale. Ci sono troppe disuguaglianze normative, soprattutto in materia fiscale e sociale, che distorcono la competizione e frenano l’integrazione.
Gli attacchi dei populisti e degli pseudosovranisti sono, in realtà, una forma di ripiegamento, che cerca di nascondere la mancanza di capacità di recuperare un ruolo decidente e decisivo sui tavoli europei. Le decisioni dell’UE sembrano sempre calate dall’alto,  come se non concorressimo a determinarle, nei luoghi istituzionali. Il problema non è Bruxelles, ma la debolezza della politica.
6. Al momento dell’entrata nell’Euro, l’Italia si impegnò a ridurre drasticamente il proprio debito pubblico fino al raggiungimento del 60 % del PIL, a quasi venti anni da quell’evento oggi viaggiamo con un debito al 132 % della ricchezza prodotta dal paese, quanto sarebbe utile la riduzione del debito pubblico per rilanciare crescita ed occupazione nel nostro paese, restituendo  dignità ed autorevolezza al paese sia in Europa che nel mondo ?  
L’entrata nell’Euro fu frutto di un negoziato sfavorevole al nostro paese. L’accelerazione di quel processo ha prodotto costi aggiuntivi che ancora oggi paghiamo. Gli accordi sul debito e sul rapporto deficit/Pil se pur teoricamente validi avrebbero dovuto prevedere dei tempi di metabolizzazione definiti, nel Trattato di Maastricht, in ragione delle differenze di partenza dei singoli stati. Posto ciò, non serve continuare a puntare il dito e cercare i colpevoli. Il tema del nostro debito è sul tavolo oggi e prescinde dalla severità delle regole UE. Anzi in questi anni il nostro sistema finanziario complessivamente ha retto proprio grazie all’ombrello europeo. Siamo esposti sui mercati internazionali e quindi soggetti a subire le oscillazioni delle economie dei paesi che detengono il nostro debito; tale stato di cose ci rende poco affidabili e alimenta quella perversa spirale di debito su debito. Il costo crescente degli interessi che paghiamo non è più sostenibile.
7. La riforma della giustizia è ritenuta ormai necessaria anche per rilanciare la nostra immagine nel panorama internazionale, in questo ambito ravvisi fondate le preoccupazioni di coloro, ad iniziare dai tuoi colleghi avvocati, che criticano fortemente le nuove norme sulla prescrizione, targata Bonafede-Cinque stelle?
La riforma della prescrizione è prescritta (!). Ne parliamo da decenni inutilmente, avvitandoci intorno al tema della durata dei processi, senza trovare una soluzione. Il mio punto di vista è che eliminare i termini di prescrizione dopo il primo grado di giudizio, con un sistema incapace di funzionare, porta a processi senza fine. E quindi a una denegata giustizia. Purtroppo la prescrizione oggi, in conseguenza della lentezza del nostro sistema, è divenuto uno strumento per sottrarsi alla pena. In realtà il senso della prescrizione sta proprio nel poter garantire tempi brevi e certi del processo perché si giunga all’accertamento della verità (giudiziaria) e alla irrogazione della pena in un momento in cui è ancora percepito il disvalore dell’offesa. Bisogna blindare i tempi, ridurre l’ipergarantismo processuale, modificare l’obbligatorietà dell’azione penale.
Ma è l’inefficienza del processo civile la macchia che scontiamo sul piano internazionale e che paghiamo in termini economici. Il nostro paese non è attrattivo per gli investitori perché non garantisce tutela.  
8. Questione immigrazione. Costatato il fatto che le centinaia di migliaia di clandestini di salviniana memoria sono ancora tutti sul nostro territorio, pare che la contrapposizione tra destra e sinistra rimanga molto netta, passando in pochi mesi da porti chiusi, a porti aperti con il comune denominatore che la questione continua ad essere irrisolta. Il continente africano negli ultimi anni ha richiamato attenzione ed investimenti soprattutto da parte dei cinesi, che evidentemente, vi intravedono una parte importante del loro futuro, non sarebbe il caso, anche per Italia ed Europa, avviare e rafforzare politiche di sviluppo di quelle aree in modo da creare condizioni per la naturale permanenza degli africani nelle loro terre ?
La differenza che c’è tra lo schema Salvini e il resto del mondo è che l’immigrazione è diventata la leva elettorale della Lega(Nord) e non è mai stata presa in carico da Salvini, Ministro dell’Interno. I porti chiusi sono stati uno dei tanti slogan senza costrutto e senza frutto. I dati dello stesso Ministero confermano che i flussi hanno avuto una sensibile riduzione dal 2017 al 2018. L’allora Ministro Minniti ha passato le consegne al Ministro Salvini a Giugno 2018, con una riduzione di sbarchi rispetto al precedente anno da 23mila a 3mila; a Giugno 2019 la riduzione è stata da 3mila a 1.200. E negli ultimi sei mesi i numeri sono stabili. Non sono i ponti levatoi la soluzione. Il fenomeno va gestito non con la logica del vittimismo violento e rabbioso, ma, come correttamente suggerisci, con misure di cooperazione che affrontino il problema alla radice. Poi c’è da fare un’operazione di normalizzazione dei migranti, partendo dall’assunto che i buoni e i cattivi ci sono ovunque e che il filtro all’ingresso e la regolamentazione dell’accoglienza, necessari a garantire una convivenza sicura, sono compito del Ministro dell’Interno e del Governo.
9. Recentemente il Cardinal Ruini ha ribadito con forza la questione “antropologica” , come questione dirimente per il futuro stesso dell’umanità che rischia di assoggettarsi a manipolazioni della sua realtà biologica e psichica, secondo una concezione puramente naturalistica o materialistica. Qual è il tuo pensiero rispetto alle questioni eticamente sensibili ad iniziare dal fine vita, utero in affitto, biogenetica?
Penso non ci si possa opporre alla ricerca e al progresso scientifico e credo che i temi etici, in quanto tali, non possano essere affidati a una disciplina normativa pregiudizialmente punitiva. E’ una materia complessa, perché coinvolge più principi costituzionali tra i quali è difficile trovare un bilanciamento, e delicata,   in quanto incide su scelte di coscienza che non sempre è possibile normare. Personalmente sono per lasciare libertà di scelta, regolamentando ruolo e compiti di supporto della parte pubblica; gli abusi di tale libertà sono già perseguibili con specifiche norme.
10. In questo quadro generale pensi sia vincente l’aggregazione dei cattolici sotto una stessa bandiera oppure ritieni necessario confrontarsi con altre culture politiche ad iniziare da quella liberale e quella riformista e trovare una nuova sintesi nel rapporto tra cattolici e laici per affrontare le sfide della globalizzazione e quelle che un futuro così incerto ci proporrà?
Ripeto, non credo nella necessità e nella opportunità di costruire un partito dei cattolici. Anche la Dc era un partito polare, ispirato alla cultura della dottrina sociale della Chiesa, laicamente impegnato a governare i problemi della convivenza civile tra cittadini, categorie sociali e popoli. E non credo comunque sia ripetibile.
Per me il significato dell’urgente bisogno di richiamare all’impegno i cattolici sta nella necessita di ridare alla politica un DNA valoriale che non deve essere geometricamente collocato nella spazio, ma sostanzialmente innestato nelle coscienze e nelle menti dei più.
11. In questo quadro così instabile, per riaggregare un fronte politico della ragionevolezza, pensi sia determinante l’approvazione di una legge elettorale proporzionale ?
Si. Sono per un sistema di voto proporzionale puro, con una soglia di sbarramento apprezzabile. La legge elettorale è il primo strumento di selezione della classe dirigente, di promozione della partecipazione civica e di responsabilizzazione dei partiti.
12. In caso invece di accordo tra le maggiori forze politiche che siedono in parlamento per una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, quale dovrebbe essere la collocazione strategica di una possibile aggregazione della ragionevolezza, da sola, con la destra, oppure con la sinistra?
Troppe le variabili indefinite per poter dare una risposta ora. Anche perché il sistema maggioritario costringerebbe non solo le piccole forze politiche, ma anche le grandi, a fare aperture. E quello sarà il momento in cui si potrà scegliere il punto più alto di mediazione.  Lo schema centro, destra e sinistra non è più attuale e non può essere utilizzato per definire un’area culturale di appartenenza.
13. Nell’epoca dei social dove il messaggio deve necessariamente essere breve per essere efficace, ma dove poi, spesso, dietro ad azzeccatissimi slogan troviamo il niente assoluto in termini di proposta politica e risposta alla complessità della società  e dei problemi che, come cittadini e comunità nazionale viviamo quotidianamente, non credi sia utile tornare ad approfondire le questioni, ricreare momenti per la elaborazione del pensiero politico, meditare le soluzioni, in estrema sintesi dare spazio a luoghi più o meno fisici nei quali ripensare e rielaborare una adeguata proposta politica cristianamente ispirata ed adeguata alle sfide che ci attendono?
Ti rispondo con una citazione. Don Sturzo diceva che alla politica serve “Soprattutto, non agire da ignoranti, né da presuntuosi. Quando non si sa, occorre informarsi, studiare, discutere serenamente, obiettivamente, e senza mai credere di essere infallibili”. Il problema dei social è che da strumento di comunicazione veloce ed efficiente sono diventati mezzo di collettamento del pensiero.