giovedì 27 maggio 2021

L'impegno civico dei centristi

 di Armando Dicone

Quante volte ci siamo detti che il cambiamento può avvenire solo se innescato dal basso? Tantissime, ma spesso non siamo riusciti a concretizzare questa buona idea.

Lo ripetiamo nei nostri articoli, nei convegni, ma poi non riusciamo a mettere in pratica quello che professiamo.

La nostra storia culturale e politica è piena di buoni esempi di elaborazione politica dal basso, cioè con la partecipazione popolare attiva, a partire dall'impegno dei nostri padri politici a favore delle autonomie locali. Nelle sezioni locali e nei municipi si formavano infatti le classi dirigenti.

 

Già nel primo decennio del '900, don Carlo De Cardona scriveva:

“il Municipio è del popolo; è fatto per gli interessi del popolo e non per la propaganda delle idee repubblicane o socialiste o cattoliche. 

Questo è il punto fondamentale: nel Municipio devono essere trattati, studiati, discussi gli interessi del popolo, diciamo di  tutti i cittadini, qualunque sia la loro fede, e il loro modo di pensare".

 

L'elezione diretta del sindaco facilità tale interesse generale? Nei fatti direi di no. 

Il mito della stabilità, seppur importante, svilisce il senso di comunità, facendo emergere le differenze tra i candidati, più che tra i diversi programmi per il futuro dei nostri Comuni. 

 

Nell'appello ai "liberi e forti" del 18/01/1919, si legge chiaramente quella che sarà la visione del partito popolare:

"Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i Comuni - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private".

 

Don Luigi Sturzo nel 1923 metteva in risalto le differenze con il fascismo: "la concezione popolare affida lo sviluppo locale alle energie locali; la concezione fascista lo fa di scendere dall'alto dello stato, unico centro di propulsione. Noi ne combattiamo il centralismo, noi riconosciamo che è necessaria la semplificazione nelle sue funzioni".

 

Sia nell'appello che nell'articolo citato, emerge l'idea politica circa la centralità della persona umana, che esprime i propri talenti negli organismi a lui prossimi e che per essere "liberi", necessitano dell'autonomia di funzione rispetto allo Stato centrale.

 

Nel 1931 con la lettera Enciclica “Quadragesimo Anno”, Papa Pio XI afferma: “Come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che nelle minori e inferiori comunità si può fare.”

 

Ancora più netto è Luigi Einaudi che ne "L’Italia e il secondo Risorgimento», il 17 luglio 1944 scriveva:

"Lo Stato lasciamolo riformarsi dal basso, come è sua natura. Riconosciamo che nessun vincolo dura e nessuna unità è salda se prima gli uomini i quali si conoscono ad uno ad uno non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo Stato. La distruzione della sovrastruttura napoleonica, che gli italiani non hanno amato mai, offre l'occasione unica di ricostruire lo Stato partendo dalle unità che tutti conosciamo e amiamo e che sono la famiglia, il comune, il territorio dove si vive e i suoi usi e costumi".

 

Stessa visione politica la ritroviamo in Alcide De Gasperi nella sua relazione del 23 luglio 1944 in un'assemblea della Democrazia Cristiana:

"Il comune che raccoglie le famiglie del territorio, in cui c'è la torre che ricorda un passato, un campanile che indica il cielo, delle libere istituzioni le quali vengono dai padri e rappresentano il patrimonio della nostra storia italiana, il comune deve rimanere la base della futura democrazia. Questa unità territoriale è tanto più necessaria perché l'esperimento che essa ha fatto e tutt'altro che negativo. Quando il fascismo ha voluto cominciare a distruggere il tessuto delle nostre libertà, ha iniziato il suo attacco ai comuni perché la' nei consigli comunali anche nei più piccoli che il popolo impara a reggersi".

 

Luigi Sturzo, in "Politica di questi anni", 1950-51, torna su autonomie locali e cittadinanza attiva:

“La nostra aspirazione è quella che le energie locali possano bene e ordinatamente sviluppare e consolidarsi, non contro uno stato unitario, ma entro lo stato e garantite dallo stato“;

“La provincia autonoma e il comune autonomo, in un coordinamento di poteri e di limiti, devono creare finalmente il cittadino autonomo”.

 

Questo breve excursus storico del pensiero centrista, dei nostri padri politici, lo ritroviamo nell'articolo 5 della Costituzione:

"La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento"

e nell'articolo 5 comma 3 del trattato sull'unione europea:

"In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione".

 

Come si può notare da questo breve "viaggio" nel tempo, l'impegno dei centristi per le autonomie locali viene da lontano.

L'impegno civico, che non vuol dire privo di valori o riferimenti ideali, non vuol dire civismo ideologico, bensì vuol dire impegno dal basso per una vera partecipazione popolare non telecomandata dall'alto, dove ogni essere umano può mettere in condivisione le proprie competenze per il bene comune.

Le prossime elezioni comunali di autunno vedranno impegnate molte amiche ed amici, che meritano il nostro sostegno, il nostro supporto, specie se impegnati nel portare avanti la nostra idea di municipalismo fuori dallo schema populisti contro sovranisti.

 

Grazie per l'attenzione.

giovedì 20 maggio 2021

Cosa sta succedendo in Israele

Di Leonardo Gaddini. 

In Israele da diversi giorni la popolazione si trova sotto i bombardamenti, che a oggi sono costate la vita a più di 200 persone e molte altre sono rimaste gravemente ferite o senza più una casa. Dopo anni di pace il conflitto israelo-palestinese si è riaperto dopo che il 10 febbraio, il Tribunale Distrettuale di Gerusalemme ha confermato una decisione del Tribunale dei Magistrati di Gerusalemme dell’ottobre 2020, richiedendo ad alcuni residenti del quartiere di Sheikh Jarrah di liberare le case in cui vivevano entro il 2 maggio, visto che era da diverso tempo che gli inquilini (4 famiglie palestinesi) non pagavano l'affitto ai proprietari degli immobili. A seguito di questa decisione, i residenti hanno presentato ricorso alla Corte Suprema che ha concesso alle parti tempo fino al 6 maggio, per raggiungere un accordo. Questa situazione è stata enfatizzata da alcune organizzazioni palestinesi, in particolare da parte di Al-Haq, che ha voluto ci fosse un interessamento da parte della Corte Penale Internazionale (ICC) e di funzionari delle Nazioni Unite, sostenendo che l’ordine del tribunale e la prevista rimozione forzata rappresentano crimini di guerra. Tali affermazioni e campagne distorcono, offuscano e cancellano i fatti del caso, che sono stati trattati più volte dai legittimi Tribunali israeliani negli ultimi decenni. 

Infatti, secondo una decisione dell’Alta Corte del 1979, e riaffermata ripetutamente nei casi successivi, nel caso di qualsiasi inquilino che vive sulla proprietà di qualcun altro, è tenuto a pagare l’affitto a chi possiede la titolarità delle proprietà. La loro incapacità di farlo, insieme a casi di costruzione illegale e affitto illegale di proprietà ad altri, ha portato all’attuale procedimento legale contro di loro, culminato nella decisione del Tribunale Distrettuale. Già nel 1982 la Corte aveva stabilito che Va’ad Eidat HaSfaradim e Va’ad HaKlali L’Knesset Yisrael, 2 organizzazioni no-profit israeliane, sono i proprietari legali della terra. Insomma una semplice controversia legale finita con lo sfratto di inquilini morosi è stata poi presentata da ONG e gruppi radicali come una violazione dei diritti umani da parte di Israele, questo ha fatto scoppiare violenti proteste da parte dei palestinesi che hanno generato scontri con la polizia e così il caso giudiziario è diventato il pretesto perfetto per riaprire il conflitto. 

Hamas infatti, il gruppo terroristico che dal 2007 controlla la Striscia di Gaza, ha iniziato subito a bombardare Israele, una pioggia di quasi mille missili si è abbattuta in poco più di 24 ore sulle città più importanti (e popolate), tra cui Gerusalemme e Tel Aviv. La maggior parte dei missili è stata intercettata dal sistema di difesa Iron Dome. Solo grazie a questo sistema Israele ha evitato di contare un più alto numero di vittime, ma dal punto di vista militare il numero impressionante di lanci ha una logica precisa: mandare in tilt le difese israeliane e penetrare lo scudo. Nei pochi casi in cui ciò è accaduto, i missili di Hamas (e della Jihad Islamica palestinese) hanno mostrato tutta la loro potenza distruttiva, smentendo chi si ostina a considerarli poco più che giocattoli. Hanno distrutto case, scuole, autobus, provocato morti e feriti. 

L’aggressione di Hamas si qualifica come doppiamente criminale. Da un lato, perché i suoi missili non sono diretti su obiettivi militari, ma prendono di mira indiscriminatamente i centri abitati. In secondo luogo perché Hamas ha disseminato postazioni di lancio e depositi di missili nei centri abitati di Gaza. Per la Convenzione di Ginevra è un crimine di guerra non solo colpire deliberatamente la popolazione e obiettivi civili senza alcun valore militare o strategico, ma anche lanciare attacchi da aree residenziali e trasformare in depositi di armamenti ospedali, scuole e luoghi di culto, rendendoli così obiettivi militari. Il Governo israeliano ha allora risposto a sua volta con un bombardamento, ma a differenza di Hamas che spedisce razzi sparsi senza un obiettivo vero e proprio, le Forze di Difesa Israeliane hanno bombardato luoghi mirati dove si trovavano terroristi e quando essi si trovavano vicino a case con dei civili ha sempre avvertito i residenti di quei luoghi facendo prima suonare l'allarme, dando così loro il tempo di mettersi al riparo. 

Ma perchè proprio ora Hamas ha deciso di attaccare? Molti esperti sostengono che tutto sia dovuto al fatto che qualche mese prima Habbas, il Presidente dell’Autorità Palestinese, ha annunciato la decisione di rinviare le elezioni (le prime in 15 anni) a data da destinarsi, allora Hamas ha chiamato i palestinesi, alla rivolta contro Israele, allo scopo di mostrare con i fatti la sua leadership e la debolezza di Abbas. Non a caso, Hamas intendeva candidarsi alle elezioni poi rinviate con una lista denominata “Gerusalemme è il nostro destino”. Sperava di fare di Gerusalemme il tema principale della sua campagna elettorale, promettendo di proseguire la lotta contro Israele “fino alla liberazione” della città santa. Una volta rinviato il voto, non ha rinunciato al suo proposito e ha fatto di tutto per presentarsi come paladina della Gerusalemme palestinese e come l'unico gruppo a mantenere la sua promessa di combattere per Gerusalemme mentre l’Autorità Palestinese si dimostrava incapace di farlo. Hamas si è così ripresa il centro della scena, accendendo la miccia delle ostilità e dettando i tempi dell’escalation.

Ma la lettura degli eventi in corso sarebbe incompleta senza considerare il contesto regionale. Infatti il Principale sponsor e fornitore di armi ad Hamas (e alla Jihad Islamica) è l’Iran e poi il Presidente turco Erdogan ha subito iniziato a soffiare sul fuoco ergendosi a paladino della causa palestinese per intestarsi la leadership del mondo musulmano sunnita e riaffermare la centralità di Ankara. È impensabile che dietro un attacco di così vasta scala di Hamas non ci sia il via libera di Teheran. Secondo molti l’Iran sta fornendo di armi Hamas anche per far saltare gli Accordi di Abramo stipulati da Israele con gli Emirati Arabi Uniti e il BahreinInsomma la loro linea è: con Israele non si tratta, va solo combattuta con le armi alla mano. Una strategia pienamente appoggiata da un fronte composito, anche se minoritario, che comprende i Fratelli Musulmani e altri gruppi estremisti. Con buona pace di tutte quelle persone innocenti che perdono la loro vita per questi vili "giochi di potere". Tra le quali anche palestinesi che dopo essere uccisi dal "fuoco amico" vengono usati da Hamas come martiri per aumentare il proprio consenso. E Israele, indebolito da una drammatica crisi di Governo che dura da anni, è obbligato a rispondere per difendere i suoi cittadini inermi e il suo diritto a esistere.

venerdì 14 maggio 2021

La conoscenza vera dell'Islam è l'antidoto al radicalismo #donnealcentro

Qui di seguito due punti di vista che parlano della questione femminile nell’islam e che possono essere di spunto per il dibattito e per promuovere e sensibilizzare le persone sulla questione dell’inclusione delle donne e della parità di genere, essendo consapevole della complessità della questione invito tutti comunque a commentare.

 

Citazione del Grande Imam, lo sheikh di Al Azhar (Università islamica del Cairo),  Ahmad Al Tayeeb

 

“L’Islam respinge qualsiasi forma di discriminazione o segregazione con il concetto di “cittadinanza” al posto di quello delle minoranze, non è più l’appartenenza religiosa a definire i diritti e i doveri di ciascuno ma è la cittadinanza”.

Oggi le femministe islamiche che vogliono la riforma sull’eredità potrebbero dire che ci troviamo in un diverso contesto storico visto che ci sono donne capo famiglia, che lavorano, pagano le tasse e dividono lo stesso peso economico dell’uomo”.

Molte pratiche e discriminazioni che colpiscono le donne non hanno origini religiose ma sono frutto di fattori sociali e di tradizioni. L’Islam 14 secoli fa ha concesso dei diritti alle donne come il diritto allo studio, al lavoro, all’indipendenza materiale, diritti che in Occidente sono stati concessi solo nel XIX secolo.

I precetti dell’islam sono di due categorie: una stabile e permanente: una stabile e permanente che non è soggetta a cambiamenti, l’altra è mutevole ed è permesso adeguarla a partire da basi giuridiche e teologiche previste dall’islam stesso.

Non penso che la questione della donna nell’islam sia un fatto problematico.

Nell’islam la donna è partner dell’uomo. La poligamia ad esempio è subordinata alla giustizia e non deve arrecare danno alla prima moglie. Per quanto riguarda l’eredità, lo squilibrio riguarda le divisioni tra fratelli e sorelle e non tutti gli uomini e donne.

Quando il fratello riceve il doppio dell’eredità è perché si vuole incaricare maggiormente il padre e il marito del suo mantenimento

Non ci sono conflitti a causa di differenze religiose nell’islam ma sono da ricondurre a conflitti politici, il Daesh e i movimenti radicali sono frutto di interessi esterni che sfruttano le differenze religiose per spaccare i Paesi musulmani e che solo attraverso la conoscenza vera dell’islam e dei suoi valori si possa combattere il fondamentalismo”

 

Il femminismo islamico:

 

Le donne nell’islam sono teologhe, studiose e attiviste, alcune sono imam (al femminile imamah) e guidano la preghiera nelle moschee europee e americane.

L’organizzazione Sisters in Islam di Ani Zonneveld divulga i valori di giustizia e di uguaglianza nei Paesi musulmani con una rete capillare in Tunisia, Burundi, Indonesia e si pongono domande su quale islam vogliamo che si diffonda, quello fondamentalista oppure quello inclusivo ed egualitario? In ogni caso, per la parità di genere bisogna lottare.

Il Corano contiene il principio di uguaglianza, gli ostacoli restano nella tradizione interpretativa rimasta per secoli ad appannaggio degli uomini. Le imam non ritengono accettabile la poligamia, per quanto riguarda il sesso fuori dal matrimonio ci sono posizioni differenti.

In Italia non ci sono guide religiose donne per diversi motivi: sono soddisfatte del proprio ruolo, si adeguano alla norma, si sentirebbero a disagio a prostarsi a terra davanti ad occhi maschili. Le moschee guidate da donne sono ancora meno delle imam.

 

Fonti: La Stampa, Iodonna

venerdì 7 maggio 2021

La cornice del puzzle. Nuove politiche di centro.

 di Armando Dicone

Gli ultimi anni hanno confermato l'incapacità di governare dei populisti/sovranisti, molto bravi ed efficaci nel gridare cosa non funziona nel Paese, ma inefficaci nel risolvere ciò che denunciano. Altro elemento di novità che sta emergendo tra i riformisti, popolari e liberali, sempre più con maggiore forza, è la necessità e l'urgenza, di costruire un nuovo progetto politico indipendente dal bi-populismo.

Quando si inizia un nuovo percorso politico è necessario partire dai contenuti e non dal contenitore, proprio come quando si inizia un nuovo puzzle è utile scegliere la cornice che lo sosterrà, possibilmente, il più a lungo possibile. Senza un pensiero forte, valori e ideali di riferimento non è possibile creare un progetto politico che duri oltre il voto.

Dopo le elezioni politiche del 2018, si è reso ancora più urgente la costruzione di un nuovo progetto culturale e politico, che definiamo di centro per sottolineare l'autonomia dai due schieramenti populisti, oltre che per evidenziare i riferimenti solidi che rappresentano la cornice che lo sosterrà nel tempo.

 

Don Luigi Sturzo, nell'articolo pubblicato sul Popolo nuovo il 26 agosto del 1923, scriveva:

"Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: - siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; - vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; - ammettiamo l'autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; - rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; - vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto del nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.

Questa posizione non è tattica. E' programmatica, cioè non deriva da una posizione pratica di adattamento o di opportunità: ma da una posizione teorica di programma e di idealità.

 

Aldo Moro, nel 1944, precisava che "il centro non è statico ma dinamico, importante non solo come luogo fisico o geografico, ma come funzione politica a condizione di essere alternativo alla sinistra e alla destra".

 

Queste due citazioni rappresentano il punto di partenza per l'elaborazione del nuovo pensiero politico centrista, sottolineandone così l'autonomia identitaria e programmatica.

Definito il perimetro è necessario individuare i riferimenti (la cornice) che supporteranno il programma (il puzzle) del nuovo percorso politico centrista.

Nella presentazione di "Forum al Centro" ne abbiamo individuati quattro: europeismo; il rispetto e la tutela dell'ambiente e di ogni persona umana; i valori civili, sociali ed economici della costituzione; l'incontro tra la dottrina sociale cristiana e l'economia sociale di mercato.

 

L'Europa che sogniamo e che vogliamo, è quella federale, solidale e unita nelle scelte economiche e politiche, l'Europa che concretizza i valori e gli ideali espressi nei trattati, come ad esempio all'art. 3 del TUE:

"Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente".

 

Parlando di "persona umana e ambiente" mi riferisco al più grande, almeno secondo me, insegnamento di Papa Francesco:

Laudato si' n. 139

"Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura".

Come dice spesso il pontefice "tutto è connesso" e noi non possiamo non tenerne conto nelle nostre proposte, per il programma che verrà.

 

La nostra Costituzione, la più bella del mondo, è sempre più dimenticata e presa a "la carte". Quante volte, negli ultimi decenni, abbiamo sentito dire che il presidente del consiglio può fare ciò che vuole perché scelto dal popolo? Quante volte hanno calpestato i valori in essa espressi in nome del popolo? Il popolo vuole meno politica? Allora tagliamo finanziamento pubblico e seggi parlamentari, che ci vuole.

Noi dobbiamo continuare a difenderla dal bi-populismo, che con la ghigliottina arriverebbe a cancellare perfino le istituzioni repubblicane, in nome del capo scelto dal popolo. Dobbiamo pretendere il pieno rispetto e l'attuazione dei valori civili, sociali ed economici della nostra amata Costituzione.

 

Altro passaggio fondamentale, per un nuovo progetto culturale e politico dei centristi, è la combinazione pragmatica tra gli insegnamenti della dottrina sociale cristiana e l'economia sociale di mercato, che ha già dato i suoi buoni frutti soprattutto in Germania e in Europa.

Il 12 gennaio 2011 la Commissione delle conferenze episcopali della comunità europea (COMECE) pubblicò un documento favorevole all'economia sociale di mercato dell'UE capace di coniugare "il principio della libertà del mercato e lo strumento di un'economia competitiva al principio di solidarietà e ai meccanismi della giustizia sociale".

 

I quattro riferimenti, scelti insieme nel marzo del 2019, devono essere una guida per il programma che verrà, un puzzle capace di seguire il percorso indicato dai nostri padri politici, tra cui Wilhelm Ropke, che nel 1944 pubblicava "Civitas humana":

"Alle questioni posteci dai collettivisti si può dare ancora, e oggi più che mai, una risposta liberale, anche se decisamente diversa da quella del liberalismo storico, anzi questa è l'unica risposta conciliabile con una Civitas humana".

Luigi Einaudi nell'articolo del 1942, dal titolo Economia di concorrenza e capitalismo storico - La terza via fra i secoli XVIII e XIX, scriveva:

"Se al sistema economico fondato sulla concorrenza di mercato, al quale ben conviene la denominazione di liberale – democratico, perché imperniato sul comando del consumatore e sulla soddisfazione dei desideri effettivi non della maggioranza della collettività consumatrice ma di ognuno in particolare, contrapponiamo l’opposto sistema collettivistico, la superiorità del primo appare evidente e sorprendente, le leve di comando nell’economia collettivistica passano dal consumatore e dal mercato al dirigente ed all’ufficio", nello stesso articolo suggeriva una chiave di lettura molto efficace degli studi de "Il Röpke, preferisce non dare un nome al suo indirizzo e perciò lo chiama semplicemente “la terza via”, la via d’uscita dal dilemma della scelta fra il capitalismo o liberalismo storico ed il “collettivismo”, ambedue a lui in sommo grado ripugnanti.

 

Per tornare al nostro pragmatismo solido, cioè con riferimenti ideali storici ma attualizzati e aderenti alle nuove esigenze, vorrei ricordare il discorso di Alcide De Gasperi al IV Congresso nazionale DC, tenutosi a Roma, il 25 novembre del 1952:

"Se è vero che prima di tutto è necessario salvare il regime democratico e la libertà, allora è vero che almeno nel periodo attuale, all’epoca che attraversiamo, la linea della soluzione va cercata in una linea di mediazione fra la necessità di servire la libertà e la tendenza ad una sempre maggiore giustizia sociale".

 

In questa cornice, con i quattro riferimenti citati, possiamo elaborare, insieme, nuove politiche di centro, un puzzle per il futuro, pur sapendo che la nostra mission resta nell'ambito della "domanda politica", possiamo contribuire a rendere più efficace l'offerta.

 

Grazie per l'attenzione.

sabato 1 maggio 2021

Il PNRR italiano

Di Leonardo Gaddini

Dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei Ministri e di entrambi i rami del Parlamento, il Governo ha reso nota l'ultima versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR, a questo link il testo completo: https://img-prod.ilfoglio.it/2021/04/27/171307879-f8960089-1f36-4cd6-8d12-fa256ceda359.pdf). Sono 337 pagine che prevedono una spesa complessiva di 248 miliardi di euro, la gran parte di essi (191,5 miliardi) è rappresentata da sovvenzioni e prestiti del programma europeo Next Generation EU, di cui il PNRR costituisce di fatto la declinazione italiana. I restanti miliardi arriveranno da un Fondo complementare finanziato con risorse nazionali attraverso lo scostamento di bilancio pluriennale recentemente autorizzato dal Parlamento. Come ha spiegato Draghi ai parlamentari "nell’insieme dei programmi c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione Europea e protagonista del mondo Occidentale". 

Il testo è articolato in sei "missioni" da assolvere (come stabilito dal NGEU): digitalizzazione, transizione ecologica, investimenti in infrastrutture, istruzione e politiche del lavoro e sanità. Poi esso prevede una serie di riforme ambiziose da portare a termine per materie come: Pubblica Amministrazione, Giustizia, promozione della concorrenza e semplificazione della legislazione. Il PNRR rappresenta, secondo lo stesso Presidente del Consiglio, quell'impegno a saper "combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza". La ripartizione delle voci di spesa è la seguente: 48,925 miliardi alla transizione digitale, 69,1 miliardi alla transizione ecologica, 31,9 miliardi alle infrastrutture, 22,3 miliardi alla coesione sociale e territoriale. 32 miliardi andranno all'istruzione, 18 miliardi alla sanità. 

Per quanto riguarda l’impatto del Piano, il Governo stima che nel 2026 il Prodotto Interno Lordo sarà superiore del 3,6% rispetto allo scenario di partenza e l’occupazione sarà più alta del 3,2% con una riduzione sensibile dello storico divario tra Nord e Sud del Paese e un impatto per il Mezzogiorno che sarà più forte. La gestione centrale del Piano sarà affidata al Ministero dell’Economia che dovrà monitorare e controllare lo stato di avanzamento di riforme e investimenti, fungendo anche da unico punto di contatto con la Commissione Europea. Ministeri e amministrazioni locali (gli enti territoriali avranno competenza su risorse per oltre 87 miliardi) avranno una responsabilità diretta per la realizzazione dei progetti entro i tempi concordati. Ma la definizione dettagliata della governance, questione politicamente molto delicata, richiederà un apposito decreto governativo da emanare al più presto.

Il primo decreto legge per attuare il Recovery Plan sarà presentato entro la prima settimana di maggio. Mentre per la metà di luglio, quando dovrebbe arrivare la prima tranche da 24 miliardi di anticipo, sarà pronto il nuovo set di regole per ridurre burocrazia e vincoli e tagliare i tempi per l'approvazione dei progetti. Si andrà dalla proroga di una serie di norme già in vigore dall'estate scorsa, all'istituzione di una commissione ad hoc, statale, per la valutazione del impatto ambientale che avranno le opere del PNRR, fino all'eliminazione degli ostacoli burocratici che hanno frenato finora l'utilizzo del Superbonus per il quale sono previsti 18,5 miliardi tra Recovery e fondo extra che lo rendono di fatto la misura più imponente di tutto il PNRR e se serviranno altri fondi, saranno stanziati con la legge di Bilancio. Ma gli obiettivi del Recovery sono ambiziosi in tutti gli ambiti, dalla banda ultralarga che dovrà raggiungere 8 milioni e mezzo di famiglie, 9mila scuole e 12mila ospedali, al riciclo della plastica che a fine piano dovrà arrivare al 65% o lo spreco dell'acqua che andrà ridotto almeno del 15%. Risultati che per essere ottenuti avranno bisogno di interventi sulla regolazione che in parte, però arriveranno con la legge sulla concorrenza, che tornerà annuale a partire da quella che sarà presentata alla metà di luglio. 

Tutti i Ministeri dovranno correre: la Pubblica Amministrazione vedrà cambiare le regole per reclutamento e concorsi, le carriere, la formazione, la digitalizzazione, e avrà a disposizione 1,67 miliardi tra fondi PNRR e fondi strutturali e dovrà mettere al centro la competenza, come sottolinea il Ministro Renato Brunetta. Mentre la Giustizia sarà impegnata a rivedere l'intero sistema per tagliare i tempi dei processi, a partire dai processi civili, per eliminare uno dei freni più potenti all'attività economica. L'obiettivo, in questo caso, è adottare le deleghe entro settembre 2021 e chiudere con tutti i decreti attuativi entro un anno. Altra riforma chiave e parte integrante della ripresa sarà anche quella del fisco, che pure figura tra quelle di accompagnamento al piano (perché non utilizza direttamente le risorse europee): il Governo si impegna a presentare la delega entro la fine di luglio e a insediare una commissione di esperti per procedere rapidamente anche con i decreti attuativi, partendo dal lavoro che sta portando avanti il Parlamento con una apposita indagine conoscitiva che entro giugno dovrebbe produrre un documento finale con linee guida il più possibile condivise tra le forze politiche della larga maggioranza.  

Ieri la Commissione Europea ha ricevuto il testo del PNRR, il confronto con i vertici dell'Ue è stato serrato già in fase di elaborazione e quindi l’iter a livello europeo non dovrebbe comportare sorprese in questa prima fase. Ben più impegnativa sarà l’attuazione tempestiva e puntuale del Piano a cui è legata l’effettiva erogazione delle risorse. Negli ultimi sette anni il nostro Paese, complessivamente inteso, è riuscito a spendere solo il 40% dei finanziamenti stanziati attraverso le diverse tipologie di fondi europei. Stavolta non possiamo permetterci passi falsi. Si tratta di un’occasione irripetibile innanzitutto per risollevarci dalle conseguenze del Covid e per ricucire le fratture economico-sociali prodotte dalla pandemia, ma anche per sciogliere alcuni nodi strutturali che ci trasciniamo dietro da decenni. “A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani”, ha detto il Premier citando Alcide De Gasperi. E come nella ricostruzione post-bellica sono necessarie quell’unità e quella coesione che il Capo dello Stato ha richiamato ancora una volta in occasione del 25 aprile.