martedì 2 maggio 2023

Democrazia economica

 di Erminia Mazzoni

Partecipazione al lavoro”, questo il titolo della proposta di legge di iniziativa popolare che, il 20 Aprile scorso, Luigi Sbarra, segretario nazionale CISL, insieme ad altri 9 promotori, ha depositato in Cassazione per dare il via a un oneroso iter legislativo su una materia estremamente complessa.
L’avventura merita attenzione e supporto per due diversi ordini di motivi.
In primo luogo, per una questione di metodo, perché l’iniziativa di legge popolare è uno strumento di democrazia e di esercizio fondamentale della sovranità popolare come il voto.
Richiama a quel ruolo attivo dei cittadini che la nostra Costituzione sollecita in più parti e che, purtroppo, ha sempre meno interpreti. 
Nel merito la regolamentazione delle forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa rappresenta una incompiuta nel nostro paese, alla quale è opportuno dare una definizione.
È necessario che si chiarisca quanto siamo realmente consapevoli e determinati a modificare il rapporto tra imprenditore e lavoratore, intendendoci sulle finalità di tale operazione.
Dell’argomento si discute fuori e dentro le aule parlamentari da più decenni. 
Dalle aule in più di un caso il dibattito è stato tirato fuori e trasferito sui tavoli governo-sindacati.
Abbiamo all’attivo il c.d. “Codice della partecipazione”, strumento di soft law, contenente una raccolta della normativa vigente, e una legge delega - Art. 4, commi 62 - 63 legge n. 92/12, cd. Riforma Fornero, che affidava al Governo il compito di dare organicità e sistematicità alle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al capitale. Sia il riordino della normativa in un corpus unico che la delega al governo non hanno prodotto frutti. Dal 2012 vari sono stati i percorsi legislativi avviati senza mai approdare ad una approvazione. Il tentativo più avanzato è stato quello del 2015, quando ben sei proposte di legge, presentare in maniera bipartisan, furono accorpate per un esame congiunto e veloce, ma il tutto si arenò nelle sedute di un comitato interministeriale costituito ad hoc per sciogliere i nodi sorti in sede parlamentare. 
Questo sommario excursus serve a dare l’idea di quanto il terreno su cui si gioca sia impervio.
La trama è molto articolata. 
Le macrocategorie della c.d. partecipazione al lavoro si distinguono in partecipazione al capitale, partecipazione agli utili e partecipazione alla gestione.
La prima, formula di partecipazione finanziaria in senso stretto, prevede da parte dell’impresa l’offerta, a condizioni concordate e preferenziali, ai dipendenti di quote o azioni, per lo più al fine di aumentare la capitalizzazione.
La seconda, preordinata a incentivare la produttività, ancora ad essa la retribuzione.
La partecipazione alla gestione è orientata a promuovere il coinvolgimento dei dipendenti nelle scelte aziendali, attraverso meccanismi e procedure di adozione delle decisioni che attribuiscano un peso al loro voto.
A uno sguardo superficiale e sommario non si coglie la profonda complessità della disciplina che si intende introdurre nel nostro sistema.
I settori interessati sono molteplici: diritto societario, del lavoro, tributario e finanziario.
I due principali fattori della produzione, capitale e lavoro, debbono dialogare di più e meglio, ma non fino a determinare la confusione tra essi e compromettere l’equilibro.
Voci come rischio d’impresa, retribuzione, oneri fiscali o previdenziali, tutela del lavoro assumono connotazioni nuove, molte intuibili non tutte facilmente prevedibili tanto da poterle normare compiutamente.
E poi ci sono i principi costituzionali da coordinare, anche secondo il criterio della prevalenza, quelli dettati dagli articoli 41, 46 e 47: libertà di impresa, diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende e tutela del risparmio e promozione di quello popolare.
Tra esigenze di finanziamento delle imprese e di promozione della produttività del lavoro e opportunità di incentivare la partecipazione del lavoratore alla gestione dell’azienda, tutte condivise e condivisibili, il legislatore, sia esso istituzionale che popolare, deve partire dalla consapevolezza che dietro il concetto di “partecipazione” si possono nascondere insidie per entrambe le parti.
Questo non deve far demordere dall’intrapresa, ma deve convincere ad usare la fase di raccolta firme per approfondire, spiegare, condividere.