giovedì 23 dicembre 2021

La parità di genere è una realtà in Europa? #DonnealCentro #Discriminazione

La parità tra donne e uomini è uno dei principi fondanti dell'Unione europea. Negli ultimi decenni l'UE ha compiuto notevoli progressi per quanto riguarda la parità di genere. Tuttavia le disparità persistono e nel mercato del lavoro le donne continuano a essere sovrarappresentate nei settori peggio retribuiti e sottorappresentate nei livelli decisionali.  

L'azione dell'UE a favore della parità di genere è integrata in vari settori politici e mira a garantire pari diritti, quali l'uguaglianza nel processo decisionale, l'eliminazione della violenza di genere e del divario retributivo di genere. 

di Valeria Frezza

Nell'Unione europea (UE-27) le donne guadagnano in media il 16% in meno rispetto agli uomini, con differenze significative tra i vari paesi e adotta varie leggi, come quella sul diritto all'equilibrio tra vita professionale e vita privata. 

Le disuguaglianze di genere nell'istruzione persistono, ad esempio in termini di preferenze di studio. Le donne hanno maggiori probabilità di avere un diploma di istruzione superiore, ma continuano a essere sovrarappresentate in settori di studio legati a ruoli femminili tradizionali, come quelli connessi all'assistenza, e sottorappresentate in quelli della scienza e dell'ingegneria.

Il 33% delle donne nell'UE ha subito violenze fisiche e/o sessuali. 

L'UE mira a combattere la violenza di genere attraverso la legislazione e le misure pratiche sui diritti delle vittime in linea con la convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

Infine, le donne sono meno rappresentate nelle posizioni direttive in diversi settori: politica, economia, scienza e ricerca. Solo il 7,5% dei presidenti dei consigli di amministrazione e il 7,7% degli amministratori delegati sono donne.

I cittadini dell'UE hanno a disposizione molti modi per combattere la disuguaglianza di genere. Individuare il problema è il primo passo e di chiedere aiuto il secondo.

Fonte: Europa.eu

mercoledì 22 dicembre 2021

Cosa sta succedendo in Bosnia-Erzegovina

Di Leonardo Gaddini

Sono passati ormai più di 25 anni dalla fine della guerra in Bosnia ed Erzegovina e oggi purtroppo il fallimento dello Stato e perfino un nuovo conflitto non sembrano più esclusi. Il processo di trasformazione ipotizzato doveva trasformare la Bosnia in uno Stato moderno, multiulturale e pacifico, magari anche all'interno dell'Unione Europea, ma il risultato ottenuto è completamente insufficente oggi infatti tale processo è in stallo. Diversi anni di instabilità politica, crisi economica e riforme disattese hanno causato un forte malcontento popolare. La scena politica bosniaca è dominata da un "cartello" fra i principali Partiti etnici dei tre "popoli costitutivi" del Paese (come dice la Costituzione) i bosgnacchi musulmani, i croati cattolici e i serbi ortodossi. 

Non esistono infatti "Partiti nazionali", ma solo a livello federale, il Paese è infatti costituito dalla "Republika Srpska" a maggioranza serba, e dalla "Federazione Bosniaca", a maggioranza bosgnacca (a loro volta suddivise in vari Cantoni). La logica di partenza di queste suddivisioni territoriali era di garantire la continuità dell’unità statale, ma allo stesso tempo di dare a tutti i gruppi il controllo su parti del territorio. Infatti inizialmente le competenze che la Costituzione riconosceva allo Stato centrale erano minime, ma col tempo grazie alla pressione internazionale, i poteri dello Stato centrale sono aumentati specialmente in materie fiscali, di tassazione e giudiziari oltre all’unificazione dell’esercito. Queste e altre competenze ora statali sono considerate essenziali anche per la preparazione alla futura adesione all’UE.

Negli ultimi anni invece, con le loro posizioni differenti e le divisioni retoriche i Partiti etno-nazionalisti hanno creato un clima di guerra fredda interna, con blocchi reciproci e veti incrociati che impediscono ogni progresso. Mentre mobilitano il proprio elettorato con la paura e l’odio nei confronti dell’altro, tali Partiti formano allo stesso tempo un cartello efficace per la spartizione delle risorse creando un sistema clientelistico pervasivo che soffoca ogni opposizione. Tale sistema di "etnocrazia" viene rafforzato, di tanto in tanto, da qualche crisi costruita ad arte per assorbire l’attenzione e l’energia di tutti gli attori, internazionali e locali, come ulteriore garanzia che non ci saranno riforme. 

La tensione è aumentata alla fine dell’estate, dopo l’introduzione, promossa dall’Alto Rappresentate ONU, di un emendamento del codice penale bosniaco che vieta la negazione del genocidio di Srebrenica e l’esaltazione dei criminali di guerra. Per Dodik e il suo Partito, è stato il pretesto per alzare il livello di uno scontro sempre presente. Nel giro di un paio di mesi, il leader serbo-bosniaco ha boicottato le istituzioni statali, per poi annunciare la creazione di diverse strutture parallele. A fine ottobre, inoltre, la polizia della Republika Srpska ha organizzato due diverse esercitazioni delle forze speciali per la prevenzione del terrorismo, una della quali molto vicino la capitale Sarajevo. Questa serie di eventi, conditi da toni minacciosi, ha rievocato nella popolazione le immagini della guerra civile. Tra le altre cose, i serbo-bosniaci chiedono l’abolizione del ruolo dell’Alto Rappresentante, attualmente ricoperto da Christian Schmidt. Questa richiesta è appoggiata anche dalla Russia, che ha minacciato di porre il veto al Consiglio di Sicurezza ONU in occasione del rinnovo della missione internazionale Eufor Althea qualora non fossero stati eliminati i riferimenti all’Alto rappresentante.

L’attuale crisi ha toccato l'apice quando il Parlamento della Republika Srpska ha approvato una riforma costituzionale che, unilateralmente, prevede il ripristino delle competenze originarie dello Stato federale, svuotando così lo Stato centrale. La riforma non sarà vincolante fino a quando il Parlamento della Federazione Bosniaca lo approverà (cosa che difficilmente accadrà). Tuttavia, come ogni crisi precedente anche quella attuale pone la domanda, se essa non sia diversa e più pericolosa. Per dare una risposta occorre notare il cambiamento del contesto. I 15 anni di disimpegno internazionale e di consolidamento dell’etnocrazia hanno peggiorato di molto la situazione interna.

Inoltre, la situazione geopolitica è cambiata: sotto la Presidenza Trump gli americani hanno cercato di promuovere uno scambio di territorio fra Serbia e Kosovo per “risolvere” il problema della diversità delle popolazioni, un messaggio devastante per la convivenza tra gruppi diversi in altre aree. La Cina e la Turchia hanno aumentato la loro presenza e i loro interventi nei Balcani a favore di parti diverse. Ma è soprattutto la Russia che, sostenendo il regime autoritario in Serbia e gli indipendentisti serbi della Bosnia-Erzegovina, persegue una strategia di divisione e conflitto per raggiungere il proprio interesse che consiste nella destabilizzazione della regione e nel bloccare l’espansione della NATO, oltre che nel creare l'ennesimo staterello con un Governo fantoccio a lui fedele (come in Transnistria, Bielorussia, ecc...).

Così, in Bosnia da anni la Russia non collabora più nel consiglio per l’attuazione dell’accordo di pace e ha contrastato la successione nella carica dell’Alto Rappresentante del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Forti di tali divisioni della Comunità internazionale, i nazionalisti serbi guidati da Milorad Dodik, attualmente membro della Presidenza Collettiva della Bosnia-Erzegovina, sono tornati alle minacce di smantellamento dello Stato e di secessione oltre agli annunci di non riconoscere più l’autorità dell’Alto Rappresentante. La Comunità internazionale e l’UE non sembrano determinate a contrastare questo comportamento con delle misure forti (sanzioni mirate, rafforzamento della missione militare o simile), ma cercano di tranquillizzare tutti sperando che passi al più presto anche questa crisi. In concreto, secondo la mozione della Republika Srpska il Governo dell'entità dovrebbe nei prossimi sei mesi elaborare nuove leggi per l‘esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario al fine di sostituire le attuali leggi statali, un chiaro passo verso la secessione.

Purtroppo la gente di Bosnia-Erzegovina vive ancora una volta nella paura del conflitto. La Comunità internazionale non dovrebbe sottovalutare il pericolo. Questo è il momento di dimostrare unità per proteggere e promuovere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto in Bosnia-Erzegovina. Questo è il momento di lavorare per allentare le tensioni, utilizzando al meglio il dialogo multilaterale, la cooperazione e gli strumenti di coordinamento forniti dalle organizzazioni internazionali.

mercoledì 8 dicembre 2021

Riflessioni di #ForumalCentro sulla violenza contro le donne

Pubblichiamo di seguito alcune preziose riflessioni dei nostri partecipanti del gruppo #ForumalCentro:

di Erminia M.

Perché il 25 Novembre ritorni 365 volte in un anno.

Di anno in anno, indagine dopo indagine, l’Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali aggiorna i dati sulla violenza contro le donne in Europa, per suggerire (non ha poteri) interventi. Una percentuale stimata tra il 20 e il 25% di tutte le donne in Europa ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nella vita adulta e circa l’8% delle donne ha subito violenze sessuali. L'indicazione più rilevante degli anni più recenti è l'aumento di forme di violenza praticate da mariti, partner o ex mariti o ex partner e l'aumento di donne uccise sul totale degli omicidi.

Le rilevazioni statistiche confermano che quattro donne su cinque non si sono rivolte a nessun servizio (sanitario, sociale o di assistenza alle vittime) a seguito degli episodi più gravi di violenza ad opera di persone anche diverse dal partner; le donne che hanno chiesto aiuto si sono rivolte più spesso ai servizi medici, fattore che sottolinea la necessità di garantire che i professionisti in ambito sanitario siano in grado di affrontare le esigenze delle vittime di violenza; due donne su cinque non erano a conoscenza delle leggi o delle iniziative politiche, che tutelano le donne in caso di violenza domestica, e la metà ignorava l'esistenza di leggi o iniziative di prevenzione.

Purtroppo quindi anche quest’anno il 25 Novembre è stata un’occasione per ripassare dati dolorosi su un fenomeno di incultura che mortifica la nostra umanità. 

La violenza contro le donne colpisce l’intera società, non una parte, perché viola le regole di base del vivere civile e tradisce i principi fondamentali della tutela della integrità e della dignità della persona. 

Bisogna fare di più e meglio affrontando con politiche mirate il problema nella sua complessità. Difendere compiutamente un target così diffuso ed eterogeneo da una minaccia che si manifesta, per lo più, attraverso comportamenti plurimi e distribuiti nel tempo richiede investimenti importanti. Per prevenire è necessario lavorare sul fronte della educazione, della istruzione, della informazione, del lavoro e per curare è necessaria una rete di assistenza altamente specializzata che possa prendere in carico in maniera globale le vittime e perché no i carnefici.

Considerando che, secondo la valutazione del valore aggiunto europeo, il costo annuo per l'UE della violenza di genere contro le donne è stimato a 228 miliardi di EURO nel 2011 (pari all'1,8 % del PIL dell'UE), di cui 45 miliardi di EURO all'anno in servizi pubblici e statali e 24 miliardi di EURO in perdita di produzione economica, se si intervenisse con azioni mirate il costo dell'investimento sarebbe sempre coperto dal risparmio ottenuto. I numeri (ahimè) servono per i rigoristi della spesa, che, anche nei settori sensibili, come quello della tutela delle persone e della loro integrità fisica, frenano, opponendo la mancanza di risorse.

L’Ue e l’Italia da anni lavorano sul lato più della punizione e della repressione  che di quello della presa in carico. Ma è una risposta tardiva e, peraltro, considerata l’inefficienza del sistema giustizia, non serve. 

La violenza inizia in ogni pensiero, azione ed omissione che porta un essere umano a far decadere la propria natura allo stato ferinico. La violenza è in  ogni atto contrario al rispetto della persona. Ed è da qui che si dovrebbe partire.

E bisognerebbe ricordare che la violenza di genere coinvolge vittime e autori di ogni età, livello di istruzione, reddito e posizione sociale ed è anche legata alla ripartizione iniqua del potere tra le donne e gli uomini nonché a idee e comportamenti basati su stereotipi radicati nella nostra società che è necessario combattere fin dalle primissime fasi della vita, al fine di cambiare gli atteggiamenti.

La povertà estrema semplicemente aumenta il rischio di violenza e di altre forme di sfruttamento che ostacolano la piena partecipazione delle donne a tutte le sfere della vita e il raggiungimento dell'uguaglianza di genere. 

È dunque sicuramente importante  rafforzare l'indipendenza e la partecipazione economica e sociale delle donne per ridurne la vulnerabilità nei confronti della violenza di genere.


di Valeria F.

La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Tale violazione è una conseguenza della DISCRIMINAZIONE CONTRO LE DONNE dal momento che non si dimostra nessuna volontà concreta di dare finalmente dignità alle donne riconoscendo loro pari opportunità e condannandole invece all'ESCLUSIONE SOCIALE, subalternità e oggettificazione. Con la ratifica della CEDAW  (convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) gli Stati hanno assunto degli obblighi atti ad assicurare che le donne possano godere in concreto dei loro diritti fondamentali, di rimuovere le situazioni di disuguaglianza e la promozione del cambiamento culturale necessario per il riconoscimento della libera scelta della donna e della tutela della sua integrità psicofisica. Ma ad oggi ancora siamo lontani dal vederne gli effetti.

 

La data della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne segna anche l’inizio dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani che si celebra il 10 dicembre.

In molti paesi il colore esibito è il rosso e uno degli oggetto simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna.

 

Fino a novembre 2021 si contano 109 femminicidi. La sovrastruttura ideologica è di matrice patriarcale e lo scopo è di perpetuare la subordinazione delle donne, l’assoggettamento fisico e psicologico. Le storie dei femminicidi spesso cominciano con una richiesta di separazione, un sospetto sulla fedeltà della compagna, un litigio. Elementi come la brama di possesso, l’impossibilità di accettare un rifiuto, di controllare gli istinti violenti. 


di Armando D.

Come Forum al Centro dobbiamo sostenere e promuovere le seguenti proposte:

- reddito di libertà, si tratta di una misura voluta fortemente dalla ministra Elena Bonetti, grazie alla quale le donne, vittime di violenze, potranno ricevere 400 euro al mese, per un massimo di un anno. È un provvedimento importante che rende libere le donne di denunciare e soprattutto di ripartire con un sostegno economico iniziale.

- estensione delle tutele e protezioni previste dalla L. 6 del 2018. È una proposta della ministra Mariastella Gelmini, che prevede di proteggere le donne già dalla prima denuncia. Le donne che lo vorranno avrebbero così le stesse protezioni dei testimoni di giustizia.

- espandere la rete dei centri antiviolenza, destinando i beni confiscati alle mafie a tale destinazione. È una proposta della ministra Mara Carfagna grazie alla quale si potrebbero aumentare capienza e ramificazione territoriale dei centri che accolgono le donne che decidono di denunciare.

Si tratta di tre proposte che vanno sostenute per dare una risposta certa e immediata al tragico problema della violenza sulle donne.


di Giulio C.

  • Viviamo una situazione di grave dispersione di valori sociali

  • Questo contesto, in Italia, è sicuramente determinato dagli effetti di nuovi eventi che rimettono in discussione gli equilibri economici, demografici ed ambientali mondiali, ma anche dal ritardo se non dall’incapacità della politica italiana di interpretarli ed assumere conseguenti iniziative, di allineamento o di contrasto, perché il nostro Paese possa essere protagonista e non spettatore o magari subirne gli effetti negativi.

  • La scarsa qualità della politica ha spinto i cittadini in parte a rincorrere visionari populisti o radicali avversari delle istituzioni democratiche ed in altra grandissima parte a rifugiarsi nell’astensione dal voto, fenomeni che sono divenuti ancora più accentuati e gravi con l’esplosione ed espandersi della pandemia da Covid.

  • Questa caduta d’interesse per la buona politica ha evidenti e drammatiche conseguenze sull’attenzione che le rivolgono le nuove generazioni.

  • I giovani sono esclusi dalla possibilità di formarsi una identità e consapevolezza politica avendo i partiti, nella maggior parte dei casi, rinunciato ed hanno abbandonato la realizzazione di luoghi di dibattito, ricerca e informazione a loro dedicati.

  • Mancando un impegno concreto e democraticamente regolamentato dei partiti, nel loro funzionamento interno, per dar voce e rappresentanza all’interesse dei giovani, i social sono diventati i luoghi d’incontro e anche di aggregazione nei quali si sviluppano, in un contesto di assenza di regole, ragionamenti, discussioni, prevalentemente scontri e raramente pacate discussioni.

  • Questo passaggio, da luoghi votati alla costruzione di percorsi formativi e motivazionali aggreganti a spazi che sono aperti ad interessi e pulsioni diversi e spesso conflittuali per la forte ed incontrollata carica individualista, rappresenta un forte ostacolo alla costruzione di una cittadinanza positiva, interessata al funzionamento della macchina pubblica e delle Istituzioni, rivolta all’impegno civile piuttosto che alla critica demolitrice ed all’abbandono di modelli e comportamenti democratici e rispettosi dei propri simili.

  • Considerando che anche la scuola e le famiglie, quali gruppi primari di fondamentale importanza per una società in trasformazione continua, stanno subendo il peso del generale disorientamento, sono davvero pochi i riferimenti certi che i giovani hanno.

  • Eppure, c’è un patrimonio smisurato di passioni e di voglia di innovare di cui i giovani sono portatori. Lasciare che si deteriori in un mare d’indifferenza o di lagnanti luoghi comuni non rappresenta un buon servizio che la società - quella civile e quella istituzionale – stia facendo nella ricerca di un bene comune.

  • Più che di retorica i giovani hanno bisogno di buoni esempi, di narrazioni in positivo delle prospettive di cambiamento e progresso sociale, di coinvolgimento nei processi democratici di governo del Paese e delle città, di ascolto dei loro bisogni e di indirizzo alla progettazione delle risposte che dovranno dargli loro stessi. In poche parole, bisogna saperli ascoltare e saperli orientare alla costruzione della società che sarà.

  • Il programma, al quale dovrebbero lavorare insieme Istituzioni, famiglie, scuola, gruppi sociali organizzati, dovrebbe vederli non “soggetti su cui lavorare”, bensì coprotagonisti di tale lavoro perché assumano la politica quale strumento per cambiare in meglio la società e non quale fine per costruire carriere e ricchezze.

mercoledì 1 dicembre 2021

O di qua o di là

di Armando Dicone

 

Dall'attuale classe dirigente politica, risuonano i soliti accordi: "o di qua o di là"; "ripartire dal fronte contro le destre o le sinistre" a seconda di chi parla; "il voto utile" come se ci fossero voti inutili; "si vince al centro" questo è il più pericoloso, perché di solito vogliono solo il nostro voto, ma mai il nostro contributo ideale e programmatico; e tanti altri messaggi di cui la maggioranza degli italiani è davvero stanca, basta guardare i dati degli astenuti.

Parole vuote che ritornano ad ogni campagna elettorale, come se per governare un Paese bastasse essere contro qualcuno o qualcosa. 

 

Sono 30 anni che siamo costretti a subire questo schema destra contro sinistra e dopo tutti questi anni, nessuno dei protagonisti dice la verità: "questo sistema in Italia non funziona". Non voglio entrare nel merito del perché non possa funzionare, ma vorrei soffermarmi su un altro aspetto che può farci finalmente guardare al futuro: l'esigenza diffusa tra i cittadini di poter votare e partecipare ad un nuovo progetto, culturale e politico, centrale, indipendente e autonomo.

 

Ho raccolto alcuni sondaggi che fotografano, in maniera incontestabile, l'esigenza di molti italiani di avere una nuova offerta politica di centro, che vuol dire né con i populisti e né con i sovranisti, ma anche che non abbiamo bisogno di soluzioni del '900, ma dobbiamo guardare al futuro con quel sano "pragmatismo solido", che contraddistingue un'azione politica radicata nelle culture politiche del liberalismo, del popolarismo e del riformismo, ma senza barriere ideologiche che ne possano affossare l'elaborazione concreta del programma politico. Come già sperimentato nel nostro umile "Forum al Centro", sui temi e sulle proposte siamo sempre disponibili a fare sintesi, senza pregiudiziali ideologiche o inutili personalismi.

 

Un sondaggio di Ipsos, che ho già citato in un precedente articolo, mostra che la maggioranza degli astenuti, alle europee del 2019, si autocolloca nell'area di centro (42%).

Dato molto importante, che dimostra come lo spazio centrale abbia il più alto potenziale elettorale tra gli astenuti.

 

Il sondaggio SWG del 16 novembre, dimostra che il 22% degli intervistati "ritiene che ci sarebbe bisogno di un nuovo partito" nell'area di centro, di questi il 12% pensa che debba essere "slegato sia dal centrosinistra che dal centrodestra"; il 23% vorrebbe un nuovo partito "fuori dall'asse destra-sinistra", ma senza autodichiarsi di centro. Come si può notare, il 55% degli intervistati, la maggioranza, ritiene opportuno un nuovo progetto politico capace di superare il duopolio sinistra-destra. 

Da non sottovalutare è il 18% che vorrebbe un nuovo progetto nel "centrodestra moderato" e l'11% che lo vorrebbe nel "centrosinistra moderato e riformista". Tutti dati che dimostrano la volontà di creare un nuovo schema politico, fuori dalle logiche dello scontro diretto tra i due poli.

 

 

 

Ma cosa chiedono gli elettori intervistati, che vorrebbero un nuovo soggetto politico nell'area di centro?

 

 

 

Il 35%, la maggioranza, ritiene che il nuovo partito dovrebbe occuparsi di ridurre l'evasione fiscale e la corruzione, poi qualcuno racconta che questo tema non sia remunerativo dal punto di vista elettorale. Altri temi sono "sostenere una crescita economica inclusiva" (28%),  "ridurre le disuguaglianze sociali" (28%) e rendere lo Stato più moderno ed efficiente (27%).

 

Su questi temi è possibile trovare insieme le soluzioni? Io penso di sì, basta farlo con passione, umiltà e senza alcun retropensiero di tipo personale, il carrierismo verrà dopo e per chi lo vorrà. Continuo a pensare che sia arrivato il momento di mettere in campo merito, competenze e talenti, ognuno di noi deve assumersi il suo piccolo pezzo di responsabilità civica.

 

Adesso abbiamo il compito di mettere insieme donne e uomini, associazioni e movimenti, per tentare di trovare insieme temi e soluzioni condivise, dobbiamo organizzare la "domanda" affinché il nuovo progetto non sia solo una semplice operazione elettorale.

 

Grazie per l'attenzione.