giovedì 24 ottobre 2019

La precarietà come condizione esistenziale

di Valeria Frezza

"Una società può essere una casa accogliente per i propri figli, oppure li farà sentire come ospiti indesiderati, pur non dichiarandolo apertamente? L'irrigidimento della struttura sociale ha prodotto una serie di vincoli, di zavorre, di barriere, che rendono sempre più difficile l'affermarsi delle nuove generazioni attraverso il naturale sviluppo delle potenzialità individuali. Assumere le responsabilità che derivano da un fisiologico passaggio di consegne, di giovani che non si vedono mai riconosciuti come adulti e di adulti che pretendono di restare sempre giovani. Si erge così un muro invalicabile, che costringe i giovani a situazioni di ripiego o a lasciare il paese. Sergio Mattarella, con toni assai preoccupati, ha messo a fuoco questo nodo problematico, affinché non si continui a disperdere il capitale sociale del paese. Tutto ciò produce passività e decrescita, spezza la catena della fiducia, della trasmissione dell'esperienza, di pensare di realizzare un futuro migliore. Questa criticità è stata individuata nelle generazioni intorno alla sessantina in concorrenza con quelle più giovani" [cit. Avvenire]
Ma cosa è la precarietà? Provo a spiegare cosa è per me e per le persone che conosco, che come me, combattono contro "la permanente condizione di precario/a". 
Precarietà viene utilizzato come termine per definire la caducità. L'essere umano è l'unico che percepisce l'impossibilità di durare eternamente. Questo può causare un'angoscia esistenziale. Tuttavia, tramite il lavoro e l'impiego delle proprie facoltà (intellettuali e non), in un progetto di vita individuale e pubblico (di comunità), ogni persona può uscire da se stessa e costruirsi di volta in volta nel rapporto con gli altri. 
La generazione che nella realtà odierna non ha opportunità di trovare un'attività stabile e sicura, è costretta a vivere in una situazione di disagio "a tempo indeterminato" e di angoscia esistenziale, che incide sulla qualità della vita e rimanda inevitabilmente all'insicurezza, al vittimismo, alla rassegnazione, all'ansia e allo stress (situazione di burnout), ed infatti molti sono dovuti ricorrere allo psicologo.
La frustrazione di chi si trova in questa situazione, è dovuta in primo luogo al fatto che la responsabilità di ciò derivi da qualcosa di esterno, quasi del tutto indipendente dalle capacità, dalla forza di volontà e dell'agire di ciascuno. La mancanza di provvedimenti finalizzati alla riorganizzazione del "sistema" ha impedito ai giovani adulti, di costruirsi il proprio percorso formativo, tramite l'esperienza diretta, l'arricchimento personale ed una esplicitazione delle capacità.
I giovani adulti italiani, nonostante abbiano conseguito laurea e master, non riescono a farsi assumere stabilmente, a creare una famiglia e a progettare il loro futuro. C'è chi rimane a vivere a casa con i genitori, chi colleziona contratti a progetto temporanei, chi fugge all'estero nella speranza di un futuro che in patria sembra irrealizzabile. Il clima ostile, chiuso ed arrabbiato quando i "precari" (diventato ormai uno status) tentano giustamente di rivendicare i loro diritti (come è successo anche in passato per altro), trovano una non-risposta in impossibili richieste di adeguamento, che non fanno neanche bene al paese e ne impediscono la crescita. Se l'unica via, come ha indicato lo stesso Presidente della Repubblica, è la collaborazione tra le generazioni, questo percorso è fondamentale ma nemmeno troppo semplice, a causa degli anni di sfiducia, di incomprensioni, di astio, di alta conflittualità, di egoismo, di protagonismo, oltre ai modi di agire e di mentalità differenti (soprattutto per i tempi di realizzazione e per l'uso della tecnologia).

5 commenti:

  1. Un articolo da incorniciare e leggere tutti i giorni. Se fossi un parlamentare non dormirei la notte. Noi under 50 siamo la prima generazione a stare peggio dei nostri genitori. Ah dimenticavo andremo in pensione?

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  2. Una descrizione perfetta e tragica del precario e di come può (non) gestire la sua vita. Sono pessimista su eventuali soluzioni a breve termine di questa e altre questioni, sicuramente passerà questa e forse la prossima generazione. Ma se non si comincia a pensare con un progetto, una visione di ciò che si vuole fare, di quale società si ha in mente, sarà difficile invertire la rotta.

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  3. Si anche io sono pessimista. Perchè fino ad ora non c'è stata nessuna volontà di pensare al futuro e quindi dobbiamo provvedere noi, come stiamo facendo..Forse pure perchè il precariato è scarsamente preso in considerazione da tutte le forze politiche..(da tutti), evidentemente non hanno ancora capito la gravità e l'urgenza (o è semplice egoismo)???

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  4. Un'altra cosa deprimente è anche il fatto che chi dovrebbe fare spazio ai giovani tenda invece a curare il proprio orticello e tenere i giovani indietro o peggio fermi

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