Intervista di Paolo D'Addario
1. In questa Italia post-ideologica, dove le esperienze di governo populiste prima con il Governo Giallo-Verde e poi con quello Giallo-Rosso dimostrano che slogan ad effetto possono essere sufficienti per vincere le elezioni, ma disastrosi nell’azione di Governo, se non confermati ed avvalorati da proposte serie, meditate e concrete che rispondano alla complessità dei problemi che affliggono il nostro paese. E’ ipotizzabile, oltre che auspicabile, che si crei un nuovo spazio politico per i cattolici ed un loro conseguente ruolo di rilevo ?
E’ realistico e attuale stimolare i cattolici a riprendere un ruolo attivo per rimettere al centro dell’agire politico il valore della persona e restituire a ciascuno il protagonismo necessario a fare di un territorio uno stato democratico. Ma la parola d’ordine è Pazienza. Il modello politico di moda oggi è purtroppo il Super Io urlante, dal pensiero corto, lontano anni luce dall’immagine dei “liberi e forti”. La politica italiana ha subito una radicale trasformazione. I riferimenti ideali intorno ai quali si costruivano i partiti di un tempo si sono diluiti nelle nuove formazioni che ne hanno preso il posto. La Democrazia Cristiana, espressione storica dei cattolici impegnati in politica, è quella che più di altri ha dissolto il proprio patrimonio in contenitori diversi. In questo modo la matrice valoriale che ne rappresentava l’essenza non ha più avuto forza ed è stata travolta dal clima di decadenza che ha livellato verso il basso la nostra democrazia e la nostra partecipazione civica. Il patrimonio di valori del cattolicesimo dovrebbe trovare interpreti determinati a restituire alla politica la dimensione dell’impegno e non sprecare energie nel tentativo di costruire un partito dei cattolici.
2. Le continue crisi che hanno colpito negli ultimi anni aziende e gruppi industriali che risiedono sul territorio italiano come Whirpool, ex Ilva, ma anche la macroscopica ed annosa questione Alitalia, ad oggi sostanzialmente irrisolte, sono solo il frutto di un quadro congiunturale ed economico internazionale negativo oppure denotano l’incapacità dei nostri governanti ad affrontare in modo innovativo ed efficace tali dossier tornando a proporre una politica industriale degna di questo nome ?
La qualità della classe dirigente fa la differenza. La congiuntura economica ha aggravato una condizione preesistente di inadeguatezza. Il nostro è un paese senza strategia, privo di una politica industriale, incerto sul piano delle relazioni internazionali e debole nella difesa della propria identità culturale, in altre parole ha pochi strumenti per reggere alle turbolenze di una economia globale dove non esistono più confini di protezione. L'Italia non è competitiva. Le tasse sulle imprese incidono per il 68% e il costo annuo sostenuto dalle stesse imprese per la gestione dei rapporti con la PA è pari a 57 Miliardi di Euro (Fonte The European House Ambrosetti). I costi della PA superano di 45 miliardi la media europea senza produrre un equivalente plus in termini di efficienza. L'energia costa il 30% in più. La giustizia è la più lenta tra i paesi del consiglio d'Europa. Le infrastrutture sono infunzionali e il mercato del lavoro è rigido in entrata e in uscita. E ci sarebbe molto altro da aggiungere.
E, purtroppo, ci esaltiamo a gestire le emergenze (addirittura saremmo un’eccellenza in Europa!), che non aiutano a inquadrare i problemi e a individuare soluzioni, e ci eclissiamo sulla gestione dell’ordinario, sulla prevenzione e sulla programmazione. Questo perché la gestione delle emergenze può essere tatticamente legata alle ravvicinate scadenze elettorali, mentre la pianificazione di una strategia di risanamento e crescita richiede tempo e non porta voti.
3. Molte di questi dossier riguardano aziende che hanno sede nel sud Italia, area geografica ricchissima di risorse umane, culturali, turistiche e naturali, che non riesce però ad emergere sul piano economico e sociale rispetto al resto del paese, potrà mai avverarsi il sogno di un Sud Italia traino e locomotiva del paese?
È naturale che gli scossoni della crisi si siano avvertiti maggiormente nelle aree più fragili del paese, acuendo la distanza tra aree a velocità diverse. La politica poco visionaria dei nostri tempi ha strumentalizzato le differenze fomentando gli animi invece di dar risposte. E’ per questo che fatichiamo più di altri a uscire fuori dalla crisi.
Governare il dualismo dell’Italia, ancor di più con il suo esasperarsi post crisi, non è cosa da poco.
Proprio ora che alla guida del paese ci vorrebbe una classe dirigente virtuosa, i criteri di selezione si sono allentati.
Invertire il senso di marcia del convoglio Italia non credo sia ipotesi praticabile nella realtà, ma fa bene conservare il sogno come stimolo positivo.
4. ….ed eventualmente, attraverso quali strumenti e risorse ciò potrà realizzarsi ?
Bisogna dare priorità alla produzione. Aiutare le imprese, vuol dire investire in infrastrutture materiali e immateriali, ridurre il costo del lavoro e il carico fiscale. La produzione di beni e servizi crea lavoro e il lavoro crea domanda di consumi. Come nella più classica delle ricette economiche: il meccanismo è circolare.
E le risorse si trovano nei risparmi di spesa, che si ottengono puntando tutto su una strategia di crescita, senza disperderle in mille piccoli rivoli e nella eliminazione di tutte quelle sacche di inefficienza e di sprechi, che Cottarelli aveva analiticamente indicato nel proprio piano. Altre risorse si otterranno, puntando su investimenti pubblici adeguatamente selezionati, dotati delle risorse necessarie e completati in tempi brevi. Il costo dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche, zavorrati da inefficienza della PA e da complessità burocratica e normativa, sono enormi.
Per capirci, “le opere incompiute, più numerose al Sud che al Centro Nord, riguardano in gran parte infrastrutture sociali – plessi scolastici, centri sportivi, strutture ospedaliere – di pertinenza degli Enti locali. Il fenomeno è di dimensioni rilevanti: dei 647 progetti che nel 2017 risultavano avviati e non completati, il 70 per cento è localizzato al Sud, per un valore totale di 2 miliardi.”.
Secondo una simulazione pubblicata da Banca d’Italia a Settembre di quest’anno, “un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all’1 per cento del suo PIL per un decennio, ossia 4 miliardi annui, e un taglio del cuneo fiscale sempre pari all’1 per cento del suo PIL avrebbe effetti espansivi significativi per l’intera economia italiana. Al Sud il moltiplicatore degli investimenti pubblici potrebbe raggiungere un valore di circa 2 nel medio-lungo termine, beneficiando della complementarietà tra capitale pubblico e privato e dei guadagni di produttività connessi con la maggiore dotazione di infrastrutture. L’economia del Centro Nord ne potrebbe beneficiare, per via della maggiore domanda nel Mezzogiorno e dell’integrazione commerciale e produttiva tra le due aree, con un aumento fino allo 0,3%.”.
5. L’Italia è inserita in un contesto europeo e mondiale dal quale, se intendiamo crescere, non possiamo prescindere. Le critiche a questa Europa da parte di populisti e sovranisti di mezzo continente sono totalmente infondate, oppure è necessario rivedere la costruzione europea, che oggi sembra non corrispondere più alle aspettative ed ai progetti dei padri fondatori ?
L’Unione Europea è un progetto non realizzato fino in fondo, del quale, però oggi più di ieri abbiamo bisogno. E’ evidente che se non si va avanti con determinazione il sistema, così come è, non è funzionale. Ci sono troppe disuguaglianze normative, soprattutto in materia fiscale e sociale, che distorcono la competizione e frenano l’integrazione.
Gli attacchi dei populisti e degli pseudosovranisti sono, in realtà, una forma di ripiegamento, che cerca di nascondere la mancanza di capacità di recuperare un ruolo decidente e decisivo sui tavoli europei. Le decisioni dell’UE sembrano sempre calate dall’alto, come se non concorressimo a determinarle, nei luoghi istituzionali. Il problema non è Bruxelles, ma la debolezza della politica.
6. Al momento dell’entrata nell’Euro, l’Italia si impegnò a ridurre drasticamente il proprio debito pubblico fino al raggiungimento del 60 % del PIL, a quasi venti anni da quell’evento oggi viaggiamo con un debito al 132 % della ricchezza prodotta dal paese, quanto sarebbe utile la riduzione del debito pubblico per rilanciare crescita ed occupazione nel nostro paese, restituendo dignità ed autorevolezza al paese sia in Europa che nel mondo ?
L’entrata nell’Euro fu frutto di un negoziato sfavorevole al nostro paese. L’accelerazione di quel processo ha prodotto costi aggiuntivi che ancora oggi paghiamo. Gli accordi sul debito e sul rapporto deficit/Pil se pur teoricamente validi avrebbero dovuto prevedere dei tempi di metabolizzazione definiti, nel Trattato di Maastricht, in ragione delle differenze di partenza dei singoli stati. Posto ciò, non serve continuare a puntare il dito e cercare i colpevoli. Il tema del nostro debito è sul tavolo oggi e prescinde dalla severità delle regole UE. Anzi in questi anni il nostro sistema finanziario complessivamente ha retto proprio grazie all’ombrello europeo. Siamo esposti sui mercati internazionali e quindi soggetti a subire le oscillazioni delle economie dei paesi che detengono il nostro debito; tale stato di cose ci rende poco affidabili e alimenta quella perversa spirale di debito su debito. Il costo crescente degli interessi che paghiamo non è più sostenibile.
7. La riforma della giustizia è ritenuta ormai necessaria anche per rilanciare la nostra immagine nel panorama internazionale, in questo ambito ravvisi fondate le preoccupazioni di coloro, ad iniziare dai tuoi colleghi avvocati, che criticano fortemente le nuove norme sulla prescrizione, targata Bonafede-Cinque stelle?
La riforma della prescrizione è prescritta (!). Ne parliamo da decenni inutilmente, avvitandoci intorno al tema della durata dei processi, senza trovare una soluzione. Il mio punto di vista è che eliminare i termini di prescrizione dopo il primo grado di giudizio, con un sistema incapace di funzionare, porta a processi senza fine. E quindi a una denegata giustizia. Purtroppo la prescrizione oggi, in conseguenza della lentezza del nostro sistema, è divenuto uno strumento per sottrarsi alla pena. In realtà il senso della prescrizione sta proprio nel poter garantire tempi brevi e certi del processo perché si giunga all’accertamento della verità (giudiziaria) e alla irrogazione della pena in un momento in cui è ancora percepito il disvalore dell’offesa. Bisogna blindare i tempi, ridurre l’ipergarantismo processuale, modificare l’obbligatorietà dell’azione penale.
Ma è l’inefficienza del processo civile la macchia che scontiamo sul piano internazionale e che paghiamo in termini economici. Il nostro paese non è attrattivo per gli investitori perché non garantisce tutela.
8. Questione immigrazione. Costatato il fatto che le centinaia di migliaia di clandestini di salviniana memoria sono ancora tutti sul nostro territorio, pare che la contrapposizione tra destra e sinistra rimanga molto netta, passando in pochi mesi da porti chiusi, a porti aperti con il comune denominatore che la questione continua ad essere irrisolta. Il continente africano negli ultimi anni ha richiamato attenzione ed investimenti soprattutto da parte dei cinesi, che evidentemente, vi intravedono una parte importante del loro futuro, non sarebbe il caso, anche per Italia ed Europa, avviare e rafforzare politiche di sviluppo di quelle aree in modo da creare condizioni per la naturale permanenza degli africani nelle loro terre ?
La differenza che c’è tra lo schema Salvini e il resto del mondo è che l’immigrazione è diventata la leva elettorale della Lega(Nord) e non è mai stata presa in carico da Salvini, Ministro dell’Interno. I porti chiusi sono stati uno dei tanti slogan senza costrutto e senza frutto. I dati dello stesso Ministero confermano che i flussi hanno avuto una sensibile riduzione dal 2017 al 2018. L’allora Ministro Minniti ha passato le consegne al Ministro Salvini a Giugno 2018, con una riduzione di sbarchi rispetto al precedente anno da 23mila a 3mila; a Giugno 2019 la riduzione è stata da 3mila a 1.200. E negli ultimi sei mesi i numeri sono stabili. Non sono i ponti levatoi la soluzione. Il fenomeno va gestito non con la logica del vittimismo violento e rabbioso, ma, come correttamente suggerisci, con misure di cooperazione che affrontino il problema alla radice. Poi c’è da fare un’operazione di normalizzazione dei migranti, partendo dall’assunto che i buoni e i cattivi ci sono ovunque e che il filtro all’ingresso e la regolamentazione dell’accoglienza, necessari a garantire una convivenza sicura, sono compito del Ministro dell’Interno e del Governo.
9. Recentemente il Cardinal Ruini ha ribadito con forza la questione “antropologica” , come questione dirimente per il futuro stesso dell’umanità che rischia di assoggettarsi a manipolazioni della sua realtà biologica e psichica, secondo una concezione puramente naturalistica o materialistica. Qual è il tuo pensiero rispetto alle questioni eticamente sensibili ad iniziare dal fine vita, utero in affitto, biogenetica?
Penso non ci si possa opporre alla ricerca e al progresso scientifico e credo che i temi etici, in quanto tali, non possano essere affidati a una disciplina normativa pregiudizialmente punitiva. E’ una materia complessa, perché coinvolge più principi costituzionali tra i quali è difficile trovare un bilanciamento, e delicata, in quanto incide su scelte di coscienza che non sempre è possibile normare. Personalmente sono per lasciare libertà di scelta, regolamentando ruolo e compiti di supporto della parte pubblica; gli abusi di tale libertà sono già perseguibili con specifiche norme.
10. In questo quadro generale pensi sia vincente l’aggregazione dei cattolici sotto una stessa bandiera oppure ritieni necessario confrontarsi con altre culture politiche ad iniziare da quella liberale e quella riformista e trovare una nuova sintesi nel rapporto tra cattolici e laici per affrontare le sfide della globalizzazione e quelle che un futuro così incerto ci proporrà?
Ripeto, non credo nella necessità e nella opportunità di costruire un partito dei cattolici. Anche la Dc era un partito polare, ispirato alla cultura della dottrina sociale della Chiesa, laicamente impegnato a governare i problemi della convivenza civile tra cittadini, categorie sociali e popoli. E non credo comunque sia ripetibile.
Per me il significato dell’urgente bisogno di richiamare all’impegno i cattolici sta nella necessita di ridare alla politica un DNA valoriale che non deve essere geometricamente collocato nella spazio, ma sostanzialmente innestato nelle coscienze e nelle menti dei più.
11. In questo quadro così instabile, per riaggregare un fronte politico della ragionevolezza, pensi sia determinante l’approvazione di una legge elettorale proporzionale ?
Si. Sono per un sistema di voto proporzionale puro, con una soglia di sbarramento apprezzabile. La legge elettorale è il primo strumento di selezione della classe dirigente, di promozione della partecipazione civica e di responsabilizzazione dei partiti.
12. In caso invece di accordo tra le maggiori forze politiche che siedono in parlamento per una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, quale dovrebbe essere la collocazione strategica di una possibile aggregazione della ragionevolezza, da sola, con la destra, oppure con la sinistra?
Troppe le variabili indefinite per poter dare una risposta ora. Anche perché il sistema maggioritario costringerebbe non solo le piccole forze politiche, ma anche le grandi, a fare aperture. E quello sarà il momento in cui si potrà scegliere il punto più alto di mediazione. Lo schema centro, destra e sinistra non è più attuale e non può essere utilizzato per definire un’area culturale di appartenenza.
13. Nell’epoca dei social dove il messaggio deve necessariamente essere breve per essere efficace, ma dove poi, spesso, dietro ad azzeccatissimi slogan troviamo il niente assoluto in termini di proposta politica e risposta alla complessità della società e dei problemi che, come cittadini e comunità nazionale viviamo quotidianamente, non credi sia utile tornare ad approfondire le questioni, ricreare momenti per la elaborazione del pensiero politico, meditare le soluzioni, in estrema sintesi dare spazio a luoghi più o meno fisici nei quali ripensare e rielaborare una adeguata proposta politica cristianamente ispirata ed adeguata alle sfide che ci attendono?
Ti rispondo con una citazione. Don Sturzo diceva che alla politica serve “Soprattutto, non agire da ignoranti, né da presuntuosi. Quando non si sa, occorre informarsi, studiare, discutere serenamente, obiettivamente, e senza mai credere di essere infallibili”. Il problema dei social è che da strumento di comunicazione veloce ed efficiente sono diventati mezzo di collettamento del pensiero.