di Salvatore Colletti
A partire dalle ultime elezioni politiche italiane, sovente nel dibattito politico, abbiamo sentito discutere di una ricostruzione del “centro”. Tuttavia, pur essendo sempre più vicino un importante impegno elettorale, che riguarda il rinnovo del Parlamento Europeo, ancora non è chiaro cosa intendano alcuni esponenti politici con questo termine.
In Italia, il centrismo ha avuto una chiara identità, che è quella legata al cristianesimo democratico.
Probabilmente, questo è potuto avvenire grazie al sistema proporzionale, che ha consentito alla Democrazia Cristiana di non essere soltanto alternativa alla sinistra, ma di svolgere anche un ruolo di “cerniera”. Infatti, dopo la fine della Dc e il successivo passaggio a una legge elettorale fortemente maggioritaria, questo spazio politico è diventato sempre più irrilevante.
A partire dal 1994 abbiamo visto l’affermarsi di nuovi partiti, sovente identificabili a singoli leader e privi di una cultura politica. Il malcontento che si è venuto a creare nel corso della cosiddetta “Seconda Repubblica” ha portato alla nascita di nuovi soggetti politici, interessati solo al consenso, frutto di queste delusioni e desideri del Paese.
Questo ha determinato un inevitabile disinteresse nei confronti della politica da parte dei cittadini, come testimoniato dal crescente astensionismo. Alle ultime elezioni politiche, più di tre italiani su dieci non si sono recati alle urne.
Dai disastri che il bipopulismo ha provocato (e continua a provocare), emerge sempre più la necessità di un cambiamento. Nel corso di questi anni, partiti di tutto l’arco parlamentare hanno raggiunto consensi elevati, per poi perderli nel corso della legislatura. È necessario che siano frutto delle idee, e non del leader più bravo a influenzare emotivamente le persone. Non è più tollerabile il modo di fare politica basato sulla demagogia. Bisogna (ri)tornare a una politica seria e coerente.
Abbiamo guardato con interesse la nascita del “Terzo Polo”, come possibile alternativa a sovranismi e populismi. Penso, però, che i limiti con la quale si è scontrato questo progetto sia legato a due elementi, che come ricordato più volte dall’Onorevole Paolo Cirino Pomicino sono fondamentali per un partito: un riferimento culturale preciso e una democrazia interna.
Sotto questo punto di vista, in un recente articolo, l’Onorevole Giorgio Merlo ha fatto notare come “il modello della Democrazia Cristiana resta un esempio di autentica e trasparente democrazia”, capace di valorizzare il pluralismo politico interno, con correnti chiamate a rappresentare i diversi pezzi della società civile. Un sistema caratterizzato da pesi e contrappesi, che impediva, seppur guidato da leader eminenti, accentramenti di potere, e consentiva agli elettori di riconoscersi nel partito, in quella cultura politica, e non nel segretario politico.
Il punto di forza di quei partiti non si esauriva soltanto nell’avere una grande quantità di notabili, dove un comune ideale, una tradizione, riuscisse a mettere insieme personalità molto diverse, ma anche nell’avere un radicamento nel territorio, con autorevoli rappresentanti, anche a livello locale.
Il risultato conseguito alle ultime consultazioni elettorali, da Azione e Italia Viva, testimonia l’esistenza di cittadini che si riconoscono in uno spazio politico popolare, europeista, riformista. Un contenitore apparentemente marginale ma che potrebbe diventare negli anni sempre più influente.
Come quel 18 gennaio 1919, che segnò la nascita del Partito Popolare Italiano, con il ritorno dei cattolici in politica e l’inizio dello sviluppo del cristianesimo democratico, oggi avvertiamo sempre più l’esigenza di un Appello ai “liberi e forti” 2.0, di una nuova “casa”, che sappia attualizzare quei valori e quella cultura politica alle sfide odierne.
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