Pubblichiamo di seguito alcune preziose riflessioni dei nostri partecipanti del gruppo #ForumalCentro:
di Erminia M.
Perché il 25 Novembre ritorni 365 volte in un anno.
Di anno in anno, indagine dopo indagine, l’Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali aggiorna i dati sulla violenza contro le donne in Europa, per suggerire (non ha poteri) interventi. Una percentuale stimata tra il 20 e il 25% di tutte le donne in Europa ha subito atti di violenza fisica almeno una volta nella vita adulta e circa l’8% delle donne ha subito violenze sessuali. L'indicazione più rilevante degli anni più recenti è l'aumento di forme di violenza praticate da mariti, partner o ex mariti o ex partner e l'aumento di donne uccise sul totale degli omicidi.
Le rilevazioni statistiche confermano che quattro donne su cinque non si sono rivolte a nessun servizio (sanitario, sociale o di assistenza alle vittime) a seguito degli episodi più gravi di violenza ad opera di persone anche diverse dal partner; le donne che hanno chiesto aiuto si sono rivolte più spesso ai servizi medici, fattore che sottolinea la necessità di garantire che i professionisti in ambito sanitario siano in grado di affrontare le esigenze delle vittime di violenza; due donne su cinque non erano a conoscenza delle leggi o delle iniziative politiche, che tutelano le donne in caso di violenza domestica, e la metà ignorava l'esistenza di leggi o iniziative di prevenzione.
Purtroppo quindi anche quest’anno il 25 Novembre è stata un’occasione per ripassare dati dolorosi su un fenomeno di incultura che mortifica la nostra umanità.
La violenza contro le donne colpisce l’intera società, non una parte, perché viola le regole di base del vivere civile e tradisce i principi fondamentali della tutela della integrità e della dignità della persona.
Bisogna fare di più e meglio affrontando con politiche mirate il problema nella sua complessità. Difendere compiutamente un target così diffuso ed eterogeneo da una minaccia che si manifesta, per lo più, attraverso comportamenti plurimi e distribuiti nel tempo richiede investimenti importanti. Per prevenire è necessario lavorare sul fronte della educazione, della istruzione, della informazione, del lavoro e per curare è necessaria una rete di assistenza altamente specializzata che possa prendere in carico in maniera globale le vittime e perché no i carnefici.
Considerando che, secondo la valutazione del valore aggiunto europeo, il costo annuo per l'UE della violenza di genere contro le donne è stimato a 228 miliardi di EURO nel 2011 (pari all'1,8 % del PIL dell'UE), di cui 45 miliardi di EURO all'anno in servizi pubblici e statali e 24 miliardi di EURO in perdita di produzione economica, se si intervenisse con azioni mirate il costo dell'investimento sarebbe sempre coperto dal risparmio ottenuto. I numeri (ahimè) servono per i rigoristi della spesa, che, anche nei settori sensibili, come quello della tutela delle persone e della loro integrità fisica, frenano, opponendo la mancanza di risorse.
L’Ue e l’Italia da anni lavorano sul lato più della punizione e della repressione che di quello della presa in carico. Ma è una risposta tardiva e, peraltro, considerata l’inefficienza del sistema giustizia, non serve.
La violenza inizia in ogni pensiero, azione ed omissione che porta un essere umano a far decadere la propria natura allo stato ferinico. La violenza è in ogni atto contrario al rispetto della persona. Ed è da qui che si dovrebbe partire.
E bisognerebbe ricordare che la violenza di genere coinvolge vittime e autori di ogni età, livello di istruzione, reddito e posizione sociale ed è anche legata alla ripartizione iniqua del potere tra le donne e gli uomini nonché a idee e comportamenti basati su stereotipi radicati nella nostra società che è necessario combattere fin dalle primissime fasi della vita, al fine di cambiare gli atteggiamenti.
La povertà estrema semplicemente aumenta il rischio di violenza e di altre forme di sfruttamento che ostacolano la piena partecipazione delle donne a tutte le sfere della vita e il raggiungimento dell'uguaglianza di genere.
È dunque sicuramente importante rafforzare l'indipendenza e la partecipazione economica e sociale delle donne per ridurne la vulnerabilità nei confronti della violenza di genere.
di Valeria F.
La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Tale violazione è una conseguenza della DISCRIMINAZIONE CONTRO LE DONNE dal momento che non si dimostra nessuna volontà concreta di dare finalmente dignità alle donne riconoscendo loro pari opportunità e condannandole invece all'ESCLUSIONE SOCIALE, subalternità e oggettificazione. Con la ratifica della CEDAW (convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) gli Stati hanno assunto degli obblighi atti ad assicurare che le donne possano godere in concreto dei loro diritti fondamentali, di rimuovere le situazioni di disuguaglianza e la promozione del cambiamento culturale necessario per il riconoscimento della libera scelta della donna e della tutela della sua integrità psicofisica. Ma ad oggi ancora siamo lontani dal vederne gli effetti.
La data della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne segna anche l’inizio dei 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani che si celebra il 10 dicembre.
In molti paesi il colore esibito è il rosso e uno degli oggetto simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna.
Fino a novembre 2021 si contano 109 femminicidi. La sovrastruttura ideologica è di matrice patriarcale e lo scopo è di perpetuare la subordinazione delle donne, l’assoggettamento fisico e psicologico. Le storie dei femminicidi spesso cominciano con una richiesta di separazione, un sospetto sulla fedeltà della compagna, un litigio. Elementi come la brama di possesso, l’impossibilità di accettare un rifiuto, di controllare gli istinti violenti.
di Armando D.
Viviamo una situazione di grave dispersione di valori sociali
Questo contesto, in Italia, è sicuramente determinato dagli effetti di nuovi eventi che rimettono in discussione gli equilibri economici, demografici ed ambientali mondiali, ma anche dal ritardo se non dall’incapacità della politica italiana di interpretarli ed assumere conseguenti iniziative, di allineamento o di contrasto, perché il nostro Paese possa essere protagonista e non spettatore o magari subirne gli effetti negativi.
La scarsa qualità della politica ha spinto i cittadini in parte a rincorrere visionari populisti o radicali avversari delle istituzioni democratiche ed in altra grandissima parte a rifugiarsi nell’astensione dal voto, fenomeni che sono divenuti ancora più accentuati e gravi con l’esplosione ed espandersi della pandemia da Covid.
Questa caduta d’interesse per la buona politica ha evidenti e drammatiche conseguenze sull’attenzione che le rivolgono le nuove generazioni.
I giovani sono esclusi dalla possibilità di formarsi una identità e consapevolezza politica avendo i partiti, nella maggior parte dei casi, rinunciato ed hanno abbandonato la realizzazione di luoghi di dibattito, ricerca e informazione a loro dedicati.
Mancando un impegno concreto e democraticamente regolamentato dei partiti, nel loro funzionamento interno, per dar voce e rappresentanza all’interesse dei giovani, i social sono diventati i luoghi d’incontro e anche di aggregazione nei quali si sviluppano, in un contesto di assenza di regole, ragionamenti, discussioni, prevalentemente scontri e raramente pacate discussioni.
Questo passaggio, da luoghi votati alla costruzione di percorsi formativi e motivazionali aggreganti a spazi che sono aperti ad interessi e pulsioni diversi e spesso conflittuali per la forte ed incontrollata carica individualista, rappresenta un forte ostacolo alla costruzione di una cittadinanza positiva, interessata al funzionamento della macchina pubblica e delle Istituzioni, rivolta all’impegno civile piuttosto che alla critica demolitrice ed all’abbandono di modelli e comportamenti democratici e rispettosi dei propri simili.
Considerando che anche la scuola e le famiglie, quali gruppi primari di fondamentale importanza per una società in trasformazione continua, stanno subendo il peso del generale disorientamento, sono davvero pochi i riferimenti certi che i giovani hanno.
Eppure, c’è un patrimonio smisurato di passioni e di voglia di innovare di cui i giovani sono portatori. Lasciare che si deteriori in un mare d’indifferenza o di lagnanti luoghi comuni non rappresenta un buon servizio che la società - quella civile e quella istituzionale – stia facendo nella ricerca di un bene comune.
Più che di retorica i giovani hanno bisogno di buoni esempi, di narrazioni in positivo delle prospettive di cambiamento e progresso sociale, di coinvolgimento nei processi democratici di governo del Paese e delle città, di ascolto dei loro bisogni e di indirizzo alla progettazione delle risposte che dovranno dargli loro stessi. In poche parole, bisogna saperli ascoltare e saperli orientare alla costruzione della società che sarà.
Il programma, al quale dovrebbero lavorare insieme Istituzioni, famiglie, scuola, gruppi sociali organizzati, dovrebbe vederli non “soggetti su cui lavorare”, bensì coprotagonisti di tale lavoro perché assumano la politica quale strumento per cambiare in meglio la società e non quale fine per costruire carriere e ricchezze.
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