Di Leonardo Gaddini.
Sono passati ormai più di 25 anni dalla fine della guerra in Bosnia ed Erzegovina e oggi purtroppo il fallimento dello Stato e perfino un nuovo conflitto non sembrano più esclusi. Il processo di trasformazione ipotizzato doveva trasformare la Bosnia in uno Stato moderno, multiulturale e pacifico, magari anche all'interno dell'Unione Europea, ma il risultato ottenuto è completamente insufficente oggi infatti tale processo è in stallo. Diversi anni di instabilità politica, crisi economica e riforme disattese hanno causato un forte malcontento popolare. La scena politica bosniaca è dominata da un "cartello" fra i principali Partiti etnici dei tre "popoli costitutivi" del Paese (come dice la Costituzione) i bosgnacchi musulmani, i croati cattolici e i serbi ortodossi.
Non esistono infatti "Partiti nazionali", ma solo a livello federale, il Paese è infatti costituito dalla "Republika Srpska" a maggioranza serba, e dalla "Federazione Bosniaca", a maggioranza bosgnacca (a loro volta suddivise in vari Cantoni). La logica di partenza di queste suddivisioni territoriali era di garantire la continuità dell’unità statale, ma allo stesso tempo di dare a tutti i gruppi il controllo su parti del territorio. Infatti inizialmente le competenze che la Costituzione riconosceva allo Stato centrale erano minime, ma col tempo grazie alla pressione internazionale, i poteri dello Stato centrale sono aumentati specialmente in materie fiscali, di tassazione e giudiziari oltre all’unificazione dell’esercito. Queste e altre competenze ora statali sono considerate essenziali anche per la preparazione alla futura adesione all’UE.
Negli ultimi anni invece, con le loro posizioni differenti e le divisioni retoriche i Partiti etno-nazionalisti hanno creato un clima di guerra fredda interna, con blocchi reciproci e veti incrociati che impediscono ogni progresso. Mentre mobilitano il proprio elettorato con la paura e l’odio nei confronti dell’altro, tali Partiti formano allo stesso tempo un cartello efficace per la spartizione delle risorse creando un sistema clientelistico pervasivo che soffoca ogni opposizione. Tale sistema di "etnocrazia" viene rafforzato, di tanto in tanto, da qualche crisi costruita ad arte per assorbire l’attenzione e l’energia di tutti gli attori, internazionali e locali, come ulteriore garanzia che non ci saranno riforme.
La tensione è aumentata alla fine dell’estate, dopo l’introduzione, promossa dall’Alto Rappresentate ONU, di un emendamento del codice penale bosniaco che vieta la negazione del genocidio di Srebrenica e l’esaltazione dei criminali di guerra. Per Dodik e il suo Partito, è stato il pretesto per alzare il livello di uno scontro sempre presente. Nel giro di un paio di mesi, il leader serbo-bosniaco ha boicottato le istituzioni statali, per poi annunciare la creazione di diverse strutture parallele. A fine ottobre, inoltre, la polizia della Republika Srpska ha organizzato due diverse esercitazioni delle forze speciali per la prevenzione del terrorismo, una della quali molto vicino la capitale Sarajevo. Questa serie di eventi, conditi da toni minacciosi, ha rievocato nella popolazione le immagini della guerra civile. Tra le altre cose, i serbo-bosniaci chiedono l’abolizione del ruolo dell’Alto Rappresentante, attualmente ricoperto da Christian Schmidt. Questa richiesta è appoggiata anche dalla Russia, che ha minacciato di porre il veto al Consiglio di Sicurezza ONU in occasione del rinnovo della missione internazionale Eufor Althea qualora non fossero stati eliminati i riferimenti all’Alto rappresentante.
L’attuale
crisi ha toccato l'apice quando il Parlamento della Republika Srpska ha
approvato una riforma costituzionale che, unilateralmente, prevede il
ripristino delle competenze originarie dello Stato federale, svuotando
così lo Stato centrale. La riforma non sarà vincolante fino a quando il
Parlamento della Federazione Bosniaca lo approverà (cosa che
difficilmente accadrà). Tuttavia, come ogni crisi
precedente anche quella attuale pone la domanda, se essa non sia diversa
e più pericolosa. Per dare una risposta occorre notare il cambiamento
del contesto. I 15 anni di disimpegno internazionale e di consolidamento
dell’etnocrazia hanno peggiorato di molto la situazione interna.
Inoltre, la situazione geopolitica è cambiata: sotto
la Presidenza Trump gli americani hanno cercato di promuovere uno scambio di
territorio fra Serbia e Kosovo per “risolvere” il problema della
diversità delle popolazioni, un messaggio devastante per la convivenza tra gruppi diversi in altre aree. La Cina e la Turchia hanno aumentato la loro presenza e i loro interventi nei Balcani a favore di parti diverse. Ma è soprattutto la Russia che, sostenendo il regime autoritario in Serbia e gli indipendentisti serbi della Bosnia-Erzegovina,
persegue una strategia di divisione e conflitto per raggiungere il
proprio interesse che consiste nella destabilizzazione della regione e
nel bloccare l’espansione della NATO, oltre che nel creare l'ennesimo staterello con un Governo fantoccio a lui fedele (come in Transnistria, Bielorussia, ecc...).
Così, in Bosnia da anni la Russia non collabora più nel consiglio per l’attuazione dell’accordo di pace e ha contrastato la successione nella carica dell’Alto Rappresentante del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Forti di tali divisioni della Comunità internazionale, i nazionalisti serbi guidati da Milorad Dodik, attualmente membro della Presidenza Collettiva della Bosnia-Erzegovina, sono tornati alle minacce di smantellamento dello Stato e di secessione oltre agli annunci di non riconoscere più l’autorità dell’Alto Rappresentante. La Comunità internazionale e l’UE non sembrano determinate a contrastare questo comportamento con delle misure forti (sanzioni mirate, rafforzamento della missione militare o simile), ma cercano di tranquillizzare tutti sperando che passi al più presto anche questa crisi. In concreto, secondo la mozione della Republika Srpska il Governo dell'entità dovrebbe nei prossimi sei mesi elaborare nuove leggi per l‘esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario al fine di sostituire le attuali leggi statali, un chiaro passo verso la secessione.
Purtroppo la gente di Bosnia-Erzegovina vive ancora una volta nella paura del conflitto. La Comunità internazionale non dovrebbe sottovalutare il pericolo. Questo è il momento di dimostrare unità per proteggere e promuovere i diritti umani, la democrazia e lo stato di diritto in Bosnia-Erzegovina. Questo è il momento di lavorare per allentare le tensioni, utilizzando al meglio il dialogo multilaterale, la cooperazione e gli strumenti di coordinamento forniti dalle organizzazioni internazionali.
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