domenica 3 ottobre 2021

Lituania: il confine della libertà

Di Leonardo Gaddini

Mentre i grandi Stati dell'UE sono divisi su quali rapporti avere con Paesi autoritari e dittatoriali, come Russia e Cina, in Lituania il governo non ha dubbi: serve la linea dura. Questa linea politica non è una novità di Ingrida Šimonytė, attuale primo ministro, leader di una coalizione di centrodestra e del partito Unione della Patria - Democratici Cristiani di Lituania (TS-LKD), ma la continuazione della politica estera che il piccolo Paese baltico porta avanti da quando ottenne l'indipendenza dall'URSS, nonostante le pressioni e le minacce che ancora oggi subisce. 

L’ultimo contrasto in ordine di tempo è con Pechino: il governo ha annunciato di voler aprire un'ambasciata a Taiwan. Sarà il primo Paese dell’Europa centro-orientale ad aprire un ufficio di rappresentanza taiwanese sul proprio territorio, al quale sarà presto seguita l’apertura di uno lituano a Taiwan, Stato non riconosciuto dalla Cina. E l’ufficio che verrà aperto a Vilnius userà proprio il nome “Taiwan” per autodefinirsi al posto di “Taipei”, nome con cui la Cina lo identifica. Per questo la reazione cinese non si è fatta attendere: oltre al richiamo dell’ambasciatore Shen Zhifei da Vilnius, Pechino ha pubblicato un duro e lungo comunicato in cui esorta la parte lituana a rettificare immediatamente la sua decisione, definendola "sbagliata", e ad adottare misure concrete per riparare il danno e a non proseguire su questa strada. Questo perchè il governo di Xi Jinping non accetta che gli Stati riconoscano l'isola come “Repubblica di Cina” o con il nome geografico “Taiwan”, visto che la dittatura la considera una "sua provincia ribelle". La Lituania però non sembra aver preso sul serio le minacce cinesi: il ministero degli Esteri lituano ha dichiarato in una nota che sono determinati a perseguire legami reciprocamente vantaggiosi con Taiwan.

Lituania e Cina sono ai ferri corti da tempo. Lo scorso maggio il governo di Šimonytė, infatti ha aggiunto la Lituania alla lista di Paesi come il Regno Unito, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti che hanno definito come genocidio il brutale trattamento cinese riservato alla minoranza musulmana degli Uiguri nella regione dello Xinjiang (https://forumalcentroblog.blogspot.com/2021/03/uiguri-storia-di-un-genocidio.html?m=1). Tra questi Paesi purtroppo non risulta l'Italia, che pur condannando la violazione dei diritti umani nella regione non ha usato la parola genocidio. Poi una risoluzione del Seimas, il Parlamento lituano, ha chiesto ufficialmente all’Onu di far luce sui campi di internamento cinesi e all’Unione Europea di rivedere i rapporti con Pechino, spingendosi addirittura a invitare la Cina ad abolire la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong e a far entrare osservatori internazionali in Tibet per poter avviare colloqui con il suo leader spirituale, il Dalai Lama

Oltre a questo il governo lituano è stato uno dei primi Paesi europei a bandire Huawei dalla sua rete 5G, raccomandando ai suoi cittadini di non acquistare nuovi telefoni cinesi e di sbarazzarsi di quelli già acquistati il più velocemente possibile. La Lituania è stata anche il primo Paese a decidere di uscire dalla Conferenza dei 17+1, formalmente uno strumento di dialogo della Cina con i Paesi dell’Europa orientale nell’ambito della Via della Seta ma in realtà si tratta di una clava che Pechino usa per controllarli a livello economico (come insegna il caso Montenegro).

Diversa invece la storia con la Russia. Da anni la Lituania è uno dei primi Paesi in cui vengono ospitati dissidenti russi, come Yevgeni Titov, che ha trovato rifugio nel Paese dopo aver raccontato il progetto di annessione della Crimea da parte di Mosca. Dal 2014 più di 30 dissidenti russi hanno ricevuto asilo politico nello stato baltico, insieme a uno status di protezione speciale per i familiari, mentre altre decine hanno trovato protezione nelle vicine Estonia e Lettonia. Un trattamento speciale che Mosca non ha certamente gradito. Questo atteggiamento contro la Russia accomuna tutti i Paesi baltici che da anni temono un possibile attacco russo e che per questo hanno intensificato i controlli al confine con Kalinigrad, città russa nel mar Baltico vista come una possibile testa di ponte per un attacco. Al pattugliamento del confine partecipa anche l’UE tramite Frontex.

Altro confine che desta preoccupazione a Vilnius è quello con la Bielorussia. Il flusso di migranti da Minsk fosse una chiara strategia di Lukashenka, fatta soprattutto per ritorsione nei confronti della politica sanzionatoria messa in atto nei confronti della Bielorussia da parte dell'UE. La Bielorussia ha fatto arrivare centinaia di persone in aereo dalla Turchia e dall’Iraq, promettendo loro che non sarebbero state fermate alla frontiera con la Lituania, che dista circa 150km da Minsk. Da luglio a oggi migliaia di persone provenienti soprattutto dall'Asia, cercano di entrare irregolarmente in Lituania. Per questa ragione il Parlamento lituano ha approvato una legge che restringe moltissimo il diritto all’asilo, permettendo alle autorità lituane di trattenere migranti e richiedenti asilo per 6 mesi dopo il loro arrivo e di espellerli subito in caso di respingimento della richiesta, senza aspettare il processo di appello e anche la costruzione di un muro alto 4m e lungo 500km con il filo spinato, dal costo complessivo di 152 milioni di euro, che però ha suscitato le critiche di Bruxelles. La ragione di tale manovra orchestrata da Minsk è chiara: in Lituania sono presenti anche moltissimi dissidenti bielorussi, tra cui la leader dell’opposizione e legittima presidente Tsikhanouskaya, e Vilnius ha affermato che è pronta a riconoscere un governo bielorusso in esilio nel caso in cui venisse insediato. Un vero e proprio schiaffo alla tirannide di Lukashenka. 

Da allora la Lituania e la Polonia (altro Paese al confine con la Bielorussia che sta subendo la crisi migratoria) hanno chiesto l'intervento dell'UE e di imporre sanzioni a chi agevola il flusso irregolare nei Paesi, dichiarazione firmata anche da Lettonia ed Estonia. La Polonia ha anche dichiarato lo stato di emergenza e ha iniziato a costruire un muro al confine con la Bielorussia. Intanto che la "guerra ibrida" di Lukashenka va avanti, a rimetterci sono i più deboli. A oggi migliaia di persone, tra cui diversi minori, sono bloccate al confine senza riparo, cibo o assistenza medica, costrette a bere dai corsi d’acqua della foresta, secondo molte testimonianze diverse persone non riuscivano neanche a stare in piedi per quanto fossero debilitati e 3 persone sono morte di stenti. Da questa ennesima drammatica crisi l'UE ne potrà uscire solo se unita, creando finalmente una politica europea comune per gestire l'immigrazione in modo efficiente, garantendo anche la tutela dei diritti umani dei rifugiati e che finalmente superi il Trattato di Dublino.

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