di Valeria Frezza
Gli studi statistici sulla distribuzione del disturbo depressivo hanno evidenziato che colpisce le donne con frequenza doppia rispetto agli uomini. Ciò è determinato da:
– motivi socio-economici: spesso le donne ricevono condizionamenti sociali e culturali che forniscono loro scarsi strumenti di autostima e sicurezza personale. Sono, inoltre, soggette a pregiudizi sul loro valore e sulle loro capacità e hanno difficoltà ad occupare posti di responsabilità. In molti casi non sono nemmeno inserite nel mondo del lavoro, non hanno reddito e sono quindi in condizioni di debolezza economica
– motivi biologici di tipo ormonale:, la depressione conseguente all’interruzione di gravidanza, la depressione post-partum e la depressione in menopausa.
– La donna è meno condizionata dal modello eroico cui l’uomo tende a aderire ed è, quindi, più disponibile a denunciare la presenza del disturbo depressivo.
La depressione costa cara e la lotta ai pregiudizi conviene.
Il nemico da battere , è lo stigma, il senso di colpa oppure di vergogna che vive chi sprofonda nella depressione, anche lieve, ritenendo che sia una macchia da nascondere a tutti. E non invece una vera malattia, dai sintomi psichici ma con radici biologiche come qualsiasi altra malattia e, come le altre malattie, da curare.
In California, adulti che hanno cominciato a curarsi, hanno migliorato la produttività nel lavoro e le relazioni interpersonali.
Credo, quindi, che abbiamo sottostimato i vantaggi creati dall’impegno contro un pregiudizio tanto radicato.
Fonti: associazione per la ricerca sulla depressione
Fondazione Veronesi
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