martedì 21 settembre 2021

Webinar di ForumalCentro - "Il nostro Centrismo"

 


Venerdì 24 settembre, dalle ore 18,30 su Zoom, si terrà il webinar, organizzato da "Forum al Centro", dal titolo "Il nostro Centrismo".

Discuteremo insieme al senatore Lucio D'Ubaldo dell'attualità del pensiero e del testamento politico di don Luigi Sturzo.

Dopo la relazione iniziale di D'Ubaldo, ci sarà spazio per interventi e domande.

L'incontro è libero e gratuito e basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com per ricevere il link al webinar.


Di seguito il testo integrale dell'articolo di Sturzo.

 Il nostro centrismo. Don Luigi Sturzo

 Articolo pubblicato sul Popolo nuovo il 26 agosto del 1923.

 

L' accusa che si ripete con insistenza da avversari e da ex-amici è che il partito popolare italiano vada a sinistra, e che non è più un partito di centro.

 

Questa topografia di destra, sinistra e centro deriva da un semplicismo politico, troppo banale; e poiché manca di contenuto specifico, crea confusioni equivoci ed errori, e forma pregiudizii deplorevoli.

 

Vediamo di portare un po' di ordine in queste idee confuse, anzitutto per intenderci fra di noi, e poi per obbligare gli altri a non fraintenderci, almeno quelli in buona fede, e non sono pochi.

 

1. Andiamo per eliminazione: il nostro centrismo non è una linea mediana fra i destri e i sinistri, come a dire un colpo alla botte ed uno al cerchio, ovvero una specie di giudizio di Salomone, un'altalena di teoria e di pratica politica, atta a scontentare tutti o a contentare un po' per uno. Politica da equilibrista, che si ridurrebbe in fondo a non sapere che pesci pigliare ed essere a Dio spiacente ed ai nimici sui. Questa concezione è semplicemente esclusa; sia perché sarebbe un vero nullismo o un semplice opportunismo; sia perché mancherebbe della logica programmatica, che fa discendere, da alcuni principii ideali e da varii postulati fondamentali, le ragioni pratiche dell'azione e le posizioni politiche di lotta e di realizzazione.

 

2. Altra eliminazione: destra e sinistra nell'interno di un partito, di qualsiasi partito, che abbia un'omogeneità sia pure elementare, cioè quella schematica del programma dello statuto e delle finalità, non possono significare due correnti irriducibili avverse, che ciascuna pretende avere ragione e sopraffare l'altra; poiché in questo caso si tratterebbe di due partiti o di due fazioni; non mai di tendenze nel seno dello stesso partito, sia che tali tendenze fossero stabilizzate attorno ai problemi generali, sia che fossero invece eventuali atteggiamenti su determinate soluzioni.

 

3. Terza eliminazione: il centrismo dei popolari non è una pura posizione parlamentare, come elemento di equilibrio fra una destra reazionaria e una sinistra socialista, o come semplice integrazione di governi liberali-democratici; simile interpretazione o figurazione topografica è stata smentita dalle diverse combinazioni e dai vari orientamenti dei partiti in quasi cinque anni di esistenza del nostro partito; il quale alla Camera si è trovato per tre anni di seguito (novembre 1919 - ottobre 1922) nella necessità di partecipare a tutti i governi per formare la maggioranza governativa, ed ha cercato di inserire nei vari programmi di governo, alcuni dei postulati pratici propri, quali l'esame di Stato, le leggi agrarie, la libertà di commercio, il riconoscimento dei sindacati, la funzione del movimento cooperativo e simili.

 

Per questo il nostro gruppo parlamentare è stato avversato e tollerato dai vari partiti di governo, che avrebbero fatto a meno dell'esistenza di questo terzo incomodo nell'attività parlamentare; ma che per ragioni di numero erano costretti a cercarlo, a blandirlo, per poi spesso sopraffarlo. Questa posizione parlamentare può non ripetersi; ciononostante il nostro partito resterà anche in parlamento un vero partito di centro.

 

4. Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: - siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; - vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; - ammettiamo l'autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; - rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; - vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.

 

Questa posizione non è tattica. E' programmatica, cioè non deriva da una posizione pratica di adattamento o di opportunità: ma da una posizione teorica di programma e di idealità. E la ragione di questa posizione teorica ha la sua origine in un presupposto che caratterizza la ragione etica della vita quale la vediamo noi al lume del cristianesimo: - noi neghiamo che nella vita presente si possa arrivare ad uno stato perfetto, ad una conquista definitiva ad un assoluto di bene.

 

I socialisti dicono: il male viene dall'ordinamento borghese della società; bisogna abbatterlo, dopo verrà il novus ordo: essi sono estremisti, perché arrivano ad una concezione assoluta. I fascisti dicono: la nazione potrà prosperare solo quando sarà "fascistizzata" negli ordinamenti, nel pensiero, nella vita sociale; essi tendono ad un assoluto e quindi sono anch'essi "estremisti". Chiamiamoli per pura comodità gli uni estremisti di sinistra, gli altri estremisti di destra, e ciò in riferimento alla società borghese; ma la tendenza "monopolista", "assolutista", "estremista" è nella natura del loro movimento.

 

Nel movimento popolare invece non c'è la futura età di Saturno, la città del Sole, il 2000, la repubblica di Platone e simili ottimismi; perché la nostra fede cristiana e il nostro senso storico ci portano a valutare la vita presente come un "relativo" di fronte ad un "assoluto", e quindi diamo valore fondamentale, anche nella vita pubblica, all'etica, che è per noi norma insopprimibile, e superiore a quella che si chiama "ragion politica" o "ragione economica"; e questo ci dà il senso di relatività, che incentra i problemi, e non li fa come per sé stanti, come fini assoluti da dover raggiungere per un logico predominio e per una ferrea legge.

 

La mancanza di estremismo programmatico e finalistico, e il suo fondamento etico, che deriva dalla concezione cristiana del popolarismo, contribuiscono fortemente ad escludere nei popolari estremismo di metodo; cioè la realizzazione di mezzi rivoluzionari o violenti o antilegali. E mentre tutti i partiti, che non appoggiano la loro etica sul cristianesimo, possono divenire rivoluzionarii, nel senso di sovvertire gli ordinamenti legali con la violenza con l'illegalismo e con la dittatura, il nostro partito non può mai divenire rivoluzionario o violento, e se accede in casi concreti alle ragioni che muovono altri a far le rivoluzioni, esso rimane sempre quello che il consiglio del partito, nell'appello del 20 ottobre 1922 (alla vigilia della marcia su Roma), chiamò riserva morale della nazione! - Sempre!

Questa è la natura e la ragione sostanziale del nostro centrismo come partito politico.

 

5. Ma se è così, perché mai ci dicono che il partito ora vada a destra, ora invece vada a sinistra? Lasciamo stare i motivi polemici; ce ne son tanti e servono sempre agli avversari. I socialisti diranno sempre che il partito popolare va a destra, a furia di dirlo, in cinque anni dovremmo essere già all'estrema destra; e lo stesso vale per i liberali conservatori e oggi anche per gli ex-amici; per tutti costoro il partito cominciò ad andare a sinistra appena sorto, e via via avremmo già superato i comunisti: infatti ci dissero un tempo che eravamo peggio dei bolscevichi.

 

La verità è un'altra: - mentre il programma la natura del partito creano una ragione centrista sia di sostanza che di metodo; la necessità di affermare il partito nella vita e di realizzarne i postulati crea quelle che si chiamano posizioni di battaglia; ed è naturale che ogni posizione di battaglia trovi coloro che resistono e che quindi fanno da antagonisti: altrimenti non vi sarebbe più lotta.

 

Infatti quando nel 1919 e nel 1920 ci opponemmo agli scioperi generali, i nostri antagonisti furono i socialisti; quando nel 1920 iniziammo la campagna per la colonizzazione del latifondo e la riforma dei patti agricoli, furono gli agrari ed i conservatori; quando nel 1921 iniziammo la lotta contro i provvedimenti finanziari, il nostro antagonista fu Giolitti; quando nel 1922 sostenemmo l’esame di Stato i nostri antagonisti furono i democratici sociali; quando nel presente anno abbiamo combattuto la riforma elettorale politica, i nostri antagonisti sono stati i fascisti.

 

Destra o sinistra? Ma che c'importa della topografia! Chiamatela come vi pare, per noi è battaglia oggettiva, concreta, logica, che risponde ai nostri principii, ai nostri postulati, alle esigenze politiche del nostro partito. Se nel caso concreto, una nostra posizione di battaglia giovi o nuoccia ad una delle frazioni politiche del paese, sia o non sia opportuna in un determinato momento, tutto ciò fa parte della valutazione politica, che spetta ai dirigenti, ma non sposta la posizione di un partito che segue la sua linea e tenta le sue realizzazioni; anzi manifesta una ragione di polarizzazione di altri partiti e gruppi che vengono così costretti a valutare e rivalutare le posizioni da noi assunte.

 

Solo così siamo noi e tendiamo a far sì che il nostro pensiero e il nostro programma vengano discussi dagli altri, e possano in parte o in tutto realizzarsi.

 

6. Alcuno dirà che perché un modo di esprimersi entri nell'uso comune deve avere una ragione; non per nulla da parecchio tempo in Italia si parla di destra e di sinistra: ci deve essere una ragione.

 

L'osservazione è giusta, ma bisogna spiegare la portata di questa formula sintetica. Dopo la guerra, per sinistra fu caratterizzato il movimento socialista e quell'altro social-democratico che lo favoriva; per destra invece fu caratterizzato quello che vi si opponeva e che poi sboccò nel nazional-fascismo. Fra questi due poli si svolse la nostra politica; e il terzo elemento, il popolare, per potersi piazzare nell'opinione pubblica così orientata, avrebbe dovuto saltare il fosso e presentarsi o come sola destra o come sola sinistra; il fatto che invece volle restar centro, cioè quello che era, diede alle due ali avverse la spinta o a favorirlo o ad avversarlo.

 

Ora tutto il problema sta qui: c'è posto nella lotta politica per un terzo termine? Noi diciamo di sì, e perciò vogliamo mantenerlo puro; invece questo negano oggi i fascisti e ci voglio decomposti, e ridotti a massa di manovra clericale per comodo dei destri; questo negarono e negano i socialisti, che ci hanno sempre conteso la possibilità dell'organizzazione operaia; e questo negano in parte anche gli amici o ex-amici di dentro e di fuori, affetti dal morbo della filìa, che tenta creare nel partito la orientazione e la stabilizzazione delle tendenze, le quali come gruppi a sé sono stati sempre combattuti e riprovati.

 

La filìa è un morbo, che deriva dalla poca fiducia e dalla poca convinzione della nostra ragione politica di partito e dei suoi destini; perciò ci sono quelli che credono che è meglio dare al partito popolare un po' più di tinta democratica e sociale e fanno i filo-socialisti; i quali un tempo eccedettero in cravatte nere e in canti di bandiere bianche e in filippiche anti-padronali. Altri invece che credono che il mondo può essere salvato dal manganello meglio che dalla croce, almeno il mondo della proprietà e della ricchezza; oppure che a metter l'ordine, anche senza giustizia e senza libertà, può esser tollerabile la dittatura, e perciò divengono filo-fascisti; fino a votare la legge di riforma elettorale che lede nel suo fondamento i principii costituzionali.

 

Ecco che gli uni e gli altri diranno che il centrismo del partito non è stato un bene; e che bisogna andare o a destra o a sinistra.

 

Superate le vostre filìe, abbiate fiducia nel partito popolare, come termine raggiungibile di attività politica e quindi anche di dominio delle nostre idee e delle nostre forze, e allora vi accorgerete che l'attività del partito segue la sua linea, la sua natura, la sua responsabilità puramente centrista, perché popolare.

 

La filìa è come gli occhiali colorati che fanno vedere negli oggetti i colori che non ci sono. Oggi è la volta del sinistrismo del partito; coloro che lo vedono sono proprio i popolari o gli ex-popolari filo-fascisti. Ieri quegli altri, i sinistri i filo-socialisti, vedevano invece che il mondo popolare andava troppo a destra.

 

Sono le due piccole ali del partito che fan rumore, perché hanno troppe cose da dire agli altri, e quasi mai delle cose serie e importanti da dire a noi. Questa è la storia, per noi ormai superata, della destra e della sinistra.

 

 

Parliamo invece del popolarismo che non piega né a destra e né a sinistra: questo è il nostro partito, il vero partito di centro; in questo partito abbiamo fiducia, e vogliamo che esso superi le difficoltà dell'oggi nella chiara visione del nostro programma e delle nostre finalità politiche e morali.



sabato 18 settembre 2021

Tutti contro Orban

Di Leonardo Gaddini

In Ungheria 10 tra partiti, movimenti e associazioni di opposizione si presenteranno uniti in un'unica lista nel tentativo di spodestare il primo ministro, Viktor Orban, e il suo partito Fidesz nelle prossime elezioni nazionali della primavera 2022. Fanno parte della "coalizione arcobaleno": Coalizione Democratica (DK) un partito SocialDemocratico di centro-sinistra, Partito Socialista Ungherese (MSZP), Chiedere di + alla Politica (LMP) un partito agrario forte tra gli agricoltori, Dialogo x l'Ungheria (Párbeszéd) un partito verde di sinistra, Movimento x un'Ungheria Migliore (JOBBIK) un partito conservatore di destra, Partito Liberale Ungherese (MLP), Movimento Momentum un partito LiberalDemocratico fortemente europeista, Movimento l'Ungheria di Tutti Quanti (MMM) un partito conservatore di destra, Tagliate le tasse del 75%! un movimento Libertario e Partito popolare del Nuovo Mondo (UV) un partito LiberalConservatore nato dalla scissione dell'ala moderata di Fidesz. I partiti hanno anche concordato formalmente di esprimere un unico candidato congiunto per opporsi a Fidesz in ciascuno dei 106 collegi elettorali uninominali e di candidarsi con un’unica lista elettorale. Il candidato premier verrà scelto attraverso le elezioni primarie. 

Il voto si terrà tra il 18 e il 26 settembre per il primo turno e tra il 4 e il 10 ottobre per il ballottaggio. I 5 candidati alle primarie sono i seguenti: 

  • Klára Dobrev, appoggiata da DK e LMP, laureata in economia è attualmente europarlamentare nel gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D) e vicepresidente del Parlamento europeo, è anche membro del European Council on Foreign Relations (ECFR), un think tank pan-europeo che fa ricerca e promuove un dibattito informato per favorire lo sviluppo di una politica estera efficace e coerente fondata su valori europei. Stando ai sondaggi è una dei favoriti, il suo gradimento si attesta sul 30% circa.
  • Péter Jakab, è il presidente di JOBBIK e membro del parlamento ungherese dove è il presidente del gruppo parlamentare del suo partito. Jakab da quando ha vinto il congresso di JOBBIK è stato l'artefice della trasformazione del suo partito da movimento di estrema destra a partito conservatore. Lui ha infatti espulso le frange più estreme del partito e lo ha avvicinato al resto dell'opposizione (per es. ha abbandonato l'idea di uscire dall'UE e anche tutta la propaganda anti-zingari). I sondaggi lo danno sul 25%.
  • Gergely Szilveszter Karácsony, è stato parlamentare e sindaco di Zugló, attualmente è il sindaco di Budapest, è stato il primo a strappare una grande città a Fidesz e a unire tutta l'opposizione in un'elezione locale. Sindaco giovane, carismatico, ecologista e aperto all'europa e all'immigrazione, è il candidato della sinistra infatti è appoggiato oltre che dal suo partito, Párbeszéd, anche dal MSZP e dal LMP. Stando ai sondaggi è il favorito con il 35% circa. 
  • András Fekete-Győr, fondatore e presidente di Momentum, è conosciuto per aver organizzato nel 2017 con successo il comitato per il no alle olimpiadi estive a Budapest 2024. Il suo movimento nonostante sia il più giovane, è in grande crescita, infatti nelle ultime elezioni locali si è confermato prima forza dell'opposizione in molte città. Il suo è un programma liberale che prevede la privatizzazione di enti oggi presieduti da amici di Orban. I sondaggi lo danno sul 5% circa. 
  • Péter Márki-Zay, è il sindaco di Hódmezővásárhely dove, nonostante fosse una città dove Fidesz gode di un forte consenso è riuscito a unire l'opposizione e a vincere. Si definisce di "destra cristiana", ha fondato e presiede il MMM e ha ricevuto l'appoggio del UV, vuole ridurre i poteri del governo e aumentare quelli del parlamento. I sondaggi lo attestano sul 5%. 

Recenti sondaggi di opinione suggeriscono che una simile strategia di unità potrebbe essere efficace per sfidare il potere decennale di Fidesz. Un sondaggio pubblicato questo mese dal sondaggista Medián ha rilevato che la popolarità di Fidesz tra gli ungheresi è scesa dal 40% di giugno al 32%. Un altro sondaggio, condotto da Závecz Research, ha rilevato che Fidesz ha il sostegno del 30% di tutti gli adulti e del 45% degli elettori decisi. Il sondaggio dei sondaggi di POLITICO, che unisce i sondaggi da una raccolta di sondaggisti, da Fidesz su un solido 47%, in calo dal 52% in estate. 

Per la prima volta in un decennio, un cambio di governo in Ungheria sembra dunque plausibile, ma vincere un'elezione è una cosa, governare efficacemente è un'altra. Non c'è bisogno di essere un politologo per rendersi conto che socialisti e conservatori di destra non hanno molto in comune. Anche se questa elezione sarà un referendum contro Orbán, la chiave è un governo efficace. Se le élite ungheresi non lo fanno, rischiano di spingere l'opinione pubblica ancora di più verso l'agenda nazionalista, conservatrice ed euroscettica di Fidesz come nel 2010. Anche se l'opposizione unita vincesse le elezioni e proponesse un governo coerente, ci saranno gravi sfide alla sua efficacia.

I rappresentanti politici fedeli a Fidesz a capo di diversi enti pubblici, come il procuratore capo, l'intera Corte Suprema e il governatore della Banca Centrale rimarranno infatti in carica molto tempo dopo la vittoria dell'opposizione. Questo cosiddetto "stato profondo" che Fidesz ha creato è supportato da numerose "leggi e politiche cardinali" che per essere modificate hanno bisogno della maggioranza di due terzi. È passato un decennio dall'inizio della regressione democratica in Ungheria. Da allora la democrazia è stata silenziosamente smantellata e sostituita da una cleptocrazia dove prosperano e si arricchiscono i magnati vicino a Orban e Fidesz.

Per la prima volta in oltre un decennio, un'opposizione unita potrebbe avere la possibilità di rimuovere Fidesz dal potere. Il momento sembra giusto. La pressione dell'Unione Europea e dei suoi Stati membri ha raggiunto il massimo storico. Per la prima volta sono a rischio i finanziamenti dell'UE per l'Ungheria, che è stato il principale motore della crescita economica e quindi del sostegno elettorale del governo. Eppure, anche se l'opposizione riuscisse, non sarà facile governare efficacemente con tante differenze ideologiche in un sistema politico creato per essere governato solo da Fidesz. Un governo inefficace darebbe a Fidesz tutte le munizioni di cui ha bisogno durante i suoi anni potenziali all'opposizione. 

venerdì 17 settembre 2021

Spunti per contribuire ad attuare uno dei tre obiettivi trasversali del PNRR - Una società più pari

di Erminia Mazzoni

Al di là del propagandismo di alcuni, siamo il paese più remunerato dallo straordinario Piano Europeo Post pandemico in ragione della maggiore debolezza di alcune fasce della popolazione oltre che di alcune aree del paese, cosa per la quale la Commissione UE, nelle sue raccomandazioni, ci ha assegnato l’obiettivo di “intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione e alle disuguaglianze (CSR – Country Specific Reccomendations -), adottando misure strategiche in grado di “garantire che le politiche attive del mercato del lavoro e le politiche sociali siano efficacemente integrate e coinvolgano soprattutto i giovani e i gruppi vulnerabili; sostenere la partecipazione delle donne al mercato del lavoro attraverso una strategia complessiva in particolare grazie alla previsione di accesso a servizi di assistenza all’infanzia e a lungo termine di qualità; migliorare i risultati scolastici.”.

L’Unione Europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation EU (NGEU)”, afferma il Presidente del Consiglio Mario Draghi, nella premessa al piano, un programma “di portata e ambizione inedite, che prevede,” tra gli obiettivi, “investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale” e definisce le tre priorità principali: parità di genere, protezione e  valorizzazione dei giovani e superamento dei divari territoriali.

L’empowerment femminile e il contrasto alle discriminazioni di genere, l’accrescimento delle competenze, della capacità e delle prospettive occupazionali dei giovani, il riequilibrio territoriale e lo sviluppo del Mezzogiorno non sono univocamente affidati a singoli interventi, ma perseguiti quali obiettivi trasversali nell’ambito di tutte le componenti del PNRR.”.

In merito alle pari opportunità di genere, il Piano parte dal presupposto che “La mobilitazione delle energie femminili … è fondamentale per la ripresa dell’Italia” e che occorra “intervenire sulle molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne.”, tenendo conto dell’attuale “contesto demografico, in cui l’Italia è uno dei paesi con la più bassa fecondità in Europa (1,29 figli per donna contro l’1,56 della media UE)” e agganciando il percorso di riforma e investimento alle politiche per promuovere la natalità avviato col Family Act. Così ragionando il PNRR prevede: a) misure di potenziamento del welfare, anche per permettere una più equa distribuzione degli impegni, non solo economici, legati alla genitorialità, meccanismi nuovi di reclutamento e di progressione di carriera nella Pubblica Amministrazione, in linea con il secondo principio del pilastro europeo dei diritti sociali, misure dedicate al lavoro agile, per incentivare un più corretto bilanciamento tra vita familiare e professionale, e il potenziamento e l’ammodernamento dell’offerta turistica e culturale, settori a forte presenza femminile sia direttamente che nell’indotto (Missione 1); b) misure di potenziamento dei servizi educativi dell’infanzia e della offerta di asili nido, l’estensione del tempo pieno a scuola, l’investimento sulle competenze STEM tra le studentesse delle scuole superiori per migliorare le loro prospettive lavorative e permettere una convergenza dell’Italia rispetto alle medie europee (Missione 4); c) una strategia integrata per sostenere l’imprenditoria femminile, un sistema nazionale di certificazione della parità di genere, che accompagni le imprese nella riduzione dei divari in tutte le aree più critiche per la crescita professionale delle donne, e rafforzi la trasparenza salariale, progetti sull’housing sociale, per ridurre i contesti di marginalità estrema che aumentano il rischio di violenza cui sono maggiormente esposte le donne, la valorizzazione delle infrastrutture sociali e la creazione di innovativi percorsi di autonomia per individui disabili (Missione 5), il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare per ridurre l’onere delle attività di cura, fornite in famiglia prevalentemente dalle donne (Missione 6).

Da questa premessa, alla luce delle considerazioni sviluppate nel corso dell’incontro su Twitter Spaces del 14/09/2021, nasce l’idea di un cammino di riflessione “a tappe”, organizzato per obiettivi sullo schema delle priorità fissate dal Piano.

venerdì 10 settembre 2021

Violenza sulle donne: impatto di stereotipi e sessismo

 di Valeria Frezza

Lo STEREOTIPO FEMMINILE propone una donna che si realizza solo nella sfera privata e che ha un ruolo subordinato rispetto all’uomo.

LO STEREOTIPO FEMMINILE agisce come un burattinaio con le marionette, infatti, se le donne si comportano secondo lo stereotipo, si rassegnano a vivere una vita che non hanno scelto, se invece le violano, vengono sanzionate e spesso non riescono comunque a raggiungere i loro obiettivi.

"Gli STEREOTIPI sono come l’acqua per i pesci: proprio perché ci circondano e sono ovunque, non li vediamo più.» (Foster Wallace). 

Spesso le donne pensano che si tratti di  caratteristiche individuali ed invece è frutto della stereotipizzazione cioè del ruolo attributo dalla società che è posto dentro la natura stessa delle donne e della società.

Per combattere in maniera efficace la VIOLENZA SULLE DONNE occorre necessariamente partire dallo sradicamento dei PREGIUDIZI DI GENERE 
Sul tema della VIOLENZA DI COPPIA molte persone ritengono accettabile che scappi uno schiaffo ogni tanto. 

In merito alla VIOLENZA SESSUALE molte persone ritengono che le donne che non vogliono un rapporto sessuale riescano ad evitarlo e che una donna che subisce violenza sessuale quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe o per il modo di vestire sia almeno in parte responsabile.

Gli stereotipi di genere sono resistenti ma non dobbiamo arrenderci.

Si può chiedere aiuto ed eventualmente scegliere delle organizzazioni che combattono i pregiudizi e si occupano di violenza di genere.

mercoledì 8 settembre 2021

La nostra crescita felice

 di Armando Dicone

La classe media paga il conto della crisi economica causata dal covid, una frase che sentiamo spesso nei talk, ma a ben guardare la crisi del ceto medio ha origini ben più lontane.

Negli ultimi due decenni chi ha tutelato il ceto medio italiano? Domanda retorica.

 

Per 12 milioni di contribuenti italiani (dai 15 a 26 mila euro) la perdita di reddito è del 10,4% in dieci anni. Dal 2008 al 2018 c’è un calo di 2.350 euro all’anno in termini di potere d’acquisto. Il 43,8% degli italiani non raggiunge neanche i 15mila euro (soglia classe media) e ha registrato una perdita di reddito ancora più marcata, oltre il 13%. Inoltre, negli ultimi dieci anni, l’area fino a 15mila euro ha perso 3,3 milioni di dichiaranti.

Dati Ocse 2019 pubblicati da "il sole 24 ore".

 

La seguente tabella mostra come la nostra società sia sempre più diseguale. Il nostro sguardo deve rivolgersi al 50% più povero e mai con invidia, o peggio ancora con odio, al 10% che anzi deve sostenere la crescita.




La proletarizzazione della nostra società è stata causata da chi? E da quali politiche?

Da queste due risposte (non chiedetelo a destra o sinistra altrimenti si incolperanno a vicenda) dovranno partire le nostre proposte condivise per quella che nel "Forum al centro" definiamo crescita felice.

 

Wilhelm Ropke, tra i padri dell'economia sociale di mercato, nella sua opera "civitas humana" scriveva: "questa società che si risolve in individui isolati e si addensa in masse ha perduto il legame intimo e organico della vera comunione spontanea, e quanto più le manca una stretta coesione, tanto più e tenute insieme dalle ferree grappe dello Stato moderno, burocratico e accentrato, il quale trasforma il singolo nella minuscola rotellina di un ingranaggio sempre più complicato, mentre gli individui più di prima lontani l'uno dall'altro."

E ancora "Il semplice aggregarsi degli individui abbandonati ormai a se stessi è quello che chiamiamo riduzione a massa."

"La riduzione a Massa, la proletarizzazione, la collettivizzazione e la scomparsa della piccola proprietà nelle masse, le quali aumentano continuamente con l'apporto dei ceti medi che si vanno riducendo quasi dappertutto, sfociano insieme in un assistenza di massa, ordinata, diretta e sempre più finanziata dallo Stato e formano, insieme con questo stato, col suo apparato di assistenza e di imposte, una società che lascia intristire qualità a vantaggio della collettività e finisce per umiliare l'uomo facendo n'è uno schiavo statale, non sempre magari ben pasciuto."

"Quanto più dilaga la proletarizzazione, tanto più impetuoso diventa il desiderio degli uomini sradicati di farsi assicurare dallo Stato e dalla società il mantenimento e la sicurezza economica, tanto più si atrofizzano i resti della responsabilità personale, tanto più diventano mastodontiche le entrate nazionali, pretese, amministrate e ridistribuite dallo Stato, tanto più opprimente il gravame delle tasse."

Dopo aver individuato la crisi del suo, nostro, tempo individuava nella proprietà privata la soluzione: "O lasciamo che tutti diventino proletari, sia da un momento all'altro con mezzi rivoluzionari sia gradualmente oppure facciamo dei proletari altrettanti proprietari, attuando quella che l'enciclica papale quadrigesimo anno chiamò giustamente redemptio proletariorum".

 

Dell'enciclica di Papa Pio XI, ricordata da Ropke, vorrei condividere due punti.

N. 75:

"la quantità del salario deve contemperarsi col pubblico bene economico. Già abbiamo detto quanto giovi a questa prosperità o bene comune, che gli operai mettano da parte la porzione di salario, che loro sopravanza alle spese necessarie, per giungere a poco a poco a un modesto patrimonio; ma non è da trascurare un altro punto di importanza forse non minore e ai nostri tempi affatto necessario, che cioè a coloro i quali e possono e vogliono lavorare, si dia opportunità di lavorare. E questo non poco dipende dalla determinazione del salario; la quale, come può giovare là dove è mantenuta tra giusti limiti, così alla sua volta può nuocere se li eccede. Chi non sa infatti che la troppa tenuità e la soverchia altezza dei salari è stata la cagione per la quale gli operai non potessero aver lavorato? Il quale inconveniente, riscontratosi specialmente nei tempi del Nostro Pontificato in danno di molti, gettò gli operai nella miseria e nelle tentazioni, mandò in rovina la prosperità delle città e mise in pericolo la pace e la tranquillità di tutto il mondo. È contrario dunque alla giustizia sociale che, per badare al proprio vantaggio senza aver riguardo al bene comune, il salario degli operai venga troppo abbassato o troppo innalzato; e la medesima giustizia richiede che, nel consenso delle menti e delle volontà, per quanto è possibile, il salario venga temperato in maniera che a quanti più è possibile, sia dato di prestare l'opera loro e percepire i frutti convenienti per il sostentamento della vita".

N. 110:

"per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro. Le relazioni quindi fra l'uno e l'altro devono essere regolate secondo le leggi di una esattissima giustizia commutativa, appoggiata alla carità cristiana. (...) Infine le istituzioni dei popoli dovranno venire adattando la società tutta quanta alle esigenze del bene comune cioè alle leggi della giustizia sociale; onde seguirà necessariamente che una sezione così importante della vita sociale, qual è l'attività economica, verrà a sua volta ricondotta ad un ordine sano e bene equilibrato".

 

Equilibrio, giustizia sociale e bene comune non sono solo belle parole da scrivere o enunciare nei salotti buoni, ma sono valori che "regolano" il nostro agire.

 

Luigi Einaudi, nell'articolo "dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, del 1942 ci descrive:

"il vero problema sociale moderno: ricreare per l’uomo il piacere del lavorare, la gioia del lavoro ben fatto, del lavoro che è bello ed attraente in sé stesso. La gioia del lavoro non si crea certamente con qualsiasi organizzazione a tipo comunistico, nella quale si lavora assillati da gare stacanovistiche secondo un piano prestabilito da un’altura qualunque, da un consesso qualsiasi di tecnici sapienti ed è assente la creazione personale autonoma; ma anche l’economia di concorrenza, che non ponga a sé stessa i necessari limiti, che non miri a ridurre al minimo il tempo richiesto agli uomini per la produzione dei beni essenziali all’esistenza, e ad ampliare al massimo il tempo liberamente disponibile per Ia creazione dei beni d’ozio, fallisce allo scopo, per cui soltanto gli uomini preferiscono questo o quest’altro tipo di struttura economica, ed è la loro elevazione morale". Equilibrio tra persona umana e lavoro. Ancora una volta i saggi ci vengono in soccorso per programmare il nostro futuro, il nostro pensiero politico e la nostra presenza nella vita pubblica. Una nuova "proposta al Paese": "Io credo che nessuno di noi possa riproporre l'idea di un partito cattolico che già  i popolari motivatamente rifiutarono e che, oggi a maggior ragione, una coscienza pluralistica ancora più avanzata rifiuterebbe. Possiamo però aspirare legittimamente a raccogliere i liberi consensi di molti, moltissimi cattolici italiani, e più in generale di cittadini che condividono ed accolgono una proposta politica non dettata da presunzione ideologica, ma ispirata a solidi valori morali, attenta alle esigenze reali del Paese, aperta alle attese di progresso e di rinnovamento.

Penso che la società italiana di questi anni abbia bisogno, forse più di ieri, dell'opera politica di cattolici di fermi principi democratici". (Benigno Zaccagnini, Una proposta al Paese, 1976).

 

La nostra "crescita felice" ha radici culturali solide, attualizzarle, per trovare nuove proposte, non sarà certo semplice, ma se condivise, non sarà impossibile.

Dobbiamo solo fare uno sforzo partecipativo.

 

Grazie per l'attenzione.


mercoledì 1 settembre 2021

Sanzionate il Pakistan!

Di Leonardo Gaddini

Negli ultimi giorni i talebani hanno riconquistato l'Afghanistan. In poco tempo sono riusciti a spazzare via l'esercito afghano e a far cadere il governo del presidente Ghani (che si trova in esilio negli Emirati Arabi Uniti). Questo incredibile successo è dovuto principalmente a 2 fattori: la ritirata improvvisa e repentina dell'Occidente e l'appoggio del Pakistan e soprattutto della famigerata agenzia di spionaggio pakistana, l'Inter-Services Intelligence (ISI). Per decenni, infatti, il servizio di spionaggio ha operato come un formidabile avversario degli Stati Uniti, anche se vestito da amico, soprattutto in Afghanistan. Ha frustrato incessantemente gli sforzi bellici afgani dal 2001 aiutando militarmente ed economicamente tutti i tipi di gruppi militanti anti-afghani, principalmente i talebani e la rete Haqqani. Questo supporto ha trasformato il conflitto afghano in una sanguinosa competizione di interessi e influenza in competizione, dove l'influenza tossica dell'ISI è suprema. L'ISI è anche coinvolto nella gestione di diverse reti anti-India
 
L'ISI non è una normale agenzia di intelligence. Opera sotto il comando militare del Pakistan ed è altamente riservato, politicamente influente, attivo e spietato con chiunque veda come opposizione. L'istituto è benestante. con il suo personale attivo e in pensione che spesso trae profitto da numerose fondazioni e società di beneficenza di proprietà militare pakistana. I quasi 25.000 dipendenti dell'agenzia sono per lo più etnicamente omogenei, provenienti prevalentemente dai ranghi dell'esercito. Ancora più preoccupante, l'organizzazione opera secondo una filosofia che ha bisogno dei nemici per rimanere rilevanti e in controllo. Questa paranoia ha permesso al servizio di creare gruppi militanti e minacce immaginarie per guidare le sue motivazioni. Per fare ciò, il servizio avrebbe mantenuto un elenco di quasi 100.000 combattenti militanti a sua discrezione. 
 
All'interno del Pakistan, l'ISI si trova al centro dello stato pakistano. Ha regolarmente sfidato il governo civile del Paese e ha ostacolato il progresso democratico del Pakistan attraverso sistematiche campagne coercitive contro le voci dissenzienti, inclusi politici, attivisti, accademici e media. Ha stretto alleanze con gruppi religiosi estremisti e Partiti politici marginali volti a controllare il popolo pakistano mantenendolo sottomesso allo stato. In quanto tale, l'ISI ha usato vecchie tattiche unite alle nuove, tra cui intimidazioni, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture e omicidi. Il servizio si impegna anche frequentemente in attività di sabotaggio, operazioni psicologiche e campagne di influenza. Ancora più preoccupante, l'infatuazione dell'ISI per i gruppi jihadisti ha influito negativamente sull'agenzia che sta diventando sempre più estremista. In Afghanistan, le operazioni dell'ISI sono intraprese da almeno 3 unità. 
 
Il primo è il Direttorato S, il principale braccio d'azione sotto copertura che dirige e sovrintende alla politica afghana, compresi i gruppi militanti e terroristici e le loro operazioni. La seconda unità è lo Special Service Group (SSG), sono l'elemento delle forze speciali dell'esercito che è stato istituito negli anni '50 come copertura contro i comunisti. Oggi, alcune unità dell'SSG operano effettivamente come ala paramilitare dell'ISI e hanno combattuto a fianco dei talebani. In altri casi, i consiglieri dell'SSG sarebbero stati integrati con i combattenti talebani per fornire consulenza militare tattica, anche su operazioni speciali, sorveglianza e ricognizione. In effetti, incontrare agenti dell'ISI che combattono a fianco dei talebani in Afghanistan è diventato un evento comune che non sorprende più le forze afgane e americane. La terza unità dell'ISI è l'Afghan Logistics Cell, una rete di trasporto all'interno del Pakistan facilitata dai membri del Frontier Corps del Pakistan che forniscono supporto logistico ai talebani e alle loro famiglie. Ciò include spazio, armi, veicoli, protezione, denaro, carte d'identità e passaggio sicuro. Tali reti di supporto dell'ISI sono state progettate per spezzare l'Afghanistan in pezzi e poi riplasmarlo in uno stato debole sotto il controllo del Pakistan. L'obiettivo è complicare il panorama della sicurezza in Afghanistan e portare il suo clima politico in un territorio costituzionale inesplorato per creare un vuoto, che inevitabilmente mette i talebani al posto di guida. Queste azioni di supporto hanno reso visibilmente più efficace il gruppo, i talebani infatti sono recentemente diventati più letali ed efficienti. 
 
I nuovi talebani sono decentralizzati e pieni di nuove reclute, che escono freschi dai campi di addestramento pakistani desiderosi di uccidere. Questo nuovo decentramento ha consentito ai giovani comandanti di prima linea del gruppo di esercitare una maggiore autonomia sul campo, consentendo all'ISI di sfruttarli per le loro esigenze. Secondo quanto riferito, l'ISI gestisce direttamente gruppi di talebani. La riduzione dell'autorità dei talebani ha anche fratturato l'unità e la coesione del movimento e ha portato a molteplici centri di potere. Il gruppo è sempre più rilevato dalla rete Haqqani, che controlla almeno il 15% della manodopera talebana e influenza molti fronti talebani più piccoli. Nel frattempo, il leader dei talebani, Haibatullah Akhundzada, e il suo principale vice, Sirajuddin Haqqani, sarebbero in cattivi rapporti, il che ha anche disturbato l'unità del movimento. I nuovi finanziamenti dei talebani ora provengono non solo dall'intelligence pakistana, ma anche dal traffico di droga, racket, estorsioni e rapimenti per riscatto, dove gli Haqqani svolgono un ruolo fondamentale. 
 
Nel frattempo, alcuni gruppi talebani hanno assunto funzioni statali di base, tra cui la riscossione delle tasse sulle imprese locali, la supervisione dei tribunali canguri, la risoluzione delle controversie locali e la gestione della scuola organizzata. I talebani usano tali misure di tipo statale per creare legittimità tra la popolazione locale. Non sorprende che questo abbia formato un tacito patto sociale tra gli indifesi afgani locali e i talebani, un patto in cui il gruppo non garantisce di "non arrecare danni" alla popolazione locale in cambio della loro fedeltà. Tuttavia, questa fragile relazione talebano-civile esiste a causa della campagna di intimidazioni e uccisioni dei talebani, piuttosto che per la compatibilità delle persone con il gruppo. Cosa più importante, i talebani hanno adottato una solida strategia operativa efficiente sotto il profilo delle risorse, intesa non solo a frammentare le forze afghane, ma anche a conquistare più territorio. Questa strategia ha permesso al gruppo di determinare dove e quando combattere, evitando abilmente gli elementi più forti delle forze afgane e mirando invece dove sono più deboli. Il gruppo impiega frequentemente tattiche simili nelle loro operazioni come imboscate, trappole, attacchi coordinati a sorpresa e simultanei e, sempre più, l'uso di cecchini. L'intelligence pakistana è stata in sintonia con questa strategia dei talebani. 
 
In poche parole, l'ISI ha trasformato il terrorismo in una scuola di pensiero, diretta dagli spazi governati del paese che rimangono imbattuti. Quando un attentato particolarmente sanguinoso colpisce il suolo indiano, per esempio, non importa che arrechi la firma dei naxaliti oppure degli islamisti, perché opinione pubblica, forze armate e politica punteranno sempre il dito contro un bersaglio: il Pakistan, o meglio l’Isi. Se dunque vogliamo veramente aiutare l'Afghanistan e combattere i talebani e il terrorismo islamico i Paesi del mondo libero e democratico devono combattere e sanzionare chi li sostiene militarmente ed economicamente. Le sanzioni economiche al Pakistan sono il primo passo importante da fare. Prima è meglio è.