Di Leonardo Gaddini.
Nei primi giorni di ottobre in Kirghizistan sono scoppiate delle rivolte molto violente che sono state ribattezzate "la Rivolta di Ottobre". Si tratta della terza importante rivolta nella storia del Paese dopo la "Rivoluzione dei Tulipani", nel 2005 e la “Seconda Rivoluzione Kirghisa” nel 2010. Le proteste sono dovute a mali radicati e alle frammentazioni etniche e claniche che da anni lacerano il Paese. La divisione è tra le due etnie maggiormente rappresentate nel Paese, kirghisi e uzbeki (rispettivamente, il 73 e il 15% della popolazione), è rimasta fortemente radicata nella società moderna, con la minoranza generalmente identificata come “estranea” e “straniera”.
Ma anche dal fatto che il Kirghizistan è tra i dieci stati più poveri al mondo e ha un enorme problema di corruzione, nepotismo e malaffare. Nel 2019, circa un quarto degli utenti ha infatti dovuto pagare una tangente per ottenere un servizio pubblico. L’epidemia da COVID-19 ha inoltre esacerbato questa situazione, con stime di una contrazione del 10% del PIL, accompagnata ad un pesante aumento della disoccupazione e della violenza domestica. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata le elezioni parlamentari del 4 ottobre scorso che hanno visto la grande vittoria delle forze di governo che hanno ottenuto 107 seggi su 120 seggi nel Consiglio Supremo. Bisogna precisare però che i Partiti politici come li intendiamo noi non esistono. Si chiamano Partiti, ma lo sono solo formalmente, in realtà si tratta di veri e propri clan che rappresentano i gruppi di potere del Paese. Alle elezioni di inizio mese hanno partecipato 16 formazioni politiche, ma hanno prevalso i quattro partiti filogovernativi, tra cui il Partito che appartiene al fratello dell’attuale presidente Sooronbay Jeenbekov, Asylbek.
Il Partito filogovernativo Birimdik aveva ottenuto oltre il 26% e il Partito Mekenim Kirghizistan, considerato anch’esso vicino al governo, aveva ottenuto più del 24%. Soltanto altri 2 Partiti hanno avevano superato la soglia del 7% necessaria per ottenere seggi in Parlamento, di cui uno solo dichiaratamente d’opposizione rispetto al governo uscente, il Kyrgyzstan Unito. 12 Partiti d’opposizione avevano firmato un documento in cui chiedevano che le ultime elezioni venissero annullate e che si tornasse a votare. Klara Sooronkulova, leader del Partito di opposizione Reforma, aveva denunciato intimidazioni nei confronti degli elettori, oltre che un’illegalità diffusa durante la campagna elettorale, ai seggi poi molte persone sono state colte in flagranza di reato mentre scattavano foto della loro scheda elettorale. Zhanar Akayev, ex parlamentare del Partito di opposizione Ata Meken (che non ha superato la soglia), aveva annunciato la creazione di un consiglio di coordinamento che dovrebbe riunire le opposizioni nella richiesta di nuove elezioni entro un mese.
Dopo l'accusa di brogli i manifestanti preso possesso dei palazzi del potere nella capitale, Biškek, compresi il Parlamento e il palazzo presidenziale, e liberato l’ex presidente Almazbek Atambayev
dal centro di detenzione in cui si trovava dall’inizio dell’estate dopo
una condanna a 11 di carcere. Pochi giorni dopo è stato
nuovamente arrestato dalle forze di sicurezza. Proprio lo scontro tra il
precedente e l’attuale leader del Paese è una delle chiavi di lettura
dell’escalation. La Commissione Elettorale ha riconosciuto i brogli e ha annullato i risultati delle elezioni.
Jeenbekov però è riuscito in seguito a riprendere il controllo proclamando lo stato di emergenza e schierando l’esercito nella capitale.
Le proteste sono iniziate il 5 ottobre a Bishkek, con una folla di 1.000 persone, che è cresciuta fino ad almeno 5.000 entro la sera, riunitesi per protestare contro i risultati e le accuse di compravendita di voti nel parlamento. Il 6 ottobre i manifestanti hanno ripreso il controllo di piazza Ala-Too nel centro di Bishkek. Sono anche riusciti a sequestrare gli edifici della Casa Bianca e del Consiglio Supremo, per i violenti scontri 1 manifestante è morto e altri 590 sono rimasti feriti. Nel frattempo, i gruppi di opposizione hanno affermato di essere al potere dopo aver sequestrato edifici governativi nella capitale e molti governatori provinciali hanno dato le dimissioni. I manifestanti hanno liberato dal carcere l'ex presidente Almazbek Atambayev e il politico dell'opposizione Sadyr Japarov e il Primo Ministro Kubatbek Boronov si è dimesso, il deputato Myktybek Abdyldayev lo ha sostituito ad interim. Nonostante ciò il 7 ottobre i Partiti di opposizione non sono riusciti a formare un nuovo governo. La folla si è radunata per protestare e chiedere le dimissioni di Jeenbekov, da ciò sono scaturiti duri scontri con le forze di sicurezza che hanno portato a 768 persone ferite. Nel frattempo, alcuni parlamentari kirghisi hanno avviato procedure di impeachment contro Jeenbekov. 9 ottobre Jeenbekov ha dichiarato lo stato di emergenza, ordinando alle truppe di dispiegarsi a Bishkek.
Alla fine il 14 ottobre Jeenbekov si è dimesso da presidente del Kirghizistan nel tentativo di porre fine ai disordini politici e far tornare la pace. Poco dopo Japarov si è autodichiarato presidente ad interim, nonostante che la Costituzione del Kirghizistan affermi che il presidente del Consiglio Supremo dovrebbe succedere al ruolo. Qualche giorno dopo Japarov è stato vittima di un attentato, dopo un suo discorso un suo oppositore si era avvicinato alla sua auto e gli aveva sparato mancandolo. Finalmente l'impasse si è sbloccato il 10 gennaio quando si sono tenute le elezioni presidenziali che hanno visto la vittoria di Japarov con il 79%. Oltre a ciò nello stesso giorno si è anche tenuto un referendum costituzionale con cui il popolo ha approvato la riforma, promossa dallo stesso Japarov, che prevede una diminuzione dei poteri del parlamento e un aumento di quelli del presidente.
La situazione sembra però ancora non del tutto risolta visto che Japarov
è un personaggio molto controverso (era in carcere per avere
organizzato il rapimento di un governatore provinciale kirghizo). I suoi
avversari lo accusano
di essere un nazionalista corrotto e di avere legami con la criminalità
organizzata una specie di “Robin Hood” populista, cioè come uno che è
arrivato al potere con la promessa di garantire aiuti rapidi ai
kirghizi che ne hanno bisogno. Bisogna poi precisare che il Paese
dell’Asia centrale gioca una parte rilevante della politica del Cremlino e della Cina, quest'ultima, attraverso
accordi di cooperazione multisettoriale legati al progetto della Via
della Seta, tenta di espandere la propria proiezione strategica globale.
Non a caso, la prima direttrice espansionistica di Pechino si è
concentrata verso l’Asia centrale, considerata come una sorta di
“corridoio strategico” utile a collegare la Cina con l’Europa. In tale quadro
geopolitico, un’eventuale destabilizzazione dei paesi ex sovietici in
Asia centrale potrebbe rivelarsi, almeno dal punto di vista cinese,
un’utile opportunità per espandere la cooperazione economica e
consentire in tal modo al Dragone di rafforzare il proprio soft power
nella regione.
Nessun commento:
Posta un commento