Di Leonardo Gaddini
In Italia l’ambientalismo ha sempre incrociato le proprie strade con l’anticapitalismo, con il movimentismo a favore di modelli di sviluppo alternativi, con tutta quella galassia che va dal mondo no-Tav e simili agli autonomi, a parte dei centri sociali, ai fautori della decrescita felice, all’intellighenzia che si batte contro la globalizzazione, o contro per esempio l’utilizzo del PIL per misurare la crescita o lo sviluppo economico. Il problema è che la realtà ci dice che invece sono i Paesi più avanzati, o meglio quelli con maggiore PIL pro-capite, i responsabili delle minori emissioni per ogni euro di valore aggiunto. La scienza ci dice che la responsabilità del riscaldamento globale risiede soprattutto, per il 63%, nelle emissioni di CO2. La profezia degli ambientalisti catastrofisti trova oggi parziale smentita. Il sistema capitalistico non ci porterà alla rovina lasciando dietro di sé un pianeta soffocato e agonizzante, ma è anzi capace di mondare le sue colpe, di attivarsi per conciliare la massima produzione di beni e ricchezza con la riduzione drastica dell’inquinamento atmosferico.
Certamente molto dipende dal tipo di industria. E sicuramente c’entra il fatto che alcune delocalizzazioni abbiano portato produzioni più inquinanti a Est. Tuttavia, l’esempio tedesco, e in parte italiano, ovvero delle due industrie manifatturiere maggiori, del resto molto diversificate, mostra come i Paesi con reddito maggiore e maggiore sviluppo industriale siano anche quelli che riescono a produrre valore con minore emissione di gas e sostanze nocive.
Per l’Italia ci sono buone notizie anche se si guarda alle variazioni delle emissioni nel tempo. Tra 2008 e 2017, infatti, quelle di CO2 per euro sono scese del 38,8%. Più della media europea, più di quanto accaduto in Germania. Tra l’altro i cali maggiori si sono verificati nei Paesi dell’Est più inquinanti, come Bulgaria, Romania, Repubblica Ceca, e in Irlanda. È un segno che proprio laddove le emissioni sono più grandi, là si stanno riducendo di più. È una coincidenza che siano anche i Paesi che in questi anni sono economicamente cresciuti di più? Non è forse un caso che invece l’unica che ha al contrario aumentato in nove anni le emissioni di CO2 per euro prodotto sia la Grecia. L’Italia appare una felice eccezione, bassa crescita, basse emissioni, eppure sono in calo più che altrove. Un trend simile a quello della CO2 si nota nel PM10 (materiale inquinante presente nell'aria) e nel metano, in cui però l’Italia fa peggio della media.
La relazione non è perfetta, anzi, ma si intravede anche un rapporto tra produttività del lavoro ed emissioni di CO2 nell’industria. Laddove è maggiore tendenzialmente queste ultime sono minori, sempre misurate per euro di valore aggiunto. Forse la ricetta per fermare il riscaldamento climatico non è fermare la crescita e la globalizzazione, ma incrementarle, contagiare con le migliori pratiche sulla produttività adottate nell’Europa centrale e settentrionale anche gli altri Paesi che sono ancora indietro. Sono le economie più efficienti, quelle con margini e profitti più alti, le più capitaliste, insomma, quelle che non solo hanno potuto adottare soluzioni ecologiche nelle proprie industrie senza temere cali di produzione, ma soprattutto che le hanno inventate, grazie alle risorse liberatesi per la ricerca sempre grazie agli alti surplus.
La consapevolezza di ciò fatica a farsi strada tra i più giovani perché non vi è neanche tra l’élite nel nostro Paese, allergiche per formazione a un certo tipo di cultura, ma forse è giunto il momento di mettere da parte i cattivi maestri anche in economia. L’unica vera soluzione ad un problema sistemico come lo è quello ambientale è il progresso tecnologico: se la tecnologia che permette di usufruire di servizi più sostenibili si diffonderà: l’ambiente ne gioverà moltissimo. Lo Stato dovrebbe fare un passo indietro e smettere di tassare chi è interessato a produrre servizi ecosostenibili, permettendo un massiccio investimento, di natura privata, in ricerca e sviluppo di tecnologie green.
Chi ci garantisce che ciò possa funzionare? La natura stessa del libero scambio: i produttori investiranno in tecnologia green, per migliorare la propria competitività in un mercato che si prospetta sempre più redditizio.
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