sabato 30 dicembre 2023

La trasformazione della forma partito in Italia: verso una nuova politica

 di Arch. Matteo E. Maino


L'Italia è un paese in cui la politica è sempre stata dominata da grandi partiti, con un forte leader carismatico. Negli ultimi anni, però, questa forma di partito è andata progressivamente in crisi, a causa di una serie di fattori, tra cui la frammentazione del voto, la crisi della rappresentanza e l'avvento dei social media.

La crisi dei partiti tradizionali ha aperto la strada a nuove esperienze, come quella dei Cinque Stelle. I Cinque Stelle hanno saputo catalizzare il malcontento popolare, proponendo una politica alternativa, basata sulla partecipazione diretta dei cittadini.

Tuttavia, l'esperienza dei Cinque Stelle è stata disastrosa, dimostrando che la decrescita felice non è un modello sostenibile e la partecipazione diretta è una chimera.

La crisi dei partiti tradizionali e l'esperienza dei Cinque Stelle hanno portato alla consapevolezza che è necessario un nuovo modello di politica in Italia. Un modello che sia in grado di superare la visione leaderistica, di favorire la partecipazione dal basso e di rifondare la politica sui territori.

Guardo con favore, in questa direzione, ai Riformatori di Centro; anche se molto critico nella loro attuale configurazione formale e operativa.

Partecipazione dal basso

La partecipazione dal basso è fondamentale per una nuova politica. I cittadini devono essere protagonisti della vita politica, non semplici spettatori. Per questo è necessario che i partiti siano in grado di coinvolgere i cittadini in tutte le fasi del processo decisionale. Il cittadino deve tornare a sentirsi rappresentato da chi coglie i suoi problemi reali e concreti, che sia in grado di adottare strategie future concrete e partecipate.

La partecipazione dal basso può avvenire attraverso diversi canali, come le assemblee, i referendum e i gruppi di lavoro. È importante che i partiti siano in grado di utilizzare questi canali in modo efficace e organizzato, per coinvolgere i cittadini e raccogliere le loro idee, per poi sviluppare con profitto le azioni politiche a supporto delle soluzioni tangibili dalla popolazione.


Rifondazione sui territori

La politica deve essere rifondata sui territori. I partiti devono essere radicati sul territorio, in modo da rappresentare le esigenze dei cittadini. Per questo è necessario che i partiti abbiano una forte presenza nei comuni, nelle province e nelle regioni.

La rifondazione sui territori può avvenire attraverso la formazione di nuove generazioni di politici, che siano nati e cresciuti nel territorio che rappresentano. È importante che questi politici siano in grado di comprendere le esigenze dei cittadini e di trovare soluzioni concrete ai loro problemi.


I social media

I social media possono essere un potente strumento per la partecipazione politica.

Tuttavia, è importante utilizzare i social media in modo consapevole, evitando di farsi distrarre dai contenuti superficiali e populisti.

I social media possono essere utilizzati per informare i cittadini, per raccogliere le loro idee e per promuovere la partecipazione politica. È importante che i partiti utilizzino i social media in modo responsabile, per promuovere un dibattito politico serio e costruttivo.


Conclusione

La trasformazione della forma partito in Italia è un processo in atto. È un processo che richiede tempo e impegno, ma che è necessario per costruire una nuova politica, più partecipativa, più radicata sui territori e più efficace.

I partiti che sapranno cogliere questa sfida saranno quelli che avranno successo nelle prossime elezioni. I partiti che continueranno a perseverare nella visione leaderistica e nella decrescita felice saranno destinati all'oblio.

mercoledì 20 dicembre 2023

Violenza contro le donne: possesso e sottomissione #DonnealCentro

 di Valeria Frezza

Nel Global Gender Gap del World Economic Forum, sui Paesi con comportamenti virtuosi nei confronti delle donne, l’Italia è precipitata al 79mo posto.  

Dopo decenni di battaglie femministe, siamo ancora costretti a constatare la visione del corpo della donna come oggetto da possedere, da sottomettere, da usare, figlia della peggiore cultura arcaica e patriarcale. 

Guardare indietro aiuta a capire da dove veniamo, per comprendere quanto c’è ancora da fare. In Italia il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, insieme al matrimonio riparatore. La violenza sessuale è divenuta reato contro la persona solo da 27 anni, nel 1996. Prima, con il Codice Rocco di epoca fascista, lo stupro era un reato contro la morale. Siamo un Paese che ancora non accetta la cultura del rispetto, della parità, dei diritti delle donne? 

La violenza di genere ha una matrice culturale, anche perché si fonda sulla disparità. La cultura patriarcale, dalla notte dei tempi, attribuisce un ruolo minoritario alla donna che a sua volta introietta, anche inconsapevolmente, una serie di comportamenti per aderire o avvicinarsi a quel modello.

A tal punto che le donne, a volte, non percepiscono alcune avvisaglie. La gelosia, il possesso, il dover chiedere permesso ad un uomo, l’isolamento che i violenti attuano verso le compagne, sono indicatori di una relazione non paritaria, di una pericolosa limitazione della libertà e dei diritti. Se un uomo controlla o gestisce il denaro e le spese della propria compagna – in Italia una donna su tre non ha un conto corrente personale - è violenza economica, una via facile di accesso per quella psicologica e fisica. Per una serie di ragioni, chi subisce violenza – che sia economica, psicologica, fisica, digitale - non sempre la riconosce subito come tale. Se molto è stato fatto soprattutto dalle associazioni sul campo, c’è ancora strada da fare sull’emersione della violenza di genere.

In Italia le leggi contro la violenza sulle donne ci sono, non è tanto un problema di norme, a detta delle esperte che da anni lavorano sul campo. Il disegno di legge Roccella è stato approvato in via definitiva e implementa il Codice Rosso del 2019 e tutte le precedenti norme contro la violenza di genere.

Il cambiamento culturale comincia dal ruolo della donna nella società.

Se una donna non lavora e non ha un conto corrente personale ha ancora più rischi di subire la violenza. In Italia c’è quindi da affrontare il problema della grave disoccupazione femminile, soprattutto al Sud. Inoltre, i ruoli sociali e familiari e i lavori di cura non retribuiti in Italia sono ancora in maniera sproporzionata (oltre il 70%) a carico delle donne.

Ancora oggi la sottovalutazione della violenza è frequente, ecco perché dovrebbe esserci un impegno anche economico perché si avvii una formazione sistemica nella società, indispensabile per un reale cambiamento. Dare competenze agli attori della rete antiviolenza ma anche all’interno di qualsiasi categoria professionale, in qualunque luogo abitato da donne, anche per le violenze invisibili, basti pensare alle molestie sul lavoro, all'abuso di potere sulle donne in istituzioni civili e religiose che, spesso, pur partecipando al dibattito ed anche quando si mostrano sensibili al tema, di fatto non fanno nulla per cambiare loro.

Si fanno nuove leggi ma non si va ad attaccare realmente la questione culturale stanziando fondi per la formazione.

Le vittime di violenza spesso, ancora oggi, non vengono credute: per le donne con disabilità è quasi la norma perché si pensa, a causa di altri pregiudizi e stereotipi, che non abbiano una sessualità. Come nel caso di Maria, violentata tre volte al giorno dai 7 ai 27 anni. Nessuno le credeva, perfino la sua psicologa sosteneva fossero fantasie.

Le donne ospitate nei Centri antiviolenza, una volta garantita la sicurezza, tornano a lavorare, i bambini sono inseriti a scuola, frequentano scuole e centri estivi. “L’idea non è quella di nascondersi ma di riappropriarsi della propria libertà e della propria vita

Mediamente l’ospitalità in una Casa rifugio dura sei mesi e le donne che non hanno un’autonomia economica, dunque vivono in una situazione di ricatto, non vengono solo messe in protezione ma accompagnate in un percorso di indipendenza.  

Il messaggio positivo è che dalla violenza se ne può uscire ma è fondamentale chiedere aiuto. 

Liberamente tratto dall'articolo di Ansa di Enrica Di Battista 

lunedì 11 dicembre 2023

#NOPremierato, Sì partecipazione. Le regole del gioco per ricostruire la Politica.

 di Armando Dicone



Il governo Meloni-Salvini ha approvato in Consiglio dei ministri il disegno di legge costituzionale, che prevede l'introduzione dell'elezione diretta del Presidente del Consiglio dei ministri da parte degli elettori, con un premio di maggioranza del 55% dei seggi parlamentari al partito o alla coalizione del candidato premier.

Questa riforma, presentata come una misura per rafforzare la stabilità dei governi, nasconde in realtà la volontà di affermare la logica del populismo, la “madre delle riforme” demagogiche, che mina i principi fondamentali della nostra democrazia e della nostra Costituzione.

 

L'elezione diretta del PdC viola il principio della separazione dei poteri, che è alla base di ogni ordinamento democratico. Il PdC, infatti, sarebbe un capo politico dotato di poteri straordinari, in grado di condizionare l'attività legislativa e di controllare la maggioranza parlamentare. Il Parlamento, a sua volta, perderebbe il suo ruolo di organo rappresentativo della sovranità popolare e di controllo sull'esecutivo, riducendosi a una camera di registrazione delle volontà del premier.

Il Presidente della Repubblica, infine, vedrebbe limitate le sue funzioni di garante della Costituzione e dell'unità nazionale, in quanto non potrebbe più nominare il presidente del Consiglio, né esercitare il potere di veto sui decreti-legge.

 

In secondo luogo, il premierato non assicura una maggiore rappresentatività, ma al contrario favorisce la personalizzazione e la polarizzazione della politica, rendendo più difficile il dialogo e il confronto tra le diverse forze politiche e sociali.

 

In terzo luogo, il premierato viola il principio della rappresentanza proporzionale, che è previsto dall'articolo 48 della Costituzione, secondo cui "il voto è personale ed eguale, libero e segreto". Il principio della rappresentanza proporzionale, infatti, implica che il Parlamento sia composto da deputati e senatori che riflettano la pluralità e la diversità delle opinioni e degli interessi dei cittadini. Il premierato, invece, prevede un sistema elettorale maggioritario, in cui il partito o la coalizione del premier ottiene il 55% dei seggi parlamentari, a prescindere dalla percentuale di voti effettivamente ottenuta. Questo sistema, però, non assicura una maggiore governabilità, ma al contrario produce una distorsione della volontà popolare, penalizzando le minoranze e favorendo il bipolarismo.

 

Per queste ragioni, penso che il premierato sia una riforma inaccettabile e pericolosa, che va respinta con forza da tutti i cittadini e da tutte le forze politiche che credono nella democrazia e nella Costituzione.

 

È necessario rilanciare il dibattito su altre riforme istituzionali, che siano in grado di rafforzare la qualità della democrazia e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, nel rispetto dei principi costituzionali:

 

-La democrazia interna nei partiti, che è prevista dall'articolo 49 della Costituzione, secondo cui "tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". La democrazia interna nei partiti, infatti, implica che i partiti siano organizzati in modo trasparente e partecipativo, garantendo ai propri iscritti il diritto di eleggere i propri dirigenti e candidati, di esprimere le proprie opinioni e proposte, di controllare l'attività dei propri rappresentanti. La democrazia interna nei partiti, inoltre, favorisce il rinnovamento della classe politica, la responsabilizzazione dei leader, la rappresentanza delle diverse sensibilità.

 

-Una nuova legge elettorale di tipo proporzionale con il voto di preferenza, che sia in grado di assicurare una rappresentanza fedele e proporzionale delle diverse forze politiche e delle diverse componenti sociali e territoriali del Paese. Il voto di preferenza, inoltre, permette agli elettori di scegliere non solo il partito, ma anche i candidati da eleggere, evitando il fenomeno delle liste bloccate imposte dalle segreterie dei partiti. Una legge elettorale proporzionale con il voto di preferenza, infine, consente di evitare le distorsioni e le ingiustizie del sistema maggioritario, che premia il partito o la coalizione più votata, a scapito delle minoranze.

 

-Una riforma per la sfiducia costruttiva come in Germania, che consiste nell'impossibilità da parte del Parlamento di votare la sfiducia al governo in carica se, contestualmente, non concede la fiducia a un nuovo governo. In questo modo, si evita che un governo, nonostante abbia perso la maggioranza parlamentare, possa continuare a rimanere in carica nel caso in cui le forze politiche in Parlamento non riescano ad accordarsi per formare un nuovo governo. Una riforma per la sfiducia costruttiva, inoltre, impedisce che il governo possa essere fatto cadere da una minoranza di parlamentari, che potrebbero essere tentati di cambiare schieramento per motivi opportunistici o clientelari.

 

Queste sono le riforme necessarie e urgenti per migliorare il funzionamento delle nostre istituzioni, per ricostruire la Politica e per rafforzare la nostra democrazia.

 

Grazie per l'attenzione.

 

Armando Dicone 

sabato 25 novembre 2023

#giornatainternazionalecontrolaviolenzasulledonne #bastaviolenzacontroledonne

 di Valeria Frezza

Ricordiamo i nomi di molte donne (ma non tutte) uccise dai rispettivi compagni o ex compagni nel 2023:

Giulia Donato, 23 anni, uccisa a Pontedecimo dall'ex compagno il 4 gennaio 2023
Martina Scialdone, 34 anni, uccisa il 13 gennaio nella zona Tuscolana a Roma.
Oriana Brunelli, 70 Ann, uccisa a Bellaria Igea Marina
Teresa di Tondo, 44 anni, uccisa dal marito il 15 gennaio a Trani.
Alina Cristina Cozac, 40 anni, uccisa a Spoltore (PE)
Yana Malayko, 23 anni, uccisa a Castiglione delle Stiviere il 1 febbraio 2023
Melina Marino, 48 anni, uccisa a Santa Castorina a Riposto in provincia di Catania, l'11 febbraio
Santa Castorina 50 anni, uccisa a Santa Castorina a Riposto in provincia di Catania, l'11 febbraio
Iulia Astafieya, 35 anni, uccisa il 7 marzo a Rosarno
Maria Febronia Buttò, 61 anni, uccisa a Gioiosa Marea, Messina il 10 marzo
Zenepe Uruci, 56 anni, uccisa il 30 marzo a Terni
Sara Ruschi, 35 anni, uccisa il 13 aprile ad Arezzo
Brunetta Ridolfi,  76 anni, uccisa il 13 aprile ad Arezzo
Danjela Neza, 28 anni, uccisa a Savona il 6 maggio
Jessica Malaj, 16 anni, uccisa a Foggia il 7 maggio
Giulia Tramontano, era un'agente immobiliare di 29 anni, incinta di sette mesi, originaria di Sant'Antimo in provincia di Napoli, ma residente a Senago in provincia di Milano, uccisa il 1 giugno 2023
Pierpaola Romano, 58 anni, uccisa nel quartiere San Basilio di Roma il 1 giugno
Maria Brigida Pesacane, 24 anni, uccisa a Napoli l'8 giugno
Floriana Floris, 49 anni, uccisa in provincia di Asti il 9 giugno
Svetlana Ghenciu, 47 anni, uccisa a Rimini il 19 giugno
Margherita Ceschin, 72 anni, uccisa Conegliano il 24 giugno
Maria Michelle Causo, 17 anni, uccisa il 28 giugno a Primavalle, quartiere di Roma
Mariella Marino, 56 anni, uccisa a Troina in provincia di Enna il 20 luglio.
Celine Frei Matzohl, 21 anni, uccisa il 13 agosto 2023
Anna Scala, 56 anni, uccisa in provincia di Sorrento il 17 agosto
Vera Schiopu, 25 anni, uccisa in provincia di Catania il 19 agosto.
Rossana Nappini, 52 anni, uccisa a Monte Mario Roma il 4 settembre
Marisa Leo, 39 anni, uccisa a Marsala il 6 settembre
Maria Rosa Troisi, uccisa a Battipaglia il 20 settembre 
Liliana Cojita, 56 anni, uccisa in provincia di Padova il 21 settembre
Anna Elisa Fontana
Klodiana Veda
Concetta Marruocco
Annalisa D'Auria
Etleva Kanolja
Michele Faiers Dawn
Giulia Cecchettin, 22 anni, uccisa in provincia di Pordenone il 18 novembre

mercoledì 15 novembre 2023

Politica nel mondo digitale - Giornalismo e internet

 #CivitasHumana


Venerdì 24 novembre, alle ore 18,30, si terrà il webinar organizzato da Forum al Centro, Europa Futura e Universitari Liberali, dal titolo:

"POLITICA NEL MONDO DIGITALE - GIORNALISMO E INTERNET".

 

Ne discuteremo insieme a Christian Tosolin, social media manager e giornalista, attualmente è direttore di "digitalepopolare.it".

 

Dopo la relazione iniziale, ci sarà spazio per interventi e domande.

 

L'incontro è libero e gratuito, per partecipare basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com.

 

Vogliamo costruire il nostro futuro, raccontando il nostro glorioso passato, con i mezzi del presente.

 

Ti aspettiamo.




domenica 22 ottobre 2023

Le menzogne su Israele

Di Leonardo Gaddini. 

Lo strumento privilegiato dei detrattori di Israele è la propagazione di affermazioni assurde e prive di fondamento, nella speranza che diventino verità convenzionali. Sugli ebrei e su Israele esiste un'imponente disinformazione che cresce di continuo, il tutto volto a metterli in cattiva luce. I risultati sono che i fatti vengono stravolti, la storia viene riscritta, i media ed internet rendono una idea falsa di Israele, degli ebrei e della "questione palestinese". Una disinformazione tale che se le persone provano a ricercare informazioni in merito difficilmente troveranno qualcosa di vero, anche perché questa disinformazione ha colpito anche i mass media considerati di riferimento, basti vedere la cassa di risonanza che ha avuto la fake news dell'ospedale bombardato a Gaza, dove anche media prestigiosi come la BBC hanno fin da subito e senza esitazione diffuso le bugie di Hamas. L'obbiettivo di chi mette in giro falsità del genere è chiaro: delegittimare l'esistenza stessa dello Stato di Israele, è il nuovo fronte dell’antisemitismo. Se pensate che queste fake news siano di scarsa importanza vi sbagliate, perché la disinformazione attuata ha portato alla crescita vertiginosa dell'antisemitismo in tutto l'Occidente, come dimostrano le immagini delle manifestazioni "pro-Palestina" degli ultimi giorni, dove spesso si sono ascoltati slogan contro gli ebrei e i manifestanti hanno sfilato nelle piazze con immagini antisemite e bandiere di organizzazioni islamiste come Hamas e i Talebani e gli attacchi sempre più frequenti alle Sinagoghe. Il nuovo antisemitismo di oggi si chiama "antisionismo". L'idea che Israele non abbia il diritto di esistere e che gli ebrei che vivono in Israele e che si difendono dai loro aggressori siano automaticamente colpevoli di qualsiasi cosa. 

Non si tratta, ovviamente, di una disinformazione che scaturisce solo dall'ignoranza e dalla voglia di vendere storie, ma si tratta di una vera e propria guerra che si combatte anche attraverso le false informazioni. Ciò si è intensificato negli ultimi anni grazie all'appoggio del "mondo umanitario", ancorato a ideologie terzomondiste, e sostenuto prevalentemente dall'estrema Sinistra. Negli ultimi anni le attività del mondo umanitario si sono intrecciate con la diplomazia internazionale attraverso una fitta rete di relazioni e attività di pubblica informazione che hanno influenzato il discorso sul Medioriente consolidando l'uso di espressioni e concetti falsi quali "apartheid, discriminazione, crimini di guerra, pulizia etnica, colonizzazione". Visti i tragici eventi degli ultimi giorni ritengo necessario cercare di fare luce su le principali menzogne che in questi anni ci sono state raccontate sul conto di Israele. 

La 1ª falsità che spesso viene ripetuta è che prima del 1948 non fosse mai esistito niente come Israele, ma non è così, già 3.000 anni prima dell’Olocausto, prima ancora che nascesse l'Impero Romano, i Re e i profeti d’Israele (come Isaia e Geremia) camminavano nelle strade di Gerusalemme che viene più volte citata nelle Sacre Scritture. Israele è storicamente territorio ebraico, secondo la Bibbia e alcune interpretazioni dell’archeologia contemporanea Giosuè entrò in terra d'Israele nel 1.400 a.C., il Regno di Davide fu fondato intorno al 1.000 a.C., il primo Tempio di Salomone fu costruito intorno al 957 a.C., il secondo tempio fu costruito intorno al 515 a.C., la dinastia Asmonea fu fondata nel 166 a.C., Gerusalemme fu distrutta nel 70 d.C. e gli ebrei furono esiliati da Israele nel 136. L’Islam, invece, non fu fondato fino al settimo secolo d.C. Nessuno stato arabo indipendente è mai esistito nell'area conosciuta come Palestina. Anche durante i 2.000 anni del loro esilio gli ebrei sono stati sempre presenti nella Terra Santa, fino alla rinascita d’Israele nell’Ottocento quando i primi pionieri ebrei si stabilirono nelle terre (spesso deserte e disabitate), nel giro di poco divennero una maggioranza ebraica (tutto ciò avvenne molto tempo prima di Hitler). Dopo l’Olocausto quasi 200.000 sopravvissuti alla Shoah hanno trovato un rifugio sicuro nello Stato ebraico, creato anche grazie al voto favorevole dei 2/3 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1947. Ben presto circa 800.000 ebrei arrivarono dopo essere stati cacciati o essere riusciti a fuggire a causa delle feroci persecuzioni subite nei loro Paesi arabi dove prima vivevano. Nei decenni successivi Israele ha assorbito 1 milione di immigranti che fuggivano dall'URSS e migliaia di ebrei etiopi. Oggi Israele è una società diversificata, cosmopolita, che realizza l’antichissimo sogno di un ritorno a Sion del popolo che qui aveva sempre avuto la sua Patria.


La 2ª falsità è che Israele si rifiuti di dare terre ai palestinesi. Israele ha più volte dato terra in cambio della "pace”. Dopo gli accordi di pace di Camp David con l'Egitto, Israele si è infatti ritirato dalla vasta penisola del Sinai e nel 1995 la Giordania ha firmato un trattato di pace con Israele. Nel 1993 Israele ha firmato gli accordi di Oslo con i quali ha ceduto all’Autorità Palestinese il controllo amministrativo della Cisgiordania. Ma nonostante questo, l’Autorità Palestinese non ha mai rispettato l’impegno di porre termine alla propaganda anti-israeliana e di cancellare dalla Carta Nazionale palestinese l’appello alla distruzione di Israele. Nel 2000 l'ex Primo Ministro israeliano Ehud Barak offrì a Yasser Arafat, ex Presidente della Palestina, la piena sovranità sul 97% della Cisgiordania, un corridoio verso Gaza ed una capitale nel settore arabo di Gerusalemme, ma Arafat rifiutò. Nel 2008 l'attuale Presidente palestinese Mahmud Abbas ha rifiutato un’offerta sostanzialmente analoga dell'allora Primo Ministro Ehud Olmert. Nel 2005 l'ex Primo Ministro israeliano Ariel Sharon decise di ritirare unilateralmente l'esercito da Gaza, così facendo i terroristi di Hamas presero il potere della striscia e trasformarono i luoghi di residenza degli ebrei in siti di lancio dei loro missili e in basi di partenza per gli attentatori suicidi. Infine nel 2010 il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha proposto negoziati senza precondizioni per arrivare alla creazione di uno Stato palestinese, ma i palestinesi hanno rifiutato chiedendo che prima Israele facesse concessioni unilaterali considerate inaccettabili perchè avrebbero portato pericoli alla sicurezza ai cittadini israeliani.


Una delle più grandi e meschine menzogne poi è che Israele sia uno Stato di "apartheid" che merita quindi il boicottaggio internazionale e le sanzioni. Spesso gruppi religiosi, intellettuali e sindacati promuovono campagne di boicottaggio ingannevoli e antisemite per demonizzare quello che loro chiamano lo "Stato ebraico dell’apartheid". La verità è che Israele è uno Stato democratico! La minoranza araba che ci vive (circa il 20% della popolazione) gode di tutti i diritti e ha esattamente le stesse libertà religiose, politiche ed economiche dei cittadini ebrei israeliani, incluso il diritto di voto e la possibilità di eleggere parlamentari di Partiti islamici alla Knesset. Sia gli arabi israeliani che palestinesi possono accedere ai giudizi della Corte Suprema israeliana. Gli arabi israeliani hanno anche il proprio sistema scolastico nella loro lingua, l'arabo è la seconda lingua nazionale ed è presente in tutti i segnali. A differenza di ciò nessun ebreo ha il diritto di possedere proprietà in Palestina, nessun cristiano od ebreo ha la possibilità di visitare i luoghi sacri dell’Islam. Se c’è un Paese nel quale la discriminazione di genere è al minimo, quello è Israele, mentre non è il caso in Palestina. I cristiani arabi soggetti all’Autorità Palestinese e a Gaza stanno fuggendo in massa da quei luoghi nei quali sono perseguitati, mentre la comunità cristiana è fiorente in Israele.


Un'altra grande menzogna riguarda la natura pacifica delle organizzazioni palestinesi spesso descritte dai media come dei "Movimenti di Liberazione di un popolo oppresso", e i palestinesi come delle povere vittime innocenti, ma non è affatto così. Da anni le organizzazioni palestinesi stanno cercando di annientare Israele e gli ebrei. Durante la 2ª guerra mondiale l'allora Gran Muftì di Gerusalemme, Muhammad Amin al-Husseini era un grande estimatore di Hitler e suo alleato, infatti aiutò i nazisti a organizzare la XIII Divisione delle SS, composta interamente da musulmani e dopo la guerra divenne uno dei leader del movimento per l'indipendenza della Palestina. La Carta Nazionale Palestinese sostiene espressamente la necessità di distruggere interamente Israele attraverso la lotta armata e la Costituzione Fateh parla di cancellare la "cultura sionista" (da leggere come ebraica). La Carta di Hamas sostiene che è compito dell'Islam quello di eliminare Israele. I movimenti palestinesi fanno da sempre chiaro riferimento alla violenza e alla guerra per eliminare gli ebrei e gli infedeli (tra cui ci rientriamo anche noi europei). Quando parlano di voler liberare la Palestina intendono in realtà la volontà di cancellare Israele e sostituirlo con uno Stato islamista. Il terrorismo palestinese è dunque il prodotto dell’istigazione, che inculca una cultura di odio e di violenza nelle generazioni successive. 

Un'altra bugia ripetuta più volte è che Israele non rispetti la sovranità palestinese e i luoghi di culto islamici, ma anche questo è falso. Israele per esempio in questi anni ha mantenuto lo status quo sul Monte del Tempio. Lo scorso anno circa 3,5 milioni di musulmani hanno visitato il Monte del Tempio a fianco di circa 200.000 cristiani e 12.000 ebrei. Solo i musulmani possono pregare sul monte e i non musulmani possono visitare solo in determinati orari, che non sono stati modificati. Tutto ciò è garantito anche se il Monte del Tempio è il sito più sacro dell’ebraismo, dove Salomone costruì il suo Tempio circa 3.000 anni fa. Israele ha vigorosamente protetto i luoghi santi di tutte le fedi, compresa la grande Moschea di Al-Aqsa (nonostante che periodicamente torni di moda la fake news che Israele la voglia distruggere). Alcuni poi sostengono che uno dei motivi per l'escalation di violenza sia un aumento delle costruzioni presso gli insediamenti, ma anche questo è falso perchè la costruzione annua negli insediamenti è notevolmente diminuita negli ultimi anni (da circa 5.000 a poco più di 1.000). 

Queste menzogne (insieme a molte altre) hanno avuto un impatto potentissimo nella mente di molte persone, finendo per creare un relativismo morale, per cui gli orrendi crimini di Hamas sono comunque da "capire" e da "comprendere" vista la storia (?), Israele non ha il diritto di difendersi e se lo fa in ogni caso va attaccata perchè "viola i diritti umani" e l'uccisione degli ebrei diventa un atto "comprensibile" e quasi "giustificabile", visto quello che "i palestinesi hanno subito". Queste bugie a cui troppi continuano a credere hanno contribuito alla morte degli ebrei e hanno fatto riprendere slancio all'antisemitismo in tutto il mondo. Questo relativismo morale, unito all'ideologia terzomondista e a una sorta di senso di colpa che molti occidentali hanno solo per essere tali, spinge molte persone a sostenere inconsapevolmente organizzazioni terroristiche, anche se loro quando avranno finito di occuparsi del popolo del Sabato passeranno a quello della Domenica. 

mercoledì 18 ottobre 2023

Webinar "I padri fondatori della nostra patria europa"

 Webinar di formazione politica #CivitasHumana

 


 

 

Mercoledì 25 ottobre, alle ore 18,30, si terrà il webinar organizzato da Forum al Centro, Europa Futura e Universitari Liberali, dal titolo:

"I PADRI FONDATORI DELLA NOSTRA PATRIA EUROPA".

 

Ne discuteremo insieme al sen. Marco Follini, già parlamentare alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica, è stato segretario politico del CCD e dell'UDC, e a Lucio D'Ubaldo, già senatore della Repubblica e attualmente direttore editoriale de "Il Domani d'Italia".

 

Dopo le due relazioni iniziali, ci sarà spazio per interventi e domande.

 

L'incontro è libero e gratuito, per partecipare basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com.

 

Vogliamo costruire il nostro futuro, raccontando il nostro glorioso passato, con i mezzi del presente.

 

Ti aspettiamo.

martedì 3 ottobre 2023

Umanesimo civile 5.0, una nuova visione per l’Italia e l’Europa.

di Armando Dicone
L’Europa è di fronte a una sfida storica: quella di riaffermare la sua identità e il suo ruolo in un mondo sempre più complesso e interconnesso, dove emergono nuove minacce e nuove opportunità. Per farlo, ha bisogno di una visione chiara e condivisa, che sia in grado di ispirare e motivare i suoi cittadini, di rafforzare la sua coesione interna e la sua influenza esterna, di promuovere lo sviluppo sostenibile, la democrazia liberale e la pace.
 
Questa visione non può essere solo economica o politica, ma anche e soprattutto culturale. Deve essere fondata sui valori dell’umanesimo, che hanno plasmato la storia e l’identità dell’Europa, riuscendo tuttavia ad aggiornarli e adattarli alle sfide del XXI secolo. Con ciò va posto al centro il valore della persona umana, della sua dignità, dei suoi diritti-doveri e delle sue potenzialità, tenendo conto, allo stesso tempo, della complessità e interdipendenza delle società globali, della necessità di una convivenza pacifica e solidale tra i popoli, della salvaguardia dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, e del ruolo sempre più rilevante della scienza e della tecnologia nella trasformazione del mondo.
 
Si tratta di quello che amiamo definire umanesimo civile 5.0, una corrente di pensiero che si propone di rinnovare i principi dell’umanesimo, alla luce delle sfide del XXI secolo. Occorre perciò che ai centro ci sia il cittadino, parte attiva della comunità, in rapporto ad uno Stato che promuova i principi di libertà, responsabilità, emancipazione, solidarietà e partecipazione. L’umanesimo civile 5.0 si propone quindi di offrire una risposta culturale, basata su una concezione aperta e pluralista dell’umanità, alle grandi questioni del nostro tempo.
 
Non è un’idea astratta o un ideale utopico, ma un progetto concreto e realizzabile, fatto di azioni e proposte dirette a migliorare la qualità della vita delle persone e delle comunità. Allora, vediamone alcune:
 
  • Creazione di un’Europa federale, che sia capace di esprimere una voce unitaria e forte nel mondo, di difendere i suoi interessi e i suoi valori, di promuovere la cooperazione internazionale e il multilateralismo, di contribuire alla risoluzione dei conflitti e alla prevenzione delle crisi;
  • Partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica e partecipazione dei lavoratori alla governance e agli utili delle aziende. Da ciò consegue l’impegno a rafforzare partiti e sindacati secondo una regola di democrazia e inclusività.
  • Realizzazione di un’economia sociale di mercato, fortemente competitiva, che sia orientata alla crescita inclusiva e sostenibile, alla riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche, alla valorizzazione del capitale umano e sociale, alla tutela dei diritti dei lavoratori e dei consumatori, alla responsabilità sociale delle imprese.
  • Innovazione tecnologica al servizio dell’uomo e dell’umanità, che sia guidata da principi etici e democratici, che rispetti la privacy e la sicurezza dei dati personali, che favorisca l’inclusione digitale e la partecipazione civica, che stimoli la creatività e la competitività.
  • Diffusione della cultura umanistica, che sia capace di integrare le diverse discipline del sapere, di valorizzare il patrimonio storico-artistico europeo, di incoraggiare la ricerca scientifica e la formazione permanente, di sostenere la libertà di espressione e di informazione, di promuovere il dialogo interculturale e interreligioso.
 
In conclusione l’umanesimo civile 5.0 si pone come alternativa al populismo e al nazionalismo, con l’obiettivo di costruire un futuro migliore. 

mercoledì 20 settembre 2023

Webinar di formazione politica: "A partire dalla libertà. Einaudi, Sturzo, Ropke"

 

Webinar di formazione politica #CivitasHumana


Mercoledì 27 settembre, alle ore 18,30, si terrà il webinar organizzato da Forum al Centro, Europa Futura e Universitari Liberali, dal titolo:

"A PARTIRE DALLA LIBERTÀ. Einaudi, Sturzo, Ropke".

Ne discuteremo insieme al prof. Flavio Felice, professore ordinario di storia delle dottrine politiche, all'università del Molise.

Dopo la relazione iniziale, ci sarà spazio per interventi e domande.

L'incontro è libero e gratuito, per partecipare basterà inviare una email a forumalcentro@gmail.com.

Vogliamo costruire il nostro futuro, raccontando il nostro glorioso passato, con i mezzi del presente.

Ti aspettiamo.



domenica 17 settembre 2023

Venti di guerra tra Armenia e Azerbaijan

Di Leonardo Gaddini

Quella tra Armenia e Azerbaijan è una questione mai risolta. Dal 1988, infatti, le tensioni tra i 2 Paesi vanno avanti e fin ora hanno portato a 2 guerre nella regione del Nagorno-Karabakh. La regione è sotto il controllo del Governo azero, ma è abitata da sempre da persone di etnia armena, che parlano regolarmente l'armeno e che sono di fede cristiana. Queste profonde differenze e le discriminazioni subite dal regime azero hanno portato la popolazione locale a votare, il 10 Dicembre 1991, a favore di un referendum per l'indipendenza che ha sancito a larghissima maggioranza la nascita di un nuovo Stato, la Repubblica di Artsakh. Questa decisione fece esplodere il conflitto che scaturì nella "1ª guerra del Nagorno-Karabakh", che durò fino al 1994, provocando più di 18.000 morti e numerosi feriti e dispersi da entrambi i lati. Alla fine dopo 6 anni di dure lotte tutte e 3 le parti del conflitto firmarono, nella capitale del Kyrgyzstan (che fece da mediatore), il Protocollo di Bishkek, che prevedeva un cessate il fuoco e che congelò la situazione. 

Il Protocollo negli anni a venire è stato violato più volte da entrambe le parti con varie provocazioni, dimostrazioni di forza e incursioni militari nei territori contesi. Così le tensioni tra i 2 Paesi sono via via aumentate, fino a esplodere il 27 Settembre 2020 quando è iniziata la "2ª Guerra di Nagorno-Karabakh". Il conflitto durato per 44 giorni è stato caratterizzato da un ampio uso di droni e di armi di ultima generazione, come sensori, artiglieria pesante a lungo raggio, attacchi missilistici, ecc... e ha provocato circa 7.000 vittime (oltre che innumerevoli feriti e sfollati). La guerra si è conclusa il 10 Novembre e stavolta (a differenza della 1ª dove le forze armene avevano prevalso) ha visto la netta vittoria dell'esercito azero che, armato di tutto punto dalla Turchia e con l'aiuto dei mercenari siriani pro-Assad, ha ripreso il controllo su tutta una serie di territori strategici al confine, come i distretti di Agdam, di Kalbajar e di Lachin

Nonostante il cessate il fuoco stipulato dalle parti del conflitto con la mediazione della Russia, le tensioni non sono di certo diminuite. A causa della pesante sconfitta in Armenia c'è stato un tentativo di colpo di stato militare che però Nikol Pashinyan, il Primo Ministro (democraticamente eletto), è riuscito a sventare. E poi nuovi problemi sono iniziati proprio nel distretto di Lachin. Proprio in quella zona di tensione, infatti, c'è un corridoio di estrema importanza per tutta la popolazione della regione, chiamato appunto "la strada della vita", perchè è l’unica a collegare il Nagorno-Karabakh all’Armenia ed è anche l’unica via per trasportare cibo, medicine e beni di prima necessità.

Il corridoio però è stato chiuso il 12 dicembre scorso dalle forze azere e dal 15 giugno gli armeni che vivono in quei territori non hanno ricevuto nessun tipo di rifornimento. Presto in tutto il territorio del Nagorno-Karabakh hanno iniziato a mancare i generi di prima necessità. Il regime azero, guidato col pugno di ferro dal 2003 dal dittatore İlham Əliyev, ha volontariamente cercato di far morire di fame e di malattie l’intera popolazione armena che vive in quel fazzoletto di terra da sempre. 

Secondo l’ufficio dei diritti umani del Nagorno-Karabakh la popolazione soffre di carenza di vitamine e le persone aspettano ore e ore per riuscire a recuperare del pane spesso facendo la fila per tutta la notte. Giorni fa le autorità locali hanno riferito che un abitante di 40 anni è morto di fame specificando che l’uomo era morto di malnutrizione cronica e carenza di proteine ed energia. L'ex-procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno Ocampo ha definito il blocco illegale della strada da parte delle forze di sicurezza azere come un tentativo di genocidio. In questi mesi poi il blocco del corridoio è stato accompagnato da numerose violazioni dei diritti umani perpetrate dall'esercito azero. Il 29 luglio, i servizi della frontiera azera hanno rapito e detenuto Vagif Khachatryan, un civile che doveva essere trasferito in Armenia dal Comitato Internazionale della Croce Rossa per ricevere delle cure mediche che così gli sono state illegalmente sottratte. Finalmente, dopo mesi di abusi e di violazioni dei più basilari diritti umani, il 10 Settembre, il Governo dell’Azerbaijan ha trovato un accordo con le autorità armene per riaprire al traffico della strada della vita, permettendo così il rifornimento di cibo, acqua, medicinale e beni di prima necessità alla popolazione locale, decretando così la fine (almeno in teoria) dell'embargo illegale. 

Vista l'ennesima provocazione del regime azero, il Governo armeno ha deciso di modificare la sua politica estera per cercare di mettere al riparo la popolazione da future aggressioni. Il Primo Ministro Pashinyan infatti sta cercando di staccare l'Armenia dalla Russia da cui era stata fino a oggi dipendente sia dal punto di vista economico e che militare e di avvicinarsi all'Occidente. Il Governo armeno ha capito l'errore fatto a legarsi negli anni al Cremlino, visto che questo l'ha isolata dall'Europa e l'ha resa più povera e vulnerabile, infatti la goccia che ha fatto traboccare il vaso sono state le pesanti concessioni territoriali fatte in favore dell'Azerbaijan proprio su spinta di Mosca e l'inerzia russa durante la crisi del corridoio di Lachin (le così dette forze di pace russe presenti nella regione non sono mai intervenute per cercare di rimuovere il blocco azero). 

Lunedì scorso, infatti, l’Armenia ha lanciato le sue prime esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti d'America e ha inviato aiuti umanitari in Ucraina, nonostante le minacce ricevute dal Cremlino. Come risposta alle pressioni russe il Governo armeno ha ritirato il suo rappresentante dalla CSTO (organizzazione militare fondata dalla Russia in chiave anti-NATO) e ha avviato le procedure parlamentari per ratificare lo Statuto di Roma per aderire alla Corte Penale Internazionale (che aveva spiccato mandato di arresto contro Putin per crimini di guerra). Con questi primi passi verso Occidente l'Armenia spera di guadagnare un supporto internazionale maggiore per difendersi più efficacemente dalle provocazioni e dagli attacchi azeri, questione della massima importanza per Yerevan, visto che nelle ultime settimane l'Azerbaijan ha aumentato i militari al confine e una nuova aggressione sembra imminente. 

venerdì 28 luglio 2023

La depressione delle donne

 di Valeria Frezza


Gli studi statistici sulla distribuzione del disturbo depressivo hanno evidenziato che colpisce le donne con frequenza doppia rispetto agli uomini. Ciò è determinato da:

– motivi socio-economici: spesso le donne ricevono condizionamenti sociali e culturali che forniscono loro scarsi strumenti di autostima e sicurezza personale. Sono, inoltre, soggette a pregiudizi sul loro valore e sulle loro capacità e hanno difficoltà ad occupare posti di responsabilità. In molti casi non sono nemmeno inserite nel mondo del lavoro, non hanno reddito e sono quindi in condizioni di debolezza economica

– motivi biologici di tipo ormonale:, la depressione conseguente all’interruzione di gravidanza, la depressione post-partum e la depressione in menopausa.

– La donna è meno condizionata dal modello eroico cui l’uomo tende a aderire ed è, quindi, più disponibile a denunciare la presenza del disturbo depressivo.

La depressione costa cara e la lotta ai pregiudizi conviene.

Il nemico da battere , è lo stigma, il senso di colpa oppure di vergogna che vive chi sprofonda nella depressione, anche lieve, ritenendo che sia una macchia da nascondere a tutti. E non invece una vera malattia, dai sintomi psichici ma con radici biologiche come qualsiasi altra malattia e, come le altre malattie, da curare.

In California, adulti che hanno cominciato a curarsi, hanno migliorato la produttività nel lavoro e le relazioni interpersonali.

Credo, quindi, che abbiamo sottostimato i vantaggi creati dall’impegno contro un pregiudizio tanto radicato.


Fonti: associazione per la ricerca sulla depressione 

Fondazione Veronesi 

martedì 2 maggio 2023

Democrazia economica

 di Erminia Mazzoni

Partecipazione al lavoro”, questo il titolo della proposta di legge di iniziativa popolare che, il 20 Aprile scorso, Luigi Sbarra, segretario nazionale CISL, insieme ad altri 9 promotori, ha depositato in Cassazione per dare il via a un oneroso iter legislativo su una materia estremamente complessa.
L’avventura merita attenzione e supporto per due diversi ordini di motivi.
In primo luogo, per una questione di metodo, perché l’iniziativa di legge popolare è uno strumento di democrazia e di esercizio fondamentale della sovranità popolare come il voto.
Richiama a quel ruolo attivo dei cittadini che la nostra Costituzione sollecita in più parti e che, purtroppo, ha sempre meno interpreti. 
Nel merito la regolamentazione delle forme di partecipazione dei lavoratori all’impresa rappresenta una incompiuta nel nostro paese, alla quale è opportuno dare una definizione.
È necessario che si chiarisca quanto siamo realmente consapevoli e determinati a modificare il rapporto tra imprenditore e lavoratore, intendendoci sulle finalità di tale operazione.
Dell’argomento si discute fuori e dentro le aule parlamentari da più decenni. 
Dalle aule in più di un caso il dibattito è stato tirato fuori e trasferito sui tavoli governo-sindacati.
Abbiamo all’attivo il c.d. “Codice della partecipazione”, strumento di soft law, contenente una raccolta della normativa vigente, e una legge delega - Art. 4, commi 62 - 63 legge n. 92/12, cd. Riforma Fornero, che affidava al Governo il compito di dare organicità e sistematicità alle norme in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, nonché di partecipazione dei dipendenti agli utili e al capitale. Sia il riordino della normativa in un corpus unico che la delega al governo non hanno prodotto frutti. Dal 2012 vari sono stati i percorsi legislativi avviati senza mai approdare ad una approvazione. Il tentativo più avanzato è stato quello del 2015, quando ben sei proposte di legge, presentare in maniera bipartisan, furono accorpate per un esame congiunto e veloce, ma il tutto si arenò nelle sedute di un comitato interministeriale costituito ad hoc per sciogliere i nodi sorti in sede parlamentare. 
Questo sommario excursus serve a dare l’idea di quanto il terreno su cui si gioca sia impervio.
La trama è molto articolata. 
Le macrocategorie della c.d. partecipazione al lavoro si distinguono in partecipazione al capitale, partecipazione agli utili e partecipazione alla gestione.
La prima, formula di partecipazione finanziaria in senso stretto, prevede da parte dell’impresa l’offerta, a condizioni concordate e preferenziali, ai dipendenti di quote o azioni, per lo più al fine di aumentare la capitalizzazione.
La seconda, preordinata a incentivare la produttività, ancora ad essa la retribuzione.
La partecipazione alla gestione è orientata a promuovere il coinvolgimento dei dipendenti nelle scelte aziendali, attraverso meccanismi e procedure di adozione delle decisioni che attribuiscano un peso al loro voto.
A uno sguardo superficiale e sommario non si coglie la profonda complessità della disciplina che si intende introdurre nel nostro sistema.
I settori interessati sono molteplici: diritto societario, del lavoro, tributario e finanziario.
I due principali fattori della produzione, capitale e lavoro, debbono dialogare di più e meglio, ma non fino a determinare la confusione tra essi e compromettere l’equilibro.
Voci come rischio d’impresa, retribuzione, oneri fiscali o previdenziali, tutela del lavoro assumono connotazioni nuove, molte intuibili non tutte facilmente prevedibili tanto da poterle normare compiutamente.
E poi ci sono i principi costituzionali da coordinare, anche secondo il criterio della prevalenza, quelli dettati dagli articoli 41, 46 e 47: libertà di impresa, diritto dei lavoratori a partecipare alla gestione delle aziende e tutela del risparmio e promozione di quello popolare.
Tra esigenze di finanziamento delle imprese e di promozione della produttività del lavoro e opportunità di incentivare la partecipazione del lavoratore alla gestione dell’azienda, tutte condivise e condivisibili, il legislatore, sia esso istituzionale che popolare, deve partire dalla consapevolezza che dietro il concetto di “partecipazione” si possono nascondere insidie per entrambe le parti.
Questo non deve far demordere dall’intrapresa, ma deve convincere ad usare la fase di raccolta firme per approfondire, spiegare, condividere.