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sabato 28 novembre 2020

Cancellare il debito? Anche NO! - Gruppo “Economia, lavoro e ambiente”

 Di Leonardo Gaddini

Qualche giorno fa, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro ha dichiarato a Bloomberg che la BCE dovrebbe “cancellare” il debito pubblico acquistato durante la pandemia, subito dopo diversi esponenti della maggioranza (specialmente del M5S) hanno sostenuto questo "cambio di passo" da parte della BCE. Anche il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha definito la proposta "interessante". In realtà questa misura non è affatto nuova, già in passato diverse forze politiche avevano proposto misure del genere, però di solito venivano avanzate da Partiti euroscettici di estrema Destra e/o Sinitra (tantochè il responsabile economico della Lega Claudio Borghi ne ha rivendicato la paternirtà) e mai da un esponente di un Governo. Ma in cosa consiste la "cancellazione"? 

In passato con questo termine ci si riveriva all'annullamento del debito che i Paesi in via di sviluppo hanno nei confronti dei Paesi industrializzati. La proposta fu oggetto di una vasta campagna negli anni novanta, condotta da una grande coalizione di organizzazioni non governative. Essa fece sì che la cancellazione del debito venne presa in considerazione da molti Governi del mondo Occidentale e divenne un obiettivo esplicito di organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Soprattutto, fu varata l'iniziativa nota come HIPC (Heavily Indebted Poor Countries), il cui scopo è garantire l'annullamento sistematico del debito per le nazioni più povere, cercando al contempo di garantire che vengano prese azioni allo scopo di ridurre la povertà di tali Paesi. 

Gli oppositori della cancellazione del debito sostengono che essa corrisponde a un assegno in bianco consegnato a Governi (spesso corrotti), che alla fine non usano questi fondi esclusivamente per combattere le povertà, ma per altri fini personali. Inoltre, la cancellazione del debito viene giudicata ingiusta nei confronti di quei Paesi che hanno fatto sacrifici anche grandissimi per non indebitarsi, e costituisce un precedente che potrebbe spingere i Paesi del Terzo Mondo a indebitarsi in modo incosciente sperando in una futura cancellazione. In questo senso, chi si oppone alla cancellazione del debito preferirebbe vedere le stesse somme utilizzate per piani di aiuto specifici. Insomma di solito la cancellazione vine chiesta (e concessa) dai Paesi del Terzo/Quarto Mondo che non hanno nessuna possibilità di ripagare il debito. Ma la BCE ha il potere di cancellare il debito di un Paese membro dell'UE?

La risposta è NO! come ha giustamente detto la Presidente della BCE Christine Lagarde: “una cancellazione del debito sovrano posseduto dalla BCE attraverso i programmi di QE è impossibile perché violerebbe i Trattati”. Il TUE e il TFUE infatti non solo non danno questo potere alla BCE, ma proibiscono proprio interventi di questo tipo. Ma anche se si potesse fare il problema della cancellazione del debito è a tutti gli effetti duplice: politico e finanziario. Politico, perché non ci sarebbe ad oggi alcun consenso tra i Governi dell’Eurozona per varare una misura così estrema. Finanziario, perché è vero che la BCE può stamparsi tutta la moneta che vuole, ma se così facesse rischierebbe di perdere la fiducia dei mercati

Come reagirebbero infatti investitori, imprese e famiglie al fatto che Francoforte stampi euro a piacimento? Inizierebbero a sbarazzarsi delle banconote per paura che perdano valore o sarebbero soddisfatti delle conseguenze della scelta e chiuderebbero un occhio? E poi se i popoli e gli stessi Governi desumessero che i debiti fossero solo sulla carta e sempre pronti ad essere cancellati con un "clic del mouse" nel caso di crisi economica, entrambi sarebbero portati a mettere in atto comportamenti da azzardo morale. I primi, in qualità di elettori, inizierebbero a premiare i programmi politici spendaccioni, i secondi li realizzerebbero senza grosse resistenze mentali, entrambi confidando che prima o poi la BCE li acquisti per eliminarli successivamente. Finiremmo nel disordine economico più assoluto. Perché mai chiudere i bilanci in pareggio? Anzi, perché mai dovremmo pagare le tasse, se possiamo finanziare i servizi totalmente a debito e successivamente farcelo condonare dalla banca centrale? Scordiamoci quindi che la cancellazione del debito da parte della BCE avvenga nelle modalità sopra indicate, perché appare politicamente insostenibile.

In più bisogna anche precisare che questa proposta è stata avanzata poco prima che la Camera e il Senato votassero (praticamente all’unanimità) uno scostamento di bilancio da 8 miliardi di euro. In pratica proprio mentre il Parlamento approva la necessità di un maggiore indebitamento, il Governo comunica ai mercati internazionali che il debito italiano potrebbe avere problemi di sostenibilità e che potrebbe non essere rimborsato. Questi interventi hanno quindi rischiato di incrinare la già flebile fiducia dei mercati nei confronti del nostro Paese. Anche perchè essa è arrivata dopo gli ennesimi bonus "a pioggia" dati dal nostro Governo a imprese fallimentari (Alitalia in primis, ma non solo) che hanno aumentato molto lo scostamento, infatti meno di 1 miliardo è stato usato per sostenere la sanità. Insomma invece di pensare come stanno facendo gli altri Paesi europei (e non solo) a una strategia chiare che guardi anche al futuro e alle nuove generazioni, il nostro Governo continua con i soliti stratagemmi per "vivere alla giornata" senza una chiara idea di come affrontare la ricostruzione post Covid.

mercoledì 25 novembre 2020

#giornatamondialecontrolaviolenzasulledonne #DonnealCentro

 di Valeria Frezza


Il 16 ottobre 2019 condividevo il mio primo articolo sulla questione dell'emancipazione femminile e delle pari opportunità per #DonnealCentro che trovate qui di seguito.

Questo hashtag è nato all'interno dell'esperienza del #ForumalCentro, forum apartitico di ispirazione centrista per tutti i cittadini e le cittadine che desiderano partecipare  ad uno spazio social per parlare di politica e dei problemi del Paese.

L'hashtag #DonnealCentro promuove una maggiore partecipazione delle donne nei tanti ambiti in cui risulta ancora esclusa.

Dopo un anno il ns forum è cresciuto e di questo sono contenta ma devo ammettere che ad oggi ci vuole ancora molto impegno perchè realizzare la parità di genere non è una questione dell'élite che è al potere ma deve coinvolgere tutte le donne e ciò significa anche gettare le basi per una cultura di pace e soprattutto senza violenza contro le donne e quindi auspico una maggiore partecipazione di tutti e soprattutto delle donne.

Le trappole che ingabbiano la politica

 di Armando Dicone

Da troppi anni, 26 per l'esattezza, la politica italiana cerca di trovare il giusto equilibrio dal post tangentopoli e dal post muro di Berlino. Due eventi che cambiarono la politica e che costrinsero la classe dirigente, a trovare soluzioni per superare la forza degenerativa della partitocrazia e il superamento delle ideologie del '900. Le ricette sono state utili? Abbiamo migliorato la politica? Premetto che le due esigenze erano preminenti e che nuove soluzioni erano doverose e necessarie, ma penso che la risposta, ai due quesiti, non possa che essere negativa.

Esaminiamo le trappole che hanno ingabbiato la politica italiana:


-Maggioritario. Il nuovo sistema elettorale avrebbe dovuto garantire la stabilità dei governi. Il risultato negativo è oggettivo, solo negli ultimi 15 anni abbiamo cambiato 9 governi, cioè 1 governo ogni 18 mesi, in Germania, con il proporzionale, la Merkel governa esattamente da 15 anni;


-Leaderismo. Altra trappola causata dal cambio del sistema elettorale e quindi del sistema politico, è stata l'introduzione della figura del leader maximo. Un capo a cui si deve dire sempre di sì, che sceglie la classe dirigente del "proprio" partito in base alla fedeltà e non alla meritocrazia e alle competenze. Un capo che quando va in TV scatena la tifoseria, guarda lo share e i sondaggi del giorno dopo;


-Partiti "vuoti". Siamo in presenza di comitati elettorali del capo non di partiti, semplici club del leader che comanda e decide la linea politica, in alcuni casi senza neppure svolgere congressi e laddove si svolgono si fanno primarie per scegliere il capo. Il capo elimina il rapporto tra elettori e classe dirigente locale poiché tutto deve essere lo "specchio delle sue brame". Chi non condivide la linea del capo del momento, fa un altro partito personale e così fino all'infinito.


-Immediatezza. Tutto deve essere veloce, immediatamente misurabile. Ogni azione deve essere supportata da un vantaggio elettorale anche a scapito del Paese. Il ragionamento, la riflessione e il tempo, sembrano essere categorie politiche contrarie alla logica dell'accattonaggio mediatico.

Se vogliamo liberare la politica italiana e quindi ricostruirla, dobbiamo intervenire sulle trappole. Dobbiamo passare ad una legge elettorale proporzionale, dove ogni partito presenta il proprio programma, le proprie idee e i propri valori agli elettori; dobbiamo costruire partiti solidi, aperti, partecipati, con regole certe di democrazia interna e con un pensiero politico alla base.

Noi centristi, ingabbiati più di altri in questi anni, dobbiamo riscoprire il senso delle nostre, diverse ma affini, culture politiche. Dobbiamo usare il digitale per incontrarci, condividere e decidere, dobbiamo coltivare un nuovo albero che abbia radici solide, dobbiamo superare lo scontro tra chi è stato a destra e a sinistra, dobbiamo riscoprire la passione per la politica e farla conoscere a tanti giovani che "domandano" ma non trovano un'"offerta" credibile.
Dobbiamo liberarci dalla trappola del bipolarismo forzato, dobbiamo essere liberi di unirci.

Grazie per l'attenzione.

martedì 17 novembre 2020

Il centrismo di Sturzo

di Armando Dicone

Grazie a questo articolo mi sono "innamorato" di Sturzo. Tra i tanti scritti, discorsi e articoli, "il nostro centrismo" è quello che a mio avviso rappresenta la vera essenza del pensiero politico sturziano.
Leggendolo potrete notare la concretezza, la determinazione e la chiarezza del suo messaggio. Dobbiamo riscoprire il suo insegnamento con la coerenza delle idee e dei conseguenti comportamenti, il centrismo è un pensiero forte che non andrebbe "diluito".
Buona lettura.
Il nostro centrismo. Don Luigi Sturzo

Articolo pubblicato sul Popolo nuovo il 26 agosto del 1923.

L' accusa che si ripete con insistenza da avversari e da ex-amici è che il partito popolare italiano vada a sinistra, e che non è più un partito di centro.

Questa topografia di destra, sinistra e centro deriva da un semplicismo politico, troppo banale; e poiché manca di contenuto specifico, crea confusioni equivoci ed errori, e forma pregiudizii deplorevoli.

Vediamo di portare un po' di ordine in queste idee confuse, anzitutto per intenderci fra di noi, e poi per obbligare gli altri a non fraintenderci, almeno quelli in buona fede, e non sono pochi.

1. Andiamo per eliminazione: il nostro centrismo non è una linea mediana fra i destri e i sinistri, come a dire un colpo alla botte ed uno al cerchio, ovvero una specie di giudizio di Salomone, un'altalena di teoria e di pratica politica, atta a scontentare tutti o a contentare un po' per uno. Politica da equilibrista, che si ridurrebbe in fondo a non sapere che pesci pigliare ed essere a Dio spiacente ed ai nimici sui. Questa concezione è semplicemente esclusa; sia perché sarebbe un vero nullismo o un semplice opportunismo; sia perché mancherebbe della logica programmatica, che fa discendere, da alcuni principii ideali e da varii postulati fondamentali, le ragioni pratiche dell'azione e le posizioni politiche di lotta e di realizzazione.

2. Altra eliminazione: destra e sinistra nell'interno di un partito, di qualsiasi partito, che abbia un'omogeneità sia pure elementare, cioè quella schematica del programma dello statuto e delle finalità, non possono significare due correnti irriducibili avverse, che ciascuna pretende avere ragione e sopraffare l'altra; poiché in questo caso si tratterebbe di due partiti o di due fazioni; non mai di tendenze nel seno dello stesso partito, sia che tali tendenze fossero stabilizzate attorno ai problemi generali, sia che fossero invece eventuali atteggiamenti su determinate soluzioni.

3. Terza eliminazione: il centrismo dei popolari non è una pura posizione parlamentare, come elemento di equilibrio fra una destra reazionaria e una sinistra socialista, o come semplice integrazione di governi liberali-democratici; simile interpretazione o figurazione topografica è stata smentita dalle diverse combinazioni e dai vari orientamenti dei partiti in quasi cinque anni di esistenza del nostro partito; il quale alla Camera si è trovato per tre anni di seguito (novembre 1919 - ottobre 1922) nella necessità di partecipare a tutti i governi per formare la maggioranza governativa, ed ha cercato di inserire nei vari programmi di governo, alcuni dei postulati pratici propri, quali l'esame di Stato, le leggi agrarie, la libertà di commercio, il riconoscimento dei sindacati, la funzione del movimento cooperativo e simili.

Per questo il nostro gruppo parlamentare è stato avversato e tollerato dai vari partiti di governo, che avrebbero fatto a meno dell'esistenza di questo terzo incomodo nell'attività parlamentare; ma che per ragioni di numero erano costretti a cercarlo, a blandirlo, per poi spesso sopraffarlo. Questa posizione parlamentare può non ripetersi; ciononostante il nostro partito resterà anche in parlamento un vero partito di centro.

4. Spieghiamo allora cosa intendiamo per centrismo. Per noi il centrismo è lo stesso che popolarismo, in quanto il nostro programma è un programma temperato e non estremo: - siamo democratici, ma escludiamo le esagerazioni dei demagoghi; - vogliamo la libertà, ma non cediamo alla tentazione di volere la licenza; - ammettiamo l'autorità statale, ma neghiamo la dittatura, anche in nome della nazione; - rispettiamo la proprietà privata, ma ne proclamiamo la funzione sociale; - vogliamo rispettati e sviluppati i fattori di vita nazionale, ma neghiamo l’imperialismo nazionalista; e così via, dal primo all’ultimo punto dei nostro programma ogni affermazione non è mai assoluta ma relativa, non è per sé stante ma condizionata, non arriva agli estremi ma tiene la via del centro.

Questa posizione non è tattica. E' programmatica, cioè non deriva da una posizione pratica di adattamento o di opportunità: ma da una posizione teorica di programma e di idealità. E la ragione di questa posizione teorica ha la sua origine in un presupposto che caratterizza la ragione etica della vita quale la vediamo noi al lume del cristianesimo: - noi neghiamo che nella vita presente si possa arrivare ad uno stato perfetto, ad una conquista definitiva ad un assoluto di bene.

I socialisti dicono: il male viene dall'ordinamento borghese della società; bisogna abbatterlo, dopo verrà il novus ordo: essi sono estremisti, perché arrivano ad una concezione assoluta. I fascisti dicono: la nazione potrà prosperare solo quando sarà "fascistizzata" negli ordinamenti, nel pensiero, nella vita sociale; essi tendono ad un assoluto e quindi sono anch'essi "estremisti". Chiamiamoli per pura comodità gli uni estremisti di sinistra, gli altri estremisti di destra, e ciò in riferimento alla società borghese; ma la tendenza "monopolista", "assolutista", "estremista" è nella natura del loro movimento.

Nel movimento popolare invece non c'è la futura età di Saturno, la città del Sole, il 2000, la repubblica di Platone e simili ottimismi; perché la nostra fede cristiana e il nostro senso storico ci portano a valutare la vita presente come un "relativo" di fronte ad un "assoluto", e quindi diamo valore fondamentale, anche nella vita pubblica, all'etica, che è per noi norma insopprimibile, e superiore a quella che si chiama "ragion politica" o "ragione economica"; e questo ci dà il senso di relatività, che incentra i problemi, e non li fa come per sé stanti, come fini assoluti da dover raggiungere per un logico predominio e per una ferrea legge.

La mancanza di estremismo programmatico e finalistico, e il suo fondamento etico, che deriva dalla concezione cristiana del popolarismo, contribuiscono fortemente ad escludere nei popolari estremismo di metodo; cioè la realizzazione di mezzi rivoluzionari o violenti o antilegali. E mentre tutti i partiti, che non appoggiano la loro etica sul cristianesimo, possono divenire rivoluzionarii, nel senso di sovvertire gli ordinamenti legali con la violenza con l'illegalismo e con la dittatura, il nostro partito non può mai divenire rivoluzionario o violento, e se accede in casi concreti alle ragioni che muovono altri a far le rivoluzioni, esso rimane sempre quello che il consiglio del partito, nell'appello del 20 ottobre 1922 (alla vigilia della marcia su Roma), chiamò riserva morale della nazione! - Sempre!
Questa è la natura e la ragione sostanziale del nostro centrismo come partito politico.

5. Ma se è così, perché mai ci dicono che il partito ora vada a destra, ora invece vada a sinistra? Lasciamo stare i motivi polemici; ce ne son tanti e servono sempre agli avversari. I socialisti diranno sempre che il partito popolare va a destra, a furia di dirlo, in cinque anni dovremmo essere già all'estrema destra; e lo stesso vale per i liberali conservatori e oggi anche per gli ex-amici; per tutti costoro il partito cominciò ad andare a sinistra appena sorto, e via via avremmo già superato i comunisti: infatti ci dissero un tempo che eravamo peggio dei bolscevichi.

La verità è un'altra: - mentre il programma la natura del partito creano una ragione centrista sia di sostanza che di metodo; la necessità di affermare il partito nella vita e di realizzarne i postulati crea quelle che si chiamano posizioni di battaglia; ed è naturale che ogni posizione di battaglia trovi coloro che resistono e che quindi fanno da antagonisti: altrimenti non vi sarebbe più lotta.

Infatti quando nel 1919 e nel 1920 ci opponemmo agli scioperi generali, i nostri antagonisti furono i socialisti; quando nel 1920 iniziammo la campagna per la colonizzazione del latifondo e la riforma dei patti agricoli, furono gli agrari ed i conservatori; quando nel 1921 iniziammo la lotta contro i provvedimenti finanziari, il nostro antagonista fu Giolitti; quando nel 1922 sostenemmo l’esame di Stato i nostri antagonisti furono i democratici sociali; quando nel presente anno abbiamo combattuto la riforma elettorale politica, i nostri antagonisti sono stati i fascisti.

Destra o sinistra? Ma che c'importa della topografia! Chiamatela come vi pare, per noi è battaglia oggettiva, concreta, logica, che risponde ai nostri principii, ai nostri postulati, alle esigenze politiche del nostro partito. Se nel caso concreto, una nostra posizione di battaglia giovi o nuoccia ad una delle frazioni politiche del paese, sia o non sia opportuna in un determinato momento, tutto ciò fa parte della valutazione politica, che spetta ai dirigenti, ma non sposta la posizione di un partito che segue la sua linea e tenta le sue realizzazioni; anzi manifesta una ragione di polarizzazione di altri partiti e gruppi che vengono così costretti a valutare e rivalutare le posizioni da noi assunte.

Solo così siamo noi e tendiamo a far sì che il nostro pensiero e il nostro programma vengano discussi dagli altri, e possano in parte o in tutto realizzarsi.

6. Alcuno dirà che perché un modo di esprimersi entri nell'uso comune deve avere una ragione; non per nulla da parecchio tempo in Italia si parla di destra e di sinistra: ci deve essere una ragione.

L'osservazione è giusta, ma bisogna spiegare la portata di questa formula sintetica. Dopo la guerra, per sinistra fu caratterizzato il movimento socialista e quell'altro social-democratico che lo favoriva; per destra invece fu caratterizzato quello che vi si opponeva e che poi sboccò nel nazional-fascismo. Fra questi due poli si svolse la nostra politica; e il terzo elemento, il popolare, per potersi piazzare nell'opinione pubblica così orientata, avrebbe dovuto saltare il fosso e presentarsi o come sola destra o come sola sinistra; il fatto che invece volle restar centro, cioè quello che era, diede alle due ali avverse la spinta o a favorirlo o ad avversarlo.

Ora tutto il problema sta qui: c'è posto nella lotta politica per un terzo termine? Noi diciamo di sì, e perciò vogliamo mantenerlo puro; invece questo negano oggi i fascisti e ci voglio decomposti, e ridotti a massa di manovra clericale per comodo dei destri; questo negarono e negano i socialisti, che ci hanno sempre conteso la possibilità dell'organizzazione operaia; e questo negano in parte anche gli amici o ex-amici di dentro e di fuori, affetti dal morbo della filìa, che tenta creare nel partito la orientazione e la stabilizzazione delle tendenze, le quali come gruppi a sé sono stati sempre combattuti e riprovati.

La filìa è un morbo, che deriva dalla poca fiducia e dalla poca convinzione della nostra ragione politica di partito e dei suoi destini; perciò ci sono quelli che credono che è meglio dare al partito popolare un po' più di tinta democratica e sociale e fanno i filo-socialisti; i quali un tempo eccedettero in cravatte nere e in canti di bandiere bianche e in filippiche anti-padronali. Altri invece che credono che il mondo può essere salvato dal manganello meglio che dalla croce, almeno il mondo della proprietà e della ricchezza; oppure che a metter l'ordine, anche senza giustizia e senza libertà, può esser tollerabile la dittatura, e perciò divengono filo-fascisti; fino a votare la legge di riforma elettorale che lede nel suo fondamento i principii costituzionali.

Ecco che gli uni e gli altri diranno che il centrismo del partito non è stato un bene; e che bisogna andare o a destra o a sinistra.

Superate le vostre filìe, abbiate fiducia nel partito popolare, come termine raggiungibile di attività politica e quindi anche di dominio delle nostre idee e delle nostre forze, e allora vi accorgerete che l'attività del partito segue la sua linea, la sua natura, la sua responsabilità puramente centrista, perché popolare.

La filìa è come gli occhiali colorati che fanno vedere negli oggetti i colori che non ci sono. Oggi è la volta del sinistrismo del partito; coloro che lo vedono sono proprio i popolari o gli ex-popolari filo-fascisti. Ieri quegli altri, i sinistri i filo-socialisti, vedevano invece che il mondo popolare andava troppo a destra.

Sono le due piccole ali del partito che fan rumore, perché hanno troppe cose da dire agli altri, e quasi mai delle cose serie e importanti da dire a noi. Questa è la storia, per noi ormai superata, della destra e della sinistra.


Parliamo invece del popolarismo che non piega né a destra e né a sinistra: questo è il nostro partito, il vero partito di centro; in questo partito abbiamo fiducia, e vogliamo che esso superi le difficoltà dell'oggi nella chiara visione del nostro programma e delle nostre finalità politiche e morali.

mercoledì 11 novembre 2020

Il pensiero di don Luigi Sturzo sulla pace

 di Valeria Frezza


Il pensiero di don Luigi Sturzo sulla pace

Don Luigi Sturzo sentì come una sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che l’amore cristiano doveva essere l’anima della riforma della moderna società democratica, nella quale le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune. Da queste premesse Sturzo concepirà l’impegno politico come dovere morale e atto d’amore strettamente collegato con la sete per la giustizia, con la difesa della libertà e con la promozione della pace. 
Il pensiero di Sturzo sulla pace fu provocato dalle particolari circostanze storiche del “secolo breve” caratterizzato da due guerre mondiali, dall’affermarsi di vari totalitarismi e da alcune guerre particolari come la guerra coloniale d’Etiopia condotta dall’Italia e la guerra civile spagnola. Le riflessioni di Sturzo sui problemi della pace e della guerra sono articolate e suscettibili di maturazione e sviluppi.
Egli passa dalla tradizionale posizione della “guerra giusta” fino al rifiuto totale della guerra nella società contemporanea. 
Nell’ultimo punto del programma del Partito Popolare Italiano pubblicato cento anni fa si richiedeva la costituzione della «Società delle nazioni con i corollari derivanti da un’organizzazione giuridica della vita internazionale: arbitrato, abolizione dei trattati segreti e della coscrizione obbligatoria, disarmo universale». 
Il lungo esilio prima a Londra e poi negli Stati Uniti offrì a Luigi Sturzo l’opportunità di una riflessione più organica sui temi della pace e della guerra, che trovò una sintesi sistematica nell’opera "La comunità internazionale e il diritto di guerra", pubblicato in Gran Bretagna nel 1929. 
Gli argomenti sturziani riguardo al superamento della concezione di una “guerra giusta” e all’impegno politico per la pace si possono sintetizzare in alcuni punti: la politica è buona solo quando è “retta” ossia si richiama ai valori morali e innanzitutto al rispetto della persona umana; le nazioni devono essere, in alcuni casi, sottoposte a precisi limiti politici da parte di un’organizzazione internazionale che abbia un’autorità morale universalmente riconosciuta; la Società delle nazioni è di fondamentale importanza per una cultura politica in favore della pace; la politica deve indirizzare l’economia e non viceversa; la necessità di un’educazione e un’autoeducazione delle persone a partire dai giovani a una cultura di pace alla luce dell’universalismo evangelico. 
A proposito della guerra di Spagna Luigi Sturzo scrisse nel giugno del 1937:

«Noi non crediamo alla necessità di alcuna guerra, sia essa fatta in nome della religione o in nome della nazione; in nome del diritto o in nome della patria. (…) Lo spirito cristiano deve soffiare nella vita sociale e politica allo stesso modo e con la stessa efficacia che nella vita personale e familiare. Esso ci porta a dare importanza ai valori morali anche nei rapporti fra i popoli; a cercare le soluzioni pacifiche; a evitare i massacri di guerra. Le grandi rivoluzioni morali (e questa sarà una) cominciano da piccoli e incerti inizi e per la fede di pochi. La fede che la guerra non è più legittima (perché è evitabile); non è più necessaria (perché non è legittima); non è più fatale (perché non è necessaria), è la fede che oggi ci vuole». 

Alla teoria di una presunta inevitabilità della guerra don Sturzo contrappone le ragioni della buona politica caratterizzata dal primato dell’etica che trova nell’amore cristiano il suo nucleo fondamentale. 
Di fronte alle atrocità delle guerre moderne egli scrisse:

«Occorre sapere affermare la teoria cristiana della pace e guardare in faccia le guerre moderne, distruggitrici di ogni ordine e bene morale e materiale, i cui effetti pesano per più generazioni, la cui mostruosità è centuplicata dai mezzi scientifici che si impiegano a danno non solo dei nemici, ma del proprio popolo: perché ormai vincitori e vinti sono sotto la stessa legge di distruzione» (30 luglio 1936). 

Nel 1937 a proposito di una settimana di preghiere per la pace indetta dai giovani cattolici europei, scrisse:

«Se ci fosse una fede viva, quella che trasporta le montagne, noi avremmo la pace di Dio sia nelle nostre anime, sia nella società sia fra i popoli. Allora la nostra preghiera sarebbe esaudita. Ma la fede manca: quanti pensano che basti alla preghiera per la pace? Pochi, pochi. Perché non comprendono che la preghiera non è solo quella di prostrarsi in chiesa e stendere le mani a Dio; ma quella di attuare praticamente quell’amore di Dio e al prossimo che la preghiera esprime. Oggi sembra che non la pace si cerchi, né per la pace si preghi, ma per la vittoria dell’uno e la sconfitta dell’altro, uno esaltato, l’altro disprezzato o odiato in nome d’ideali profani (fascismo o comunismo), più che in nome dell’amore di Dio e del prossimo» (6 novembre 1937). 

Don Luigi Sturzo scrisse nel 1938 in un articolo:

«L’ordine internazionale (quello naturale e ancora più quello cristiano) non può poggiare sull’immoralità elevata a principio, quale sarebbe se si ammettesse che la politica internazionale non ha né caratteri né limiti morali, e che gli uomini che fanno la politica internazionale, per ciò stesso, non sono obbligati a osservare la legge morale. (…) La morale cristiana, anche nell’ordine internazionale non è altro che “verità, giustizia e carità”. (…) Quando si approvano le aggressioni, si lodano le guerre riuscite, anche se ingiuste, si accettano le violazioni dei trattati, si difendono i bombardamenti aerei contro le città e i villaggi indifesi e fuori della zona di guerra, o comunque fatti per terrorizzare le popolazioni civili e non i combattenti; quando si irride a tutti gli sforzi fatti o da fare per costruire una comunità degli stati, (…) quando si basa la società sulla forza, sul dominio di razza, sull’oppressione delle minoranze, dei dissidenti, dei deboli, allora non si ascolta la chiesa, non si obbedisce al Vangelo, non si gettano le basi di un vero ordine internazionale, non si potrà mai ottenere la pace, quella che la Chiesa prega dicendo: Da pacem, Domine, in diebus nostris» (18 agosto 1938). 

La “carità politica” testimoniata da don Luigi Sturzo si rivela di grande attualità, in un momento in cui assistiamo a un disamore e a una sfiducia nei confronti della partecipazione politica da parte soprattutto delle giovani generazioni e a una crisi dello spirito di solidarietà fra individui, classi e nazioni, com’è attuale il pensiero di don Sturzo sul ripudio della guerra e la promozione della pace di fronte alle sfide provenienti nella nostra società globale, dalla «guerra mondiale a pezzi», evocata da Papa Francesco.

Fonte: Primato dell’etica e carità politica

lunedì 9 novembre 2020

Sturzo. Relazione I congresso PPI 1919

 di Armando Dicone


La relazione di Luigi Sturzo, al primo congresso nazionale del Partito Popolare Italiano tenutosi a Bologna il 14 giugno del 1919, evidenzia il programma politico, il pensiero che ne è alla base, il carattere aconfessionale e la concretezza della forma organizzativa voluta dai costituenti popolari.


COSTITUZIONE, FINALITA' E FUNZIONAMENTO DEL PARTITO POPOLARE ITALIANO

Don Luigi Sturzo 

Il Partito popolare italiano si presenta in congresso nazionale dopo quasi cinque mesi di vita come un partito maturo delle sue sorti e sicuro del suo avvenire. Mai come oggi ci siamo sentiti uniti e forti in una idea madre, che tutte le altre contiene in sé e di sé valorizza: l'idea di potere liberamente, con le nostre forze e con la nostra responsabilità, partecipare alla vita della nazione, per darvi un impulso nuovo, per cooperare, in un'ora supremamente difficile, alla salvezza della nostra Italia da oppressioni interne e straniere, per sventolare quella bandiera di libertà e di giustizia, che agli altri partiti non è dato poter fare, per intima contraddizione programmatica e pratica, ma che noi possiamo, nella più pura concezione della vita, anche pubblica, ispirata ai supremi princìpi del Vangelo.


Così nacque, nelle trepide discussioni del dicembre scorso, il nostro partito; e così fu segnato nei punti programmatici e nell'appello del gennaio quando pochi iniziatori, interpreti del pensiero di una corrente irrefrenabile, si fecero da soli, sicuri dell'esito, promotori del nuovo partito.
Voi che oggi siete qui convenuti a Bologna, rappresentate il vasto, cordiale, fiducioso consenso, che da un capo all'altro del nostro Paese esplose dall'animo di quanti aspiravano a un partito, che non avesse legami col passato, che non sognasse materialismi etico-sociali, né anticlericalismi di maniera; né si attardasse in concezioni equivoche di appoggio a quell'ombra di vita quale è il vecchio liberalismo nello sfacelo di ordinamenti sorpassati, nel dissolvimento di una compagine sociale fittizia; ma che per sé stante traesse dalle idealità cristiane la sua ispirazione e dalla balzante realtà politica e sociale il suo orientamento pratico e la sua forza organizzativa.
Nel campo della borghesia professionista e studiosa, per il lungo e perseverante infiltramento di una filosofia anticristiana e materialista, per l'influenza massonica negli studi e negli ordinamenti statali, per una amoralità sistematica nel campo degli affari e nella economia capitalistica, è stato alimentato il pregiudizio anticlericale e laico, che in molti si è fermato a una concezione antitetica col sentimento nazionale e con la supremazia statale, elevata a primo etico della vita pubblica. In altri il pregiudizio è arrivato fino alla lotta antireligiosa non solo negli elementi educativi e morali ma persino nelle manifestazioni di gerarchia e di culto.
Bisognava rompere il cerchio assiderante che metteva quasi fuori della vita pubblica coloro che non accettavano e contrastavano questa ambientazione di pensiero, con l'accusa di antipatriottismo, e che negava a coloro che apertamente professano la religione cattolica e cercano di trarre da essa ispirazioni pratiche di vita sociale, ogni diritto di essere e di rappresentare una massa organizzata nelle grandi assise della nazione.
D'altra parte i continui monopoli di fatto di ogni organismo del lavoro affidato o concesso ai socialisti e alle organizzazioni sindacali e cooperative e il prepotere di esse nella vita pubblica alimentavano la tendenza a confondere con il più grosso materialismo economico e con la più accesa lotta di classe il diritto alle conquiste economiche e politiche del proletariato.
Occorreva rompere gli indugi, in un momento di profonda trasformazione storica della società, e polarizzare verso una sintesi politica le correnti cristiane di pensiero e di azione e le organizzazioni sociali e le forze proletarie, e distinguerle in uno sforzo di autonomia, e per contenuto e per tattica, da precedenti tentativi o da altri partiti, che con sintesi parziali tentavano guadagnarle o assorbirle.
Il titolo `Partito popolare italiano' volle essere la sintesi nominale di questo pensiero, e racchiuderne il contenuto, e volerne la specificazione e la personalità; perché nel concetto di popolo si volle trovare quella integrazione sostanziale di unità nazionale e di ragione sociale, di libertà insieme e di organizzazione, di forza politica e di valore morale, che segna le conquiste ascensionali della storia umana, da quando tutti gli uomini furono chiamati popolo eletto, plebe santa, popolo cristiano.

L' ANIMA CRISTIANA

È superfluo dire perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici; il cattolicismo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall'inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fosse la religione, e abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione.
Sarebbe illogico dedurre da ciò che noi cadiamo nell'errore del liberalismo, che reputa la religione un semplice affare di coscienza, e cerca quindi nello Stato laico un principio etico informatore della morale pubblica; anzi è questo che noi combattiamo, quando cerchiamo nella religione lo spirito vivificatore di tutta la vita individuale e collettiva; ma non possiamo trasformarci da partito politico in ordinamento di Chiesa, né abbiamo diritto di parlare in nome della Chiesa, né possiamo essere emanazione e dipendenza di organismi ecclesiastici, né possiamo avvalorare della forza della Chiesa la nostra azione politica, sia in parlamento che fuori del parlamento, nella organizzazione e nella tattica del partito, nelle diverse attività e nelle forti battaglie, che solo in nome nostro dobbiamo e possiamo combattere, sul medesimo terreno degli altri partiti con noi in contrasto.

Con questo noi non vogliamo disconoscere il passato di quella azione elettorale, che dal 1874 in poi le organizzazioni cattoliche italiane, sotto diversi nomi, con adattamenti locali e con limiti imposti nel campo elettorale politico, poterono tentare e svolgere - non solo sotto il concetto di difesa dei princìpi religiosi contrastati da una politica anticlericale, che imperversava come politica nazionale, che temeva l'influenza della Chiesa e del papato nella vita italiana - ma anche con una formazione iniziale e pratica di un contenuto sociale e amministrativo che è servito a maturare un vero e vasto programma di riforme politiche, quale è stato formulato oggi dal Partito popolare italiano. E si deve anche riconoscere che l'aspro e difficile cammino, compiuto in 40 anni di tentativi e di sforzi nella vita pubblica italiana dalle organizzazioni cattoliche, senza la vera figura di un partito politico, in condizioni impari e con tutte le diffidenze e i pregiudizi antipatriottici creati da una scuola anticlericale, è valso a far rivalutare nella coscienza di tutti il dovere morale di partecipare alla vita pubblica della nazione, senza restrizioni, per portarvi quello spirito cristiano di riforme sociali, economiche e politiche che possano contrastare al materialismo e al laicismo di cui è imbevuta la società presente, che ne ha fatto così triste esperimento in cinque anni di cataclisma, e che ne vede gli effetti in quella conferenza di Parigi che si sperò invano dovesse segnare il trionfo di princìpi morali e spirituali nel mondo.

Oggi era maturo un atto, che, senza costituire una ribellione, fosse invece l'affermazione nel campo politico della conquista della propria personalità, e potesse chiamare a raccolta quanti, senza nulla attenuare delle proprie convinzioni religiose da un lato, e senza menomazioni esterne nell'esercizio della vita civica e politica dall'altro, potessero convenire in un programma e in un pensiero politico, non di semplice difesa ma di costruzione, non solo negativo ma positivo, non religioso ma sociale.
Così, nell'appello lanciato ai liberi e ai forti, i promotori hanno inteso chiamare non solo quelli che hanno militato fin oggi e militano ancora nelle organizzazioni cattoliche o nelle leghe sociali cristiane o in qualsiasi altra forma di associazione economica o religiosa, le quali hanno finalmente visto valorizzato nel campo politico quel contenuto ideale e pratico che era ragione e forma della loro attività; ma anche coloro che, non militando nelle unioni di azione cattolica sia pure per diffidenze o per pregiudizi diffusi e non controllati nell'ambiente nel quale sono vissuti, consentono e mentalmente e praticamente al programma e alle finalità del Partito popolare, e trovano nel campo politico la polarizzazione naturale delle proprie tendenze e delle proprie convinzioni. Agli uni e agli altri, già entrati fidenti nel partito, e oggi uniti in questa prima grande affermazione nazionale, io dico che, con la loro adesione, essi cementano quella unità politica che deve essere fatta di convergenze ideali, di animosa fattività, di spirito di lotta e di ferrea disciplina.

AFFERMAZIONI PROGRAMMATICHE

Da questa concezione sintetica e da questa visione politica è venuto fuori lo schema del nostro programma. Esso è riassunto nell'appello che lo precede, e ha un significato teorico e una portata pratica che è bene esaminare. Non rifarò certo l'analisi dei punti del nostro programma, né lo illustrerò nella portata particolare delle singole affermazioni. Solo mi preme constatare che un programma politico non è né un elenco di proposizioni dogmatiche, né una lettera morta, come fissata in un ordine testamentario, che è al di fuori di noi stessi. Il programma è anzitutto una realtà, e come tale è vivente e si evolve, si specifica, crea attorno a sé la battaglia come teoria e come pratica, e segna nel suo sviluppo il cammino e il progresso del partito.
Le stesse verità etiche contenute nel programma, la stessa ispirazione cristiana che pervade la visione concreta dei problemi e delle soluzioni ivi accennate, che sono il profondo pensiero della umanità specialmente dopo la predicazione del Vangelo, non possono divenire contenuto specifico e pratico di un programma politico, se non quando sono posti come problemi reali e presenti nella vita pubblica del momento che si attraversa, e prospettati sotto l'angolo visuale caratteristico dell'attività di un partito.

Così, mentre la integrità della famiglia attraverso i secoli ha avuto lotte e polemiche religiose, filosofiche o morali, e per i cattolici nella sua specifica ragione religiosa è un soggetto di fede dogmatica e di disciplina morale, diventa nel campo delle attività legislative un problema politico, il fondamento etico di una ricostruzione sociale, quale noi vogliamo attraverso una legislazione che meglio ne tuteli lo sviluppo, la forza morale, la ragione sociale e organizzativa della nazione.

In questo senso il nostro programma sarà da noi elaborato e concretizzato nella vita quotidiana di studi, di lotte, di polemiche, di contributo legislativo, di attività, di trionfi e di sconfitte; e tutto contribuirà a renderci sempre più vicini alla realtà della vita, non attraverso puri schemi mentali o ordini del giorno, che assolvano allo sforzo verbale di un adattamento alla media delle nostre assemblee, ma attraverso opere ricostruttive e sforzi pratici per l'attuazione concreta nella realtà.
Ecco perché io credo che il congresso oggi non possa entrare nel dettaglio dei dodici punti del programma: trasformeremmo l'assemblea stessa in una vana accademia e ripeteremmo vecchi errori di nominalisti e di concettualisti; ma accettati, come di fatto, la linea sintetica e il valore morale del programma del partito, occorre invece cominciare la elaborazione di esso di fronte alla realtà contingente quale oggi ci viene messa dinanzi. Pertanto sono stati messi all'ordine del giorno del congresso tre temi: quello sociale, quello politico, e quello tattico, come tre punti nei quali cercheremo di trovare la convergenza del nostro programma al momento che si attraversa, per valorizzarlo nella pratica: non come la semplice concezione del filosofo che trova la legge astratta dal concreto della vita; ma come la visione sintetica dell'uomo politico che porta nel concreto della vita la convinzione dei suoi princìpi formulati in una concezione astratta o meglio ideale.

Qualcuno osserva che nel programma vi sono affermazioni o enumerazioni di problemi, e non le soluzioni pratiche. Non poteva essere diversamente; mentre i princìpi etico-politici derivanti dai due punti fondamentali del programma, giustizia e libertà, sono le affermazioni che trasportano la teoria nel campo della realtà politica, così il contingente politico, che è attuazione, troverà la sua soluzione mano mano che si presenta o che si pone, sotto forme e contenuto diverso; per cui non possiamo che trovare una linea di approssimazione, una via di tendenze, una soluzione temporanea, che chiami altre approssimazioni, altre tendenze, altre soluzioni, nel divenire perenne che è la vita, nel continuo intersecarsi di forze contrastanti e di elementi contradditori pur ispirati a princìpi fermi e solenni, che danno la guida della luce nel mondo.

Il nostro programma, concepito così come ragione dinamica di un intero organismo, sarà il punto di partenza oggi alle nostre discussioni nei temi specifici posti in congresso come nel fatto è stato il punto di partenza all'azione pratica che abbiamo iniziato nei pochi mesi della nostra attività.

L'ORGANIZZAZIONE

E' a tutti noto quale sia stata la nostra azione di partito dal 18 gennaio a oggi: quasi cinque mesi di incessante lavoro, per potere arrivare a questa prima nostra affermazione nazionale con una maturità che deve, lo spero, renderci fiduciosi del nostro avvenire. Il nostro primo compito era l'organizzarci al centro e alla periferia, e posso riassumere i dati che a tutt'oggi risultano, come una approssimazione della realtà perché molti elementi sono sfuggiti per mancanza di corrispondenza, altri non si sono potuti apprezzare direttamente per difficoltà di conoscenza, per imprecisione di rapporti, per facili deficienze che in un'azione rapida e vivace non potevano affatto mancare. In ogni capoluogo di provincia, in forma provvisoria, per incarico del centro o per designazione di convegni e di assemblee locali, è stato costituito un comitato o una commissione di propaganda; su 69 province solo in undici mancano i comitati e vi sono dei corrispondenti.

Questo organismo importante e delicato assumerà dopo il congresso forma definitiva e carattere costituzionale, con norme già deliberate e rese pubbliche; in modo da dare a tali centri l'autorità e la rappresentanza che viene dalla regolare elezione fatta dalle sezioni esistenti nella provincia.
Tanto più interessa che questi organismi siano definitivi e rappresentino direttamente le forze organizzate, in quanto che alla vigilia delle elezioni generali politiche (che speriamo siano fatte con lo scrutinio di lista e a rappresentanza proporzionale) (del 16 novembre - Ndr.) s'impone la coordinazione delle forze, che può essere fatta localmente dai centri provinciali. In tali organismi si è dato posto ai rappresentanti del gruppo dei consiglieri provinciali iscritti al partito, per coordinare la loro azione amministrativa alle direttive politiche del partito.

Ai comitati provinciali si allacciano le commissioni o comitati collegiali o intercollegiali, che non hanno una funzione specifica e autonoma, ma che possono solo servire da elemento coordinatore e di propaganda alla dipendenza dei comitati provinciali. Gli organismi però che sono la forza e la base del partito, e che devono da soli o uniti compiere una vera funzione politica, sono le sezioni comunali.
Fin oggi il numero delle sezioni approvate arriva a 850; e gli iscritti tesserati a 55.895, però alla segreteria centrale vengono segnalate dall'ufficio stampa molte altre sezioni (circa 200) che non hanno ancora mandato il verbale né ottenuta l'approvazione. Così l'ufficio contabile segnala 106.135 tessere inviate, dietro richiesta, a comitati, a sezioni e a incaricati e ogni giorno arrivano lettere di regolarizzazione. Se si pensa che è stato difficile improvvisare dei propagandisti del partito e se si rileva che ogni giorno affluiscono al centro richieste di conferenzieri e di organizzatori, sì da non dare il tempo a rispondere; se si rileva il numero dei comizi, convegni locali e provinciali tenuti in questi pochi mesi di attività; se si rileva l'adesione data al partito da 20 giornali quotidiani e da 51 settimanali; se si nota il movimento di lettere e telegrammi, oltre 7.000; e ciò con pochi uomini e con pochi mezzi, si può di sicuro dire che la formazione del partito era matura nella coscienza popolare, e che solo mancava la prima scossa per richiamare alla nuova attività politica una parte cospicua del nostro Paese.

Anche dalle terre redente sono venute voci di simpatia e di adesione, e alla presenza nel congresso degli amici di Trento facciamo plauso. Essi rappresentano quel glorioso Partito popolare trentino che a noi ha dato un nome e una storia.
Ed è bene notare che questa semplice e schematica organizzazione di partito in comitati e sezioni valorizza ed è valorizzata dal movimento sociale-cristiano che fa capo alle due confederazioni, quella dei lavoratori e quella delle cooperative, e alla federazione nazionale della mutualità .
Questi grandi organismi, che raccolgono un numero straordinario di forze morali ed economiche, sono certo autonomi e per se stanti e non dipendono organicamente dal partito; ma non si può disconoscere che dei rapporti pratici vi devono essere, e vi sono, nel campo sociale, economico e politico, per la sintesi spirituale del programma, e per la coordinazione dei mezzi. Per questo, senza perdere la loro autonomia e caratteristica speciale, nel consiglio nazionale del partito vengono fra gli aggregati scelte quelle persone che siano esponenti di tali organizzazioni e che saranno tramite di coordinazione e di intese; per questo, nel lavoro pratico e programmatico, si ha cura di procedere con accordi e con intese, che rendano possibile la valorizzazione delle forze e degli organismi sociali nella vita politica del Paese.

A completare la nostra organizzazione di partito abbiamo costituito il gruppo parlamentare del Partito popolare, con diciannove aderenti e con speciale regolamento, che ne fissa la disciplina e i criteri di azione e di responsabilità, sì da potere così formare un organismo distinto, e con propria vitalità, però non avulso dal partito, ma soggetto alla medesima disciplina sostanziale e formale.

TATTICA ELETTORALE

Era evidente che la prima azione di un partito, che sorge purtroppo in periodo quasi elettorale, dovesse essere quella della preparazione morale e pratica alla grande battaglia che segnerà per noi una vera prova del fuoco, non perché il partito possa esaurire le sue energie in una battaglia elettorale, ma perché le ripercussioni locali e generali di una lotta elettorale, combattuta con criteri direttivi, al di sopra di interessi particolari, per forza di cose saranno forti e profonde. Per di più il Partito popolare italiano, se doveva tener conto della forza derivante dalle organizzazioni cattoliche, dalle unioni e leghe aderenti che hanno dimesso ogni movimento elettorale e se non poteva ignorare il passato prossimo delle lotte, dei compromessi e delle alleanze fatte, e le condizioni di difficoltà locali in cui si è svolta ogni attività precedente nel campo della vita pubblica, doveva però come primo passo della sua esistenza, e per la responsabilità che aveva assunta, staccare la nuova azione dal passato e marcare la ragione autonoma, nazionale e positiva del suo carattere.

Pertanto la commissione provvisoria, sia nei primi comunicati dati alla stampa sia nelle circolari alle sezioni ed ai comitati provinciali, insistette validamente perché nessun impegno venisse preso per determinare candidature locali, nessun vincolo venisse convalidato da successive azioni, nessuna sezione nascesse come prodotto di orientazione predeterminata verso precise soluzioni elettorali. Elaborazione, questa, molto difficile nel vario e multiplo sviluppo di organizzazioni popolari economiche e professionali, che direttamente o indirettamente a mezzo di speciali organismi elettorali non bene determinati, viventi spesso per l'autorità di persone e per il valore di tradizioni più che per consenso spontaneo delle forze organizzate, avevano fino a ieri legami con nomi e con situazioni locali al di fuori di una vera concezione e sintesi di partito.

Era dovere della commissione provvisoria imprimere una caratteristica per sé stante alle nostre forze elettorali e dar valore alla elaborazione di una coscienza politica nazionale, più che secondare le piccole posizioni locali e la visione particolare dei bisogni di province e di collegi. Sforzo non lieve che si è compiuto, al punto che da quasi ogni angolo delle nostre sezioni si ripete oggi il voto di una tattica rigida di partito e si ha il senso che sia ormai finito il tempo delle investiture politiche date da pochi per combinazione di corridoi e di sale, alle quali sia estraneo il corpo elettorale organizzato; e che ormai sia da tutti compresa la responsabilità del partito, non frazionata per collegi e province, ma unica nella nazione, come quella di un vero corpo vivente, coerente in se stesso, dall'un capo all'altro della penisola, pur nella grande varietà delle condizioni e delle energie delle diverse regioni.

Occorreva e occorre che più del successo materiale venisse da tutti valorizzato quello morale, e che più che l'effimera organizzazione elettorale si avesse una forza fatta di convinzioni profonde, con una personalità viva operante. Questi sono stati la cura e il lavoro di cinque mesi, e noi veniamo al congresso preparati in modo da potere decidere del problema tattico senza avere assunto impegni generali o particolari con altri partiti o con singole persone e avendo spinto le sezioni e i comitati alla valutazione della propria reale efficienza, per potere sostenere nostre candidature sia per la conquista immediata sia per quelle affermazioni che, se fatte o ambientate bene, valgono non di rado meglio di una vittoria. Non possiamo dire, né del resto sarebbe opportuno, in quanti collegi si potrà oggi affrontare la battaglia con candidati nostri, non abbiamo nemmeno la valutazione del modo come la battaglia sarà combattuta; solo possiamo affermare che un partito nuovo e giovane come il nostro che ha un avvenire avanti a sé, ha una vita popolare che freme, e non deve sciupare le sue forze in sterili tentativi, quando la sua è una responsabilità civica di primissimo ordine, e quando a esso sono volte tante aspettazioni nell'ansia di un momento così aspro per la patria nostra.

I PROBLEMI DELL'ORA

Consci di questa nostra posizione e responsabilità, fin dal primo sorgere abbiamo iniziato la più viva battaglia che si sia fin oggi combattuta per le nostre riforme costituzionali, a favore del collegio plurinominale con sistema proporzionale. Le affermazioni teoriche, che facevano capo all'associazione proporzionalista di Milano, furono col nostro passo portate su terreno politico, per una attuazione immediata, e alla nostra affermazione seguirono quelle degli altri partiti. Però taluni di questi, e più che i partiti talune coalizioni e consorterie, ben noti in Italia, mentre a voce mostravano e mostrano di volere la riforma, all'ombra discreta del governo le cospirano contro. L'urgenza delle elezioni, ieri a giugno oggi a ottobre, è l'argomento principale di questi anonimi oppositori che per il temuto ritardo delle elezioni affacciano non si sa quali conseguenze dannose per la nazione.
A noi è agevole compito l'insistere con ogni mezzo; ed è stato bene che la prima affermazione del gruppo parlamentare del partito sia avvenuta proprio sulla rappresentanza proporzionale, e che il nostro amico onorevole Micheli, quale relatore, abbia dato il suo nome al progetto di legge che è avanti la Camera, come a segnare la nostra prima battaglia di partito, per il risanamento morale dei costumi politici e per l'inizio delle più vaste riforme istituzionali da noi invocate.

L'altra attività del partito vi è nota. Con sobrietà e con fermezza esso ha detto la sua parola con la circolare dell'11 maggio sulle grandi questioni internazionali e nazionali che si dibattono a Parigi, levando per primo la parola della coscienza cristiana ferita dal rinnovarsi e ingigantirsi di imperialismi economici a danno della umanità; mentre prima aveva protestato contro la violazione del principio di autodecisione invocato da Fiume e contro i più vitali interessi della patria nostra.
I tentativi di un bolscevismo di maniera, tendente a portare in Italia una dittatura di classe e un depauperamento economico, ebbe la nostra parola ammonitrice nell'appello del 9 aprile; mentre alle classi dirigenti si ricordava il dovere di sane ed urgenti riforme che il popolo oppresso dal disastro economico e dal malgoverno politico invoca a gran voce. E a questo fine era stata già diramata la circolare del 3 aprile sul problema agrario, che incombe sulla nostra vita nazionale come il principale problema di produzione e di distribuzione della ricchezza, problema che deve essere risolto per salvare il Paese dalla crisi economica che minacciosa avanza.

Per i problemi pressanti dell'emigrazione e della tutela degli ex combattenti si sono stretti rapporti col Consorzio nazionale di emigrazione e lavoro e con il Segretariato nazionale cooperativo; e non vi è stata pubblica manifestazione di interesse collettivo a cui il partito sia rimasto estraneo. Esso ha infatti portato la sua voce al congresso nazionale del pubblico impiego in Roma, in quello dei professori secondari di Pisa, in quello contro la tubercolosi a Genova, in quello della 'Tommaseo' a Modena, affermando dappertutto quei princìpi che rispondono alla concezione del nostro programma nella pratica elaborazione della vita.
A questa elaborazione abbiamo chiamato anche la donna, costituendo i gruppi femminili nelle nostre sezioni e studiando i problemi che la riguardano, perché anche la donna deve oggi contribuire con le sue forze sane e con la sua indole animatrice al formarsi della nuova società che sorge.

A completare il nostro lavoro, segnato a rapidi tocchi in questa relazione e a rispondere alle necessità della formazione politica delle nostre masse abbiamo fatto appello alla stampa e in diverse riunioni tenute con i direttori dei giornali quotidiani aderenti al partito si è visto quale forza da utilizzare abbiamo con noi. Però era necessario non solo sviluppare la propaganda con opuscoli e stampe già diffuse a migliaia, ma avere un organo di partito.
Ed è già venuto alla luce il primo numero del Popolo Nuovo, accolto da generale favore come una voce continua e forte che indirizzi e guidi nell'aspra e difficile lotta.
Dobbiamo infine salutare con entusiasmo la scuola dei propagandisti sorta a Roma e il fascio universitario del partito sorto a Bologna, indice delle nuove vivaci forze giovanili intellettuali, che portano insieme il sacro fuoco della gioventù e la più elevata elaborazione di cultura.

Il CONGRESSO

Il compito della commissione provvisoria del partito è oggi compiuto: l'ultimo suo atto era la preparazione del congresso e non già di un congresso di parata, ma di una vera e propria assemblea costituente. Per questo abbiamo redatto un regolamento molto preciso, in cui traspira un senso di alta disciplina e abbiamo fissato pochi temi sintetici, che diano la caratteristica del partito, e valgano a far prendere posizione netta e chiara nel dibattito degli interessi nazionali e delle tendenze politiche nel Paese. Certo nessuno potrà presumere di aver fatto un lavoro privo di mende e di imperfezioni; e il rilievo sarà facile a quanti, e dal punto di vista generale e da quello locale, troveranno che si poteva fare in modo diverso e con risultati migliori. Quel che preme si è che il lavoro fatto fin oggi, con tante attività e con sì vive speranze in ogni parte, non sia svalutato da mosse inopportune, ma possa invece essere valorizzato da un congresso che deve esserne la più alta ed insieme sincera espressione e deve poterlo sintetizzare sì da renderlo valutabile anche dagli estranei, e tale da poter destare energie sopite, vincere diffidenze ingiustificate, superare difficoltà non dome, accendere entusiasmi profondi.

A quelli che non solo vogliono un programma audace e un'azione d'avanguardia qual è designata dal nostro partito ma, temendo che gli elementi che lo formano manchino oggi di quella coesione intellettiva e morale che arriva alla parte pratica di attuazione di metodi e di atteggiamenti, prevedono deviazioni e compromessi, io dico alto e sereno che la forza dinamica di un partito è fatta di fiducia non di preconcetti, di assimilazione non di repulsione, di simpatia non di esclusivismi. Così si elabora la coscienza di un partito organizzato simile a quella del nostro spirito, che nel contrasto e nella contraddizione delle sue energie e passioni, arriva a dominarsi e dominare, a sviluppare le sane tendenze, a vincere gli ostacoli, ad affrontare la vita.

Siamo oggi alla prima prova, molti di noi non si conoscono; altri si sono visti solo designati alla nostra mente nel passato prossimo o remoto quando le stesse concezioni odierne venivano a noi sotto un angolo visuale diverso. Quante teorie oggi ammesse e sostenute da noi furono ieri oggetto di contrasto e di biasimo! Come oggi è mutata la situazione politica e sociale del Paese! Come certi problemi ieri posti in
primo piano, oggi sono superati e risoluti! Tutto si rifà e si rinnova nella coscienza pubblica.
E il Paese aspetta questa parola: nell'aspra lotta dei partiti avversi, nella difficoltà pratica di conquistare posizioni rese formidabili dal lungo incontrastato dominio di coalizioni massonico-liberali, capitalistiche e socialiste dopo il fallimento di una politica nazionale e internazionale equivoca, incerta, debole, contraddittoria, nell'avvento di classi organizzate, nella trasformazione della economia pubblica, nella
crisi fatale di ogni ordinamento che oggi manchi alla sua ragion di essere, anche il Partito popolare italiano deve dire: ecco, sono presente all'appello.

E benché ciascuno abbia un modo di concepire il nostro partito; e fra noi sia diversa la valutazione del nostro stesso programma, delle nostre energie, del nostro compito immediato e dei nostri metodi, pure la realtà sarà più forte di noi; e il nostro partito deve anch'esso subire la prova della realtà e della lotta, e se sapremo restare al nostro posto di combattimento, potremo dire innanzi alla propria coscienza di avere assolto il nostro dovere di cittadini in un'ora che si presenta per la patria estremamente difficile; ma potremo insieme aver conquistata e coordinata quella intima energia che oggi è sparsa in mille nuclei polarizzati verso di noi, che ancora a noi, al nostro pensiero sociale, alla nostra dinamica politica sono, se non estranei, diversi. L'avvento del nostro partito fu sognato molti anni addietro come una vera forza popolare di evoluzione e di conquista; oggi possiamo chiamarla una realtà vivente cui è segnato un avvenire.
E a questo avvenire inneggio dal cuore nel momento solenne nel quale, fiducioso di aver compiuto il mio sforzo di sognatore e di uomo d'azione, consegno al congresso il mio mandato e quello di tutta la commissione provvisoria, che insieme con me nei primi difficili passi ha guidato e reso maturo alla vita il Partito popolare italiano.

Bologna, 14-16 giugno 1919

sabato 7 novembre 2020

Perché l'occupazione femminile è un fattore di crescita importante

 di Valeria Frezza

Il nostro Paese soffre da anni di bassa occupazione femminile. In Italia permangono molti ostacoli allo sviluppo e alla liberazione delle energie delle donne. Liberazione che non va intesa come vantaggio solo per le donne ma per l’intera società.

La “Womeneconomics” (economia al femminile) produce effetti di crescita nel settore dei consumi, dei servizi, degli investimenti e dell’innovazione, contribuendo allo sviluppo dell’intero sistema economico. La famiglia a doppio reddito agisce come volano di attività economiche e di posti di lavoro. La crescita dell’occupazione femminile genera maggiori consumi  e maggiori entrate per lo Stato, in termini di fiscalità e di contributi previdenziali.

 

Un secondo aspetto fondamentale  è l’aumento nel lungo periodo della fecondità e della natalità, aumento indispensabile in un Paese come il nostro, Infatti, numerosi studi ritengono correlati il maggior tasso di occupazione femminile e l’aumento della natalità. Una maggiore indipendenza economica produce una maggiore capacità di progettualità e di creare nuclei familiari perché c’è una maggiore ricchezza.

 

Donne indipendenti economicamente e con un ruolo sociale sono più realizzate e godono di un maggiore benessere che trasmettono ai figli, contribuendo a creare una società migliore. Uomini che non considerano le loro madri e le loro mogli (o compagne) donne di poco valore, oggetti da usare (e scartare) o su cui usare violenza.

Una maggiore occupazione femminile (ma non basata sul precariato) permetterebbe di arginare anche il fenomeno delle “nuove povertà” che vede coppie o famiglie di disoccupati o precari (a cui di certo non basta il Reddito di Cittadinanza che è oltretutto provvisorio) tornare a vivere con i genitori e gravare sulle loro pensioni.

L’occupazione femminile non può crescere da sola in un Paese come il nostro, affetto da un grave ritardo culturale in quanto a pari opportunità. Un Paese dove manca la meritocrazia ed è ancora affetto da nepotismo.

Donne dedite esclusivamente alla cura della famiglia, donne più o meno giovani costrette ad interrompere il lavoro, sono coloro che prestano assistenza ad anziani e disabili in modo continuativo.

La situazione è quindi bloccata in Italia per la sproporzione nella divisione del lavoro familiare, il mancato sviluppo di politiche di conciliazione tra vita professionale e cura della famiglia, i pregiudizi contro il lavoro femminile.

Tutto ciò provoca uno spreco enorme di talenti. Se vogliamo dare un futuro al nostro Paese non possiamo più prescindere da questo aspetto e il nostro Paese deve porre in essere delle politiche specifiche al fine di sanare il gap.

L’Italia sancisce lo spreco declinato al femminile, c’è differenza nell’accesso alla formazione, alle cure mediche, alle posizioni più alte nella scala della distribuzione del potere, discriminate sul lavoro, spesso subiscono violenza in casa, molte donne sono vittime di femminicidio.

L’unico settore dove le donne hanno un primato fuori discussione è quello del volontariato.

“The thing women have yet to learn is nobody gives you power. You just take it”. (Cit. Roseanne Barr) ma nemmeno i diritti fondamentali.

Libertà è sinonimo di crescita - Gruppo "Lavoro, economia e ambiente"

 Di Leonardo Gaddini

 

Spesso nel dibattito politico italiano si fa spesso riferimento alle disuguaglianze e ai problemi causati dal cosiddetto "Neo-Liberismo", inteso come un sistema economico che si basa sullo sfruttamento dei poveri e dei lavoratori a favore dei grandi capitalisti. Un sistema che costringe gli Stati a sostenere la così detta "Austerity", danneggiando in questo modo i cittadini che si trovano con servizi scadenti per colpa dei continui tagli necessari per "far quadrare i conti", ma se si guarda la realtà capiamo che è solo uno specchietto per le allodole usato dai nostri politici per nascondere i loro fallimenti. L'Italia, infatti, è uno dei Paesi con minor Libertà economica in Europa.

La libertà è come l'aria: si vive nell'aria; se l'aria è viziata, si soffre; se l'aria è insufficiente, si soffoca; se l'aria manca si muore.

Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/199425-luigi-sturzo-la-liberta-e-come-laria-si-vive-nellaria-se-l/
„La libertà è come l'aria: si vive nell'aria; se l'aria è viziata, si soffre; se l'aria è insufficiente, si soffoca; se l'aria manca si muore.“

Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/199425-luigi-sturzo-la-liberta-e-come-laria-si-vive-nellaria-se-l/
„La libertà è come l'aria: si vive nell'aria; se l'aria è viziata, si soffre; se l'aria è insufficiente, si soffoca; se l'aria manca si muore.“

Fonte: https://le-citazioni.it/frasi/199425-luigi-sturzo-la-liberta-e-come-laria-si-vive-nellaria-se-lSpesso nel dibattito politico italiano si fa spesso riferimento alle disuguaglianze e ai problemi causati dal cosiddetto "Neo-Liberismo", inteso come un sistema economico che sfrutta i poveri a vantaggio dei ricchi e che fa aumentare sempre di più le disuguaglianze e il diverio tra ricchi e poveri. Un sistema che costringe poi gli Stati a sostenere la così detta "Austerity", danneggiando in questo modo i cittadini che si trovano con servizi scadenti per colpa dei continui tagli necessari per "far quadrare i conti", ma se si guarda la realtà capiamo che esso è solo uno specchietto per le allodole usato dai nostri politici per nascondere i loro fallimenti. L'Italia, infatti, è uno dei Paesi con minor Libertà economica in Europa. 

 

Ma che cos'è la Libertà economica? Essa è definita come il diritto fondamentale di ogni essere umano di controllare il suo lavoro e la sua proprietà”. Una società economicamente libera è quindi quella in cui: gli individui sono liberi di lavorare, produrre, consumare e investire in qualsiasi modo preferiscano e i Governi permettono che lavoro, capitali e beni si muovano liberamente, ed evitano coercizioni o limitazioni della Libertà oltre a quelle necessarie per proteggere e mantenere la Libertà stessa. 

 

Invece negli ultimi decenni il nostro Paese ha fatto largo uso di politiche economiche stataliste come per esempio: un continuo ricorso alla spesa in deficit, come testimonia il nostro debito pubblico che corrisponde al 166% del nostro PIL (prima della pandemia era già al 136%). L’Italia poi è la prima in Europa per tasse sul lavoro, con il 68,4% e nella classifica stabilita ogni anno dalla World Bank si trova al 80° posto mondiale per Libertà economica. Abbiamo poi anche una burocrazia invadente e inefficiente, una spesa per Pubblica Amministrazione che conta il 5.2% del PIL mentre la media europea è circa del 4%. Abbiamo poi una pressione fiscale sulle imprese che arriva fino al 68% e un Cuneo fiscale altissimo che rendono costosissimo per le imprese assumere nuovi dipendenti, una delle principali cause dell'alta disoccupazione. 

 

Per citare poi altri dati, abbiamo una pressione fiscale generale 45% e una spesa pubblica al 50% circa (escluse oggi le spese per la sanità). Nonostante tutto ciò abbiamo però dei servizi pubblici importanti, tra cui sanità e scuola, inefficienti. Questo vuol dire che la Politica ha deciso di mettere le risorse a disposizione, non nei servizi essenziali del cittadino, ma in tutt'altro, come per esempio: in salvataggi di aziende fallimentari (come Alitalia), nella burocrazia statale e in "mance" elettorali. Questo ha causato un costante declino che non riusciamo più a fermare. Quindi cos’è che serve al nostro Paese per tornare a crescere? Un cambio di rotta, abbandonare lo statalismo che ha caratterizzato l’Italia negli ultimi anni e optare per la Libertà. 

 


La correlazione tra Libertà economica e PIL pro capite (per potere d’acquisto) dimostra la validità e la necessità di questo cambio di passo. Il PIL pro capite, che misura il reddito medio dei cittadini di un Paese, risulta infatti essere fortemente connesso con l’indice di Libertà economica. Il grafico di sopra (della Heritage Foundation), comprendente tutti i Paesi del mondo, mostra questa relazione. I dati sono rappresentati rispettivamente sull’asse X e sull’asse Y, mentre ogni punto rappresenta uno Stato. In generale, risulta chiaro come i Paesi liberi riescano a raggiungere livelli di ricchezza enormemente superiori a quelli non liberi. L’Italia si posiziona appena sopra la linea di demarcazione tra paesi non liberi e paesi liberi, classificandosi come “moderatamente libera”. La Libertà economica italiana risulta infatti una delle più basse in tutta Europa e ultima in Europa occidentale: peggio di noi solo la Grecia e alcuni paesi dell’ex Unione Sovietica e dell’ex Jugoslavia. Il grafico dimostra anche che all’aumentare della Libertà economica, la ricchezza aumenta sempre

 

Non si tratta quindi di semplice correlazione, ma di vera e propria causalità: la Libertà economica porta alla crescita e a uno standard di vita più alto. Insomma solo con la crescita economica si possono veramente combattere la povertà e le disuguaglianze, non con una legge (come alcuni nostri governanti cercano di farci credere), ma ciò che la legge veramente può fare è creare opportunità, e non c’è opportunità più grande della Libertà.

 

martedì 3 novembre 2020

Movimenti femminili cattolici e partecipazione politica #DonnealCentro

 di Valeria Frezza


Una delle rivoluzioni più significative della storia è quella delle donne, che ha cambiato la società in modo decisivo, parallelamente a mutamenti quali: lavoro extradomestico, crescente scolarizzazione, prolungamento della scuola dell'obbligo, libertà di scelta nel matrimonio, diminuzione della mortalità infantile, riduzione della fecondità, prolungamento della vita media, diritto di voto, sviluppo dell'associazionismo.

L'apporto del cristianesimo, con i suoi  principi cardine della diretta figliolanza da Dio, della libera scelta della verginità e nel matrimonio del coniuge sono da considerare decisivi. A fronte dell'affermarsi delle istanze femministe, le donne cattoliche hanno preso le distanze dalle manifestazioni più plateali e conflittuali, ma hanno lavorato a sostegno della dignità della donna, della sua formazione umana e cristiana ponendo le basi di una consapevole partecipazione sociale e politica. I movimenti femminili cattolici avevano un'impronta più spirituale, favorivano la partecipazione ecclesiale, ma va riconosciuto l’ impegno per migliorare le condizioni di vita delle donne.

La scissione tra le donne socialiste e cattoliche era inevitabile, benché non mancassero momenti di rivendicazione comuni e trasversali, specie in campo assistenziale e di "politiche familiari" perché la società non poteva più contare sull’impegno totale delle donne al lavoro di cura.
Il campo privilegiato, dal CIF alle ACLI, all'Azione Cattolica, agli istituti religiosi, è rimasto quello dell'assistenza e della solidarietà, ma le diverse associazioni si andavano man mano dotando di uno specifico settore di studio sulla cosiddetta "questione femminile", allo scopo di favorire una maggiore consapevolezza radicata nei fondamenti antropologici e teologici.

Il femminismo americano ha posto l'accento sui rapporti con il potere, promuovendo marce e manifestazioni politiche di ogni genere al fine di rimuovere la distribuzione ingiusta di risorse e privilegi. La lunga lotta per il diritto di voto è il traguardo principale della prima fase del femminismo, che mirava ad ottenere la parità dei diritti civili per poi mettere in questione le istituzioni, da quella familiare a quelle sociali e politiche. Per poter votare si è dovuto attendere un secolo negli USA, poco meno in Inghilterra e la fine della seconda guerra mondiale in molti paesi europei. In Italia il voto alle donne data dal 1945.
Verso la fine dell'Ottocento e i primi del '900, negli USA molte organizzazioni di donne (tra cui: Women's Christian Temperance Union, Women's Trade Union League; National Consumers League), benché prevalentemente limitate a donne borghesi e intellettuali, ottennero una serie di servizi sociali che, se non cambiavano l'organizzazione della società, alleggerivano però la vita quotidiana delle donne, consentendo loro spazi partecipativi e di libertà personale, in una prospettiva di cooperazione.
In Italia Elena da Persico, con la rivista "L'azione muliebre" fondata a Milano nel 1901, voleva intenzionalmente ripensare il femminismo in un'ottica di pace. L'Unione fra le donne cattoliche italiane (1909) creava una solidarietà "delle donne e per le donne" attorno alla famiglia. La forte spinta alla partecipazione associativa era di fatto un contributo essenziale alla formazione di una coscienza civica, vista come una conseguenza del diritto all'istruzione e alla cultura, con l'accesso alle arti e alle professioni. Un appoggio significativo venne da don Luigi Sturzo, che nel 1919 già contemplava nel suo programma il diritto al voto per le donne. Ma i tempi non erano maturi e in parlamento erano forti le resistenze, motivate dalla natura femminile che sarebbe stata stravolta dall'attività politica.
In Italia le donne cattoliche erano maggiormente in ritardo perché dei veri partiti politici moderni nacquero dal 1892, quando venne fondato il Partito socialista italiano perchè precedentemente, la Destra e la Sinistra storica erano piuttosto "cartelli" di notabili, ciascuno con un proprio feudo elettorale. C'è poi da tenere conto del "non expedit" che dopo l'unità d'Italia metteva il freno alla partecipazione politica dei cattolici in generale.
Le donne più istruite però partecipavano in via informale, formandosi una opinione politica e diffondendola nelle parrocchie e nelle associazioni, nella Democrazia cristiana italiana e poi nel Partito popolare italiano. 

Le donne democristiane, che pure avevano lottato nella Resistenza accanto alle comuniste e socialiste, non potevano unirsi al partito comunista ateo, legato all'Unione sovietica. Nacque così nel 1944 il CIF, Centro italiano femminile, orientato a sostenere la cultura e la partecipazione politica delle donne, a supporto del partito, «per creare una corrente di opinione o meglio un movimento cristiano che convogli la donna verso un femminismo in armonia con gli insegnamenti della Chiesa e la prepari, guidi e sostenga per la conquista e l'esercizio dei doveri che le sono propri nella nuova atmosfera nazionale»
Le due organizzazioni femminili hanno svolto un ruolo propulsivo della partecipazione politica, lavorando ora distintamente ora insieme (si pensi alla lotta contro la pornografia e alla legge contro la violenza sessuale), attuando una vera rivoluzione dei costumi successiva al diritto di voto: il nuovo diritto di famiglia, l'istruzione allargata, l'accesso a tutte le professioni, la tutela della maternità, il controllo della natalità…
Nasceva la consapevolezza che il linguaggio e il diritto non sono "neutri" e i "Diritti dell'uomo" non coincidono automaticamente con i "Diritti delle donne". Solo però alla fine degli anni '70 l'Assemblea generale dell'ONU riconobbe con la "Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne" (CEDAW), i diritti specifici del genere femminile.

I movimenti cattolici femminili sono arrivati in generale più tardi ma hanno portato il contributo di un maggiore equilibrio teorico e comportamentale. Anche grazie ad essi è maturata una riflessione critica più articolata i cui frutti furono i due documenti fondamentali di Giovanni Paolo II, la Mulieris dignitatem e soprattutto la Lettera alle donne (1995), che conteneva il riconoscimento pubblico dell'importanza dell'impegno sociale e politico per il riconoscimento dei diritti delle donne.

A tutt'oggi si avverte la necessità di combattere la scarsa presenza di donne negli organismi della rappresentanza democratica, anche utilizzando specifici interventi normativi. L'introduzione delle "quote" nelle liste elettorali per superare il cosiddetto gender gap non si è rivelata nei fatti una misura realmente incisiva.

I movimenti cattolici restano comunque di preferenza impegnati per una partecipazione politica che nasca da un reale processo di rinnovamento dal basso, attraverso lo sviluppo e la crescita di una nuova classe dirigente politica anche al femminile. A tal fine si lavora da una parte per uno stile di vita familiare improntato alla reciprocità e dall'altro per una politica di qualità, con "tempi" che consentano alle donne di conciliare famiglia, lavoro e politica.