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sabato 4 aprile 2020

Non c'è finanza, pubblica o privata,senza garanzie.

di Giulio Collecchia

Mi sembra che i limiti del dibattito oggi in corso tra i fautori del Mes e quelli che sono favorevoli all'emissione di Bond europei, liberi da vincoli, siano tutti nel fatto che ognuno vi partecipa come
se si trovassero di fronte ad un gioco di società nel quale non è necessario metterci una posta personale. Che la situazione attuale richieda, per tutti i Paesi del globo, straordinarie iniezioni di liquidità nelle proprie economie e verso il rafforzamento della ricerca e del proprio sistema sanitario, è considerato un passaggio generalmente ineludibile. È altrettanto apprezzabile che non solo i governanti ma gli stessi cittadini considerino questo straordinario intervento pubblico una necessità. Quello che non quadra è il fatto che tutti, i primi ed i secondi, si aspettino che la liquidità venga fuori da un'altra "dimensione della realta", senza che questa operazione coinvolga la responsabilità e quindi, sia pur in diversa misura, le loro tasche e programmi.
Considerando quindi il "debito" un fattore necessario per rimettere in moto sistemi produttivi e garantire un minimo di assistenza per la sopravvivenza delle fasce più povere di popolazione o di sostegno a redditi che traballano, non si può eludere, da parte di tutti, il tema delle garanzie che questo surplus di debito richiede per mantenere in equilibrio l'intero sistema economico
mondiale. È, per estrema semplificazione, quello che accade normalmente nella vita di tutti i giorni quando si chiede - famiglie, professionisti, imprese -maggior credito per superare momenti di difficoltà e si riceve la risposta di integrare le garanzie già date a copertura del debito precedente. A questa richiesta avremmo due tipi di risposte da dare. O accettare di integrare le garanzie, oppure rifiutare il nuovo prestito. Ora, tornando agli Stati, pur considerando il diverso livello di interrelazione tra economie nazionali ed in particolare gli effetti su queste dei diversi sistemi produttivi, ma soprattutto l'incidenza della volubile e speculativa finanza,
che per natura non è nazionale, non è comprensibile l'atteggiamento di quelli che pretendono di ricevere maggior credito, quindi indebitandosi di più, senza offrire necessarie garanzie circa l'investimento nell'economia reale di quelle maggiori disponibilità finanziarie così ottenute. E finché questo atteggiamento sia assunto da governanti, più o meno responsabili e sicuramente più attenti ad utilizzare questo argomento come leva per il proprio consenso politico, anche non condividendone l'atteggiamento, diciamo che questo appare oggi il comportamento medio dei politici in ogni Paese. Del resto cosa può importare loro se una scelta poco accorta aumenta la quota di interessi da pagare sul debito. In fin dei conti c'è sempre la via di fuga nell'addossare ad altri (Europa, guerre commerciali Usa-Cina, precedenti governi, ecc.) i propri errori, confidando nella scarsa conoscenza dei meccanismi di macro economia e finanza da
parte del popolo e nella sua scarsa memoria. Ma è proprio la gente comune che sorprende laddove ritiene che le economie mondiali possono fondarsi su meccanismi diversi da quelli con cui tutti i giorni i cittadini sì confrontano, nella loro vita quotidiana, con banche e finanziarie. 
E così li vedi rincorrere e rimpallarsi le più astruse e spesso contraddittoria proposte di creazione di Fondi nazionali o internazionali, di garanzie che dovrebbero essere fondate su improbabili e non verificabili dichiarazione di quegli stessi governi che, normalmente, non riescono a contenere corruzione e spreco di risorse e che non hanno visione chiara di quali riforme servono proprio ai loro cittadini. Un dibattito pubblico sempre più capillare, grazie all'azione divulgatrice ma dissacrante dei social, che divide la gente nelle soluzioni finali, ma che fa ritrovare tutti uniti nel pretendere che gli aiuti arrivino senza che vi sia assunzione di responsabilità nella loro gestione ed anche nella loro restituzione. Capita sempre più spesso di leggere gente comune che pretende che la "solidarietà internazionale" assicuri il proprio intervento senza condizioni, dimenticando che il direttore della propria banca ha sulla scrivania la loro pratica di prestito ed aspetta da loro un personale atto fideiussorio.
È chiaro che oggi più che mai, mi riferisco soprattutto a noi italiani, il Paese abbia bisogno di
quel surplus di risorse da investire (e non solo riversare) nell'economia reale per sostenere le famiglie attraverso il lavoro, l'equità fiscale e la conservazione nella fruibilità di diritti civili e sociali. Un'iniezione di denaro attraverso i meccanismi regolatori dell'economia produttiva e sociale che in 72 anni di democrazia il Paese si è dato, non solo e non tanto un contingente e straordinario intervento assistenziale. È altrettanto chiaro che con le risorse di bilancio attualmente disponibili e con tutti gli sforzi di contenimento dei costi realizzabili non si creeranno quelle condizioni di riavvio e rilancio che il momento richiede. Quindi la richiesta di allargamento delle disponibilità finanziarie attraverso un ulteriore indebitamento appare come l'unica carta da giocare. E sembra sicuramente giusto che questa scelta non debba appartenere solo ad una strategia nazionale ma debba essere una decisione corale di quella più alta e complessiva Unione Europea che abbiamo contribuito a fondare. Tanto più ampia sarà la condivisione della UE su questo passaggio che interessa tutti gli Stati, tanto maggiori sarà la probabilità che l'equilibrio finanziario che si creerà si riverserà e diventerà anche equilibrio di investimento produttivo nei singoli Paesi. Perché questo avvenga, superando titubanze, ritrosie culturali e vantaggi speculativi di alcuni dei Paesi europei, sarà necessario - attraverso un MES modificato o altra forma di sistema di garanzia - che si definisca un sistema di finanziamento unico, assistito, per tutti. Pur condividendo le critiche verso certi atteggiamenti tenuti in passato da Paesi culturalmente più rigoristi, oggi si apre, proprio attraverso questa diffusa e comune necessità di ripresa economica di tutti i Paesi della UE, una nuova grande e storica opportunità di costruire una nuova nazione Europea, che associ e non sovrapponga le singole nazioni partecipanti. Un'Europa che non sia solo quella dell'euro, ma che consideri appunto la moneta uno strumento e non il suo fine.

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