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lunedì 16 marzo 2020

Europa ed economia al tempo del Covid19

di Giulio Colecchia


La sfida lanciata dal COVID 19 giunge, per l’Italia, in un momento particolarmente critico e non solo per quanto riguarda la tenuta del sistema sanitario. Quest’ultimo, alla verifica, sta dimostrando quanto importante sia stata, per tutti noi, la riforma Anselmi che dal 1978 ha realizzato un sistema di assistenza universale che assicura uguali prestazioni a tutti i cittadini.
L’altra sfida, che costringe anche i più riottosi sostenitori dell’autonomia quasi autarchica degli Stati a riconsiderare le proprie certezze, è quella della crescita economica dell’economia mondiale e dei suoi effetti. Per essere realisti, considerata l’accentuata contrazione dei mercati e la conseguente diminuzione nella produzione di beni e servizi, oggi è più opportuno, purtroppo, parlare di recessione; di arretramento, cioè, di quelle condizioni in cui i sistemi produttivi assicurano sviluppo e lavoro.
La riduzione del trend di crescita del grande mercato cinese (già in atto prima del Covid19 ed oggi ancora non misurabile), le guerre commerciali a raffica dell’America di Trump, le nuove tensioni tra Russia, Turchia e IRAN che si contendono aree già dilaniate da lunghe e feroci guerre, l’instabilità politica del nord Africa, con una Libia capitale del terrore e di ogni violenza, sono solo alcuni dei fattori di instabilità e di preoccupazione mondiale, quelli che hanno l’onore (o il disonore) della cronaca.
In questo contesto, magmatico e preoccupante, l’Unione Europea avrebbe l’opportunità, di svolgere un ruolo decisivo per frenare questo impazzimento generale o almeno per contenerne gli effetti al suo interno. Però, a dispetto delle tante sollecitazioni a definire un’unica strategia europea su politica estera e politiche sociali interne e delle ripetute promesse di cambio di passo durante l’ultima campagna elettorale del 2019, ancora lontana appare l’EUROPA DEI POPOLI di De Gasperi, Shuman e Adenauer. Non solo. Anche la politica economica, che finora ha catalizzato le maggiori attenzioni, pur tra ripetuti conflitti interni, oggi appare sempre meno comunitaria, sempre più condizionata dagli interessi nazionali, sempre meno solidaristica e, perciò, assolutamente inefficace quale manifestazione di autorevolezza tanto tra le grandi potenze che sui mercati mondiali. La recente discussione sulla proposta del Presidente della Commissione Ursula von der Leyen di aumentare la disponibilità del bilancio comunitario (+0,11%) è naufragata tra l’aperta ostilità di alcuni Paesi frugali (nord europei) e le tattiche opportuniste e dilatorie di quelli che, da sempre, nascondono egoismi nazionalisti con malcelati atteggiamenti leaderistici. Si aggiunga a questa ottusa reazione la dichiarazione d’indifferenza verso la nuova crescita dei differenziali tra i titoli di Stato (bond) italiani e tedeschi da parte della Presedente della BCE Cristine Lagarde per chiudere un quadro che non può che accentuare diffuse preoccupazioni.
Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti che senza denari non si dice messa! E la messa non può che essere celebrata con una voce unica, quella del comune interesse dei popoli europei e, quindi, del loro bene comune. A questo bisogna finalmente porre attenzione, partendo dalla definizione tra gli Stati di una unica ed equa politica fiscale e da una politica di bilancio più dispositiva ed incisiva. La saldatura delle politiche fiscali tra gli Stati, anche con condivise modulazioni che tengano conto le differenti condizioni socio-economiche, è, sicuramente, non solo una scelta di equità e giustizia sociale, ma anche un indispensabile contributo alla lotta alle evasioni ed elusioni che taglieggiano, insieme agli effetti della corruzione, tutti i singoli bilanci. Fonti UE indicano, per il 2014, nel 12,6% l’evasione IVA nella media dei Paesi dell’area euro. Se solo l’Italia, anche con il contributo di una legislazione fiscale europea che persegua le fughe di capitali verso quegli Stati più “accoglienti e comprensivi”, riuscisse a recuperare parte dei 111 miliardi stimati dalla Commissione Giovannini per il 2014, gli effetti sul suo bilancio sarebbero diretti e considerevoli. Ma lo sarebbero, di conseguenza, anche verso gli altri Stati europei (Germania in testa) che trarrebbero benefici, indiretti ma altrettanto rilevanti, da un miglioramento dei nostri conti pubblici.
Già, i conti pubblici. Quello di un loro riequilibrio non è, comunque, solo un problema italiano, anche se, come noto, i nostri sono quelli più malmessi. Considerando una scelta autolesionista quella di tentare una fuga dall’Europa, su cui qui non ho tempo di soffermarmi, credo che l’obiettivo fondamentale sia quello di un vero bilancio europeo; superando le caratteristiche di bilancio di scopo che oggi ha, per divenire strumento per politiche davvero inclusive ed unificanti, per favorire e garantire le priorità che prima indicavo: politica estera e politica sociale. Per giungere a tale risultato l’UE non può non affrontare il tema del consolidamento dei debiti pubblici dei vari Stati. Anche senza riconsiderare l’utilizzo degli eventuali avanzi di bilancio, la necessità di liberare i mercati finanziari dai tanti titoli pubblici nazionali, spesso in competizione tra di loro e perciò stesso creatori di occasioni speculative, si prospetta come una scelta virtuosa. La riduzione dei margini speculativi ed un più efficace controllo, sia pure indiretto, sulla spesa dei singoli Stati rappresenterebbe un elemento decisivo per la stabilità dell’intera area UE e questo potrebbe essere assicurato anche senza interventi di sostegno della BCE com’è avvenuto con il Quantative Easing. Per questo il dibattito, che sta tornando di attualità, sulla possibile emissione di EURO BOND può rappresentare la svolta decisiva che spingerebbe i Paesi ad una riconsiderazione dei piccoli o grandi egoismi nazionali che finora li hanno guidati, muovendoli verso un modello di Europa che, pur composta da etnie e culture distinte, abbia una sola voce autorevole ed efficace nel mondo. Per noi italiani gli EURO BOND non rappresenterebbero un’occasione per annacquare il nostro debito pubblico, così come alcuni Paesi sostengono, ma, anche alla luce dell’adesione che diventa per noi necessaria al Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), difendendoci dalla speculazione finanziaria, ci indurrebbero, finalmente, a realizzare quelle riforme che fino ad oggi tutti i Governi hanno eluso, inseguendo il consenso e facendolo pagare agli italiani, e ci consentirebbe di programmare interventi di fertilizzazione dell’economia e di infrastrutturazione di cui il nostro Paese ha urgente bisogno.

2 commenti:

  1. Unico sistema fiscale, unico bilancio, eurobond....ma che i tedeschi tutto questo non lo faranno mai ne siamo consapevoli? Che i vari fondi SalvaStati serviranno solo e sono serviti solo a tutelare l'interesse dei paesi centrali vs i periferici ? Che la BCE da sola ricopre ogni bisogno che vorrebbero affidare al Mes...ne siamo consapevoli?...

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  2. Unico sistema fiscale, unico bilancio, eurobond....ma che i tedeschi tutto questo non lo faranno mai ne siamo consapevoli? Che i vari fondi SalvaStati serviranno solo e sono serviti solo a tutelare l'interesse dei paesi centrali vs i periferici ? Che la BCE da sola ricopre ogni bisogno che vorrebbero affidare al Mes...ne siamo consapevoli?...

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