Pagine

sabato 29 febbraio 2020

Articolo inviato da un assistente educativo culturale (AEC) a Valeria Frezza

fonte: giornale Dinamopress

Gli Assistenti Educativi Culturali di Roma (Aec) sono in lotta da mesi per il loro riconoscimento e per garantire la qualità del servizio nelle scuole. Un breve riassunto e lo stato attuale della situazione.

Cominciamo dall’inizio: chi sono gli AEC? A chi, per qualsivoglia motivo, abbia a che fare con il mondo della scuola, la sigla non dovrebbe risultare nuova; per tutti gli altri invece facilmente suonerà enigmatica.
L’Assistente Educativo Culturale (o OEPA, come da nuovo acronimo di Operatore Educativo Per l’Autonomia) è una figura esistente ormai da decenni nelle scuole di tutta Italia (anche se la denominazione varia di regione in regione) e si occupa di favorire l’inclusione scolastica e l’autonomia degli studenti con disabilità.
Se nel discorso pubblico la loro esistenza è stata fino a poco tempo fa totalmente misconosciuta, all’interno del sistema scolastico questi lavoratori costituiscono invece delle vere e proprie colonne portanti. Oltre a garantire l’effettività del diritto all’istruzione dei bambini con disabilità, l’Assistente Educativo rappresenta per loro il più importante punto di riferimento, essendo la figura scolastica con cui spesso trascorrono il maggior numero di ore e con la quale, per diversi motivi, instaurano un rapporto più ravvicinato e in qualche modo “confidenziale”: per dirlo con le parole di una lavoratrice, gli AEC sono coloro che «sono abituati a guardare il mondo dall’altezza degli occhi dei loro bambini».

LA FUNZIONE EDUCATIVA

Il nuovo regolamento adottato nel 2017 dal Comune di Roma (che riguarda circa 2500 lavoratori e in base al quale è stato reso obbligatorio uno specifico corso di formazione, spesso a carico del lavoratore stesso) attribuisce agli AEC una funzione educativa, di mediazione comunicazionale, per la quale sono necessari elementi e competenze basilari di psicologia. Risiede qui la prima grande anomalia: perché, seppure gli Assistenti Educativi sono spesso educatori o psicologi laureati e a pieno titolo, queste competenze espressamente richieste dal Regolamento non trovano però riscontro nel contratto nazionale al quale la categoria afferisce. In parole povere gli Assistenti Educativi svolgono un certo tipo di lavoro ma sono pagati secondo un inquadramento contrattuale di almeno tre livelli inferiore a quello che sarebbe adeguato.

UNA PRECARIETÀ STRUTTURALE

Questo è però solo uno dei tanti motivi, e neanche il più importante, per i quali i lavoratori hanno indetto lo sciopero. Il vulnus più grave risiede infatti nella precarietà endemica e strutturale alla quale sono sottoposti il servizio, il loro lavoro e, di conseguenza, le loro esistenze.
Il servizio di assistenza educativa è infatti concesso in appalto a Cooperative sociali (che di sociale e mutualistico mantengono oramai soltanto il nome) attraverso bandi di gara al massimo ribasso economico, dalla cadenza più o meno biennale. Questo semplice ma enorme fatto comporta tutta una serie di gravissime conseguenze: sono innanzitutto minate alla base la qualità, l’efficacia e l’efficienza dell’intervento educativo il quale, fondandosi primariamente sulla continuità della relazione che si stabilisce tra operatore e alunno, è reso invece frammentato, contingentato dai continui cambi d’appalto ed estremamente faticoso per tutte le parti in gioco. I lavoratori sono così costretti a migrare di anno in anno da una cooperativa all’altra, ricominciando ogni volta il lavoro da capo, trovandosi continuamente ad aver a che fare con nuovi datori di lavoro e diverse condizioni lavorative, spostati come pacchi postali all’interno di uno scacchiere caotico e pressoché insensato.
Il lavoratore si trova inoltre a vivere una situazione paradossale: è un dipendente privato all’interno di una struttura pubblica (la scuola), un escluso la cui mansione è quella di favorire l’inclusione, un operatore il cui compito è prendersi cura, quando nella sua vita privata a malapena riesce a prendersi cura di se stesso.
Infatti, oltre a ricevere una paga oraria già infima di per sé, l’AEC viene rispedito a casa senza compenso giornaliero qualora l’alunno in carico sia assente, non vede spesso riconosciuto il diritto alla retribuzione dei primi tre giorni di malattia, non viene pagato durante i molti giorni di chiusura della scuola (parliamo di scioperi di insegnanti e/o personale Ata, chiusure straordinarie per neve o maltempo, ponti, festività e, dulcis in fundo, vacanze estive). In pratica su 12 mesi l’AEC riceve lo stipendio, in media, per soli 8/9 mesi l’anno, costretto nel tempo restante a trovare espedienti per sopravvivere.
Oltre il danno, però, c’è la beffa: per effetto di leggi perverse, durante i mesi estivi il contratto di lavoro con la cooperativa risulta ancora in essere, è “solamente” sospeso, motivo per il quale il lavoratore, anche se di fatto disoccupato, non può accedere alle misure previste dal welfare, né tanto meno cercare un altro lavoro.
Se già a questo punto vi sembra di essere finiti alla fiera dell’ingiustizia e dell’insensatezza, tenetevi forte, perché non abbiamo ancora finito. Solo una percentuale irrisoria di Aec ottiene dalle cooperative contratti full time: la stragrande maggioranza lavora per un massimo di 20-25 ore a settimana e risulta impossibile per loro portare avanti un altro lavoro in maniera stabile, poiché i turni sono spesso dislocati in mezzo alla giornata, essendo molto richiesta da parte delle scuole la copertura delle ore centrali e pomeridiane.
A volte l’operatore può trovarsi a dover sostenere una giornata lavorativa di 8 ore senza che gli sia riconosciuto il diritto al pasto. Nelle mense scolastiche non è infatti previsto il vitto per gli AEC, tanto meno le cooperative erogano i buoni pasto, pertanto si può facilmente arrivare al paradosso per il quale l’operatore debba presenziare a mensa per assistere il bambino, dunque sedersi al tavolo con la classe, ma non possa nutrirsi egli stesso!
Accenniamo poi rapidamente (non certo perché irrilevanti) alle mansioni improprie che regolarmente vengono richieste agli AEC (assistenza igienica, somministrazione di medicinali, sorveglianza della classe, ecc.) da scuole e insegnanti. Il rischio di burnout dopo appena qualche mese di lavoro è insomma dietro l’angolo. L’elenco delle assurdità e illegalità con le quali si trova ogni giorno a confronto un AEC potrebbe continuare ancora a lungo, ma per ora ci fermiamo qui. Perché c’è anche un’altra storia altrettanto importante da raccontare.

LA BATTAGLIA DEL COMITATO ROMANO

Stanchi di sopportare in silenzio tali umilianti condizioni di lavoro, alcuni lavoratori si sono infatti autonomamente organizzati in un Comitato, nel quale confrontarsi, costruire solidarietà e soprattutto forme di lotta per uscire dalla condizione di sfruttamento e precarietà. Il frutto più importante del lavoro del Comitato Romano AEC consiste in una Delibera di iniziativa popolare presentata quasi sei mesi or sono al Consiglio comunale capitolino, per la quale sono state raccolte ben 12mila firme, più del doppio di quelle necessarie per legge alla proposta di una Delibera.
La Delibera in questione, a fronte di una situazione tanto ingarbugliata, è in realtà semplice, non perché retorica o simbolica, ma in quanto individua una sola soluzione possibile, concreta e radicale, all’ingiustizia strutturale sulla quale si regge il sistema: l’internalizzazione nell’Amministrazione capitolina del servizio di Assistenza Educativa.

LE RISPOSTE AI DETRATTORI

Chi contesta la pretenziosità di un simile obiettivo, in tempi nei quali la risposta “non ci sono coperture sufficienti” è una sorta di ossessivo mantra, può ben trovare ai suoi dubbi risposte semplici quanto incontrovertibili: innanzitutto le 12mila firme raccolte in pochi mesi, testimonianza di un disagio estremo e diffuso che non può rimanere inascoltato.
Entrando poi nel merito della questione delle coperture finanziarie, il Comitato ha messo davanti agli occhi dei detrattori le cifre spese dall’Amministrazione capitolina per il finanziamento del servizio in appalto: se il Comune eroga per il servizio circa 20 euro l’ora, di questi solo 7 entrano direttamente nelle tasche del lavoratore, gli altri si perdono nelle maglie e nei meccanismi oscuri di una burocrazia e di strutture che producono sprechi e inefficienze. Calcolando anche le enormi cifre spese per approntare i bandi di gara, l’internalizzazione, lungi dal prevedere una spesa insostenibile per l’Amministrazione, sarebbe invece l’occasione per una riduzione degli sprechi, un miglioramento dell’efficienza, una razionalizzazione della gestione delle risorse e, probabilmente, perfino un risparmio di denaro. Siamo di fronte alla dimostrazione pratica che l’assioma ideologico neoliberista “privato è meglio” non si traduce automaticamente in verità di fatto.
Esiste infine un’ineludibile questione politica: il servizio che garantisce il diritto allo studio degli alunni con disabilità e svantaggio sociale non può essere affidato a strutture private che lavorano spesso senza alcuna conoscenza del campo e del territorio e gestiscono le risorse in maniera burocratica e aziendalistica. I diritti dei lavoratori e degli utenti di un servizio fondamentale come l’assistenza educativa non possono essere mercificati e vincolati a mere logiche concorrenziali e economicistiche. Essi devono essere riconosciuti come elementi fondanti di una società giusta e inclusiva, nonché come preziosa risorsa per l’arricchimento complessivo della comunità cittadina e statale.

MUNICIPI FAVOREVOLI, COMUNE LATITANTE

A concreta testimonianza di ciò stanno i voti espressi dai Consigli municipali di Roma, gli enti effettivamente più prossimi alle realtà territoriali ove si svolge il lavoro quotidiano, dunque quelli che meglio conoscono le reali esigenze del servizio: su cinque Municipi (il III, il V, l’VIII, il XII e il XIV) che finora si sono espressi, tutti hanno approvato all’unanimità una mozione di sostegno alla Delibera di iniziativa popolare.
Il Comune, di fronte a una tale mole di fatti, sembra però essersi trincerato in se stesso e continua a fare orecchie da mercante: i sei mesi di tempo che aveva per esprimersi sulla proposta sono agli sgoccioli. Ma gli AEC sono stanchi di restare isolati e in silenzio e hanno deciso di prendere in mano il loro destino mettendo il Comune con le spalle al muro: il 13 dicembre 2019 è stato il termine ultimo possibile per votare, per chiarire insomma la posizione di Assessori e Amministrazione in merito ai diritti degli alunni con disabilità e dei lavoratori dell’assistenza scolastica.
Per questo giovedì 12
dicembre 2019, dopo aver comunicato tramite una lettera aperta le ragioni della loro protesta alle famiglie e averle invitate a unirsi a loro, gli AEC hanno disertato le aule in cui quotidianamente lavorano e si sono incontrati sotto il Campidoglio per pretendere una volta per tutte ciò che non può più essere rinviato: qualità del servizio, diritti lavorativi e internalizzazione. In una parola: dignità.
Le prime e confortanti buone notizie arrivano già il giorno prima della protesta, l’11 dicembre 2019, quando il Comune di Roma convoca il Comitato e una delegazione si siede, finalmente, a un tavolo con gli assessori Mammì, Persona, Scuola e Comunità solidale, e De Santis, Personale. Dicono che sono d’accordo , che la gestione dei servizi pubblici essenziali deve essere gestita dal pubblico, e che l’appalto a privati non corrisponde alle esigenze di un servizio efficace ed efficiente.
E propongono un’alternativa alla creazione dell’ente speciale previsto dalla delibera di iniziativa popolare: la riapertura della figura già esistente all’interno della pianta organica del Comune, e cioè quella dell’assistente educativo comunale.
È con questa premessa che si arriva alla giornata del 12 dicembre 2019. Con la piazza del Campidoglio che si riempie poco a poco e che si colora degli ombrelli rossi che gli Aec hanno scelto come simbolo e di decine di cartelloni colorati e fantasiosi. Alla fine sono in centinaia a riempire la scalinata dell’Arce capitolina.
Le storie di ognuno si susseguono, nella narrazione della piazza, tutte diverse e tutte uguali, con qualche genitore che è lì, a testimoniare che i loro diritti garantiscono i diritti dei bambini con cui lavorano.
Il bilancio della giornata ci dirà che almeno 600 persone erano in piazza per i loro diritti e più del doppio non si è recata sul posto di lavoro. Il terzo passaggio avviene il 22 gennaio 2020, nel secondo tavolo tecnico, in cui emerge la questione della delibera firmata dall’allora sindaco Alemanno che , senza alcuna motivazione, mette la figura dell’assistente educativo comunale in esaurimento.
Il 12 febbraio 2020, al Campidoglio, si sono svolti due tavoli tecnici consecutivi: nel primo, vengono convocati dall’assessore De Santis i sindacati Cgil, Cisl, Uil, Csa. Si scopre così che anche loro sono favorevoli all’internalizzazione ma pongono mille ostacoli burocratici.
A seguire, c’è stato un tavolo tecnico con la delegazione del comitato e l’assessore De Santis è stato concorde con il Comitato che bisogna accelerare i tempi, per cui si propone un incontro a stretto giro per affrontare le questioni tecnico-amministrative e legali che il processo di riapertura della figura richiede e stilare una bozza di Delibera da far discutere al più presto al Consiglio Comunale. Speriamo dunque che alle molte parole possano seguire i fatti.

mercoledì 26 febbraio 2020

Le manovre di Orban Contro l’UE

di Leonardo Gaddini

Nel luglio 2019 una nuova tendenza alla diffusione della disinformazione ha interessato la sfera online della Macedonia del Nord. Forse per compensare la mancanza di copertura degli eventi politici durante la stagione delle vacanze, i social media sono stati inondati di collegamenti a vecchi articoli promossi attraverso annunci su Facebook da parte di gruppi di estrema-Destra. Alcuni di questi articoli sono stati originariamente pubblicati nello stesso mese un anno fa. Ciò potrebbe indicare l'intenzione di indurre in errore i lettori occasionali che potrebbero dare un'occhiata alla data, ma non all'anno di pubblicazione, portandoli a pensare che le "notizie" siano attuali.

Un esempio è la disinformazione diffusa in Slovenia nel luglio 2018, dove alcuni media sostenevano che i Primi Ministri della Macedonia del Nord e della Grecia, Zoran Zaev e Alexis Tsipras hanno ricevuto miliardi di euro in tangenti per concludere l'accordo di Prespa un mese prima. Questa affermazione era, ovviamente, falsa. Tuttavia, come questa disinformazione si sia diffusa attraverso i confini dei Balcani, rivela una complessa rete di attori che si estende su diversi Paesi. Il caso è stato analizzato dal progetto Critical Thinking for Mediawise Cititizens come esempio di manipolazioni mediatiche in corso. I media di proprietà ungherese in Slovenia distorcono le notizie dalla Grecia per fabbricare fake news di stampo nazionalista.

La fonte della falsa affermazione era un articolo pubblicato dal portale sloveno Demokracija.si, E rapidamente ripubblicato da Nova24TV. Entrambi i media fanno parte della rete mediatica che aveva ricevuto l'infusione della capitale ungherese dai compari del primo ministro ungherese Viktor Orban. Le loro politiche editoriali sono strettamente allineate con le opinioni del Partito Populista di Destra sloveno SDS (Partito Democratico) guidato da Janez Jansha, alleato di Orban all'interno del Partito Popolare Europeo.

L'articolo Demokracija.si del 9 luglio 2018, intitolato: "Questo è il modo in cui la Sinistra sta facendo affari: Zaev ha venduto i macedoni per 30 miliardi di euro", è costituito da sole due frasi, sostenendo che il quotidiano greco Proto Thema ha scritto che il Primo Ministro era stato corrotto dall'UE per accelerare l'accordo rapido per una disputa che va avanti da ben 27 anni. In un modo che si addice a un pezzo d'opinione, usando un linguaggio distorto, accusa "i due morti mancini" di aver preso 30 miliardi di euro in tangenti per Zaev e "probabilmente" un trilione di Tsipras. Tuttavia, non è possibile trovare questo articolo sul sito Web di Proto Thema. Questo famoso quotidiano greco di Centro-Destra ha una buona reputazione in ambienti giornalistici professionali e non ci sono prove che nessun altro media, greco o straniero, li abbia mai citati direttamente sulla tangente per i due politici.

Le prove suggeriscono che il nome di Proto Thema è stato sfruttato per aggiungere credibilità a una fabbricazione, basata sulla distorsione di una notizia del 6 luglio 2018 che riportava una dichiarazione del deputato greco Dimitris Kamenos. Ha detto che come incentivo per la conclusione dell'Accordo di Prespa, che consenta il consolidamento dell'UE e della NATO, i due paesi otterrebbero rispettivamente 30 miliardi (Macedonia del Nord) e un valore "proporzionale" di un trilione (Grecia) di "progetti e investimenti" nei seguenti anni. La manipolazione dei media ha travisato l'attesa adesione all'UE e altri fondi di sviluppo presumibilmente previsti per tutti i paesi come tangenti personali per i Primi Ministri.

La propaganda finanziata dall'Ungheria nella Macedonia del Nord continua a essere usata dalla Destra radicale. Il primo ad usare l'articolo sloveno per accusare il Primo Ministro Zaev di alto tradimento è stato il portale Javno.mk, traducendo letteralmente l'articolo Demokracija.si e aggiungendo un'immagine poco lusinghiera di Zaev. Questo articolo è stato citato come fonte da una serie di presenze dei media e dei social media di destra a luglio 2018 e un anno dopo, a luglio 2019. L'articolo di Javno.mk è stato più volte citato dal numero di media nella Macedonia del Nord, considerati portavoce del Partito Nazionalista di Destra VMRO-DPMNE, come Republika ed Express.mk. Nel maggio 2018, i punti di riferimento del giornalismo investigativo: BIRN e OCCRP hanno scoperto che i proprietari ungheresi dei siti web sloveni che diffondono la propaganda populista di Destra hanno anche gradualmente acquistato la Republika e diversi media simili nella Macedonia del Nord, nel periodo in cui hanno effettuato i loro investimenti in Slovenia.
a vecchi articoli durante la "stagione secca" durante il periodo delle vacanze estive.

L'effetto complessivo di questo approccio è mantenere alte le tensioni tra la parte della popolazione sensibile alla propaganda populista. Insomma, Orban ha di fatto dichiarato guerra all’UE e sta utilizzando ogni mezzo a sua disposizione per favorire i Partiti appartenenti alla Destra radicale dell’Europa Orientale, un comportamento gravissimo, a cui il PPE, però, non sembra suscitare interesse, visto che l’espulsione di FIDESZ dalla famiglia Popolare è stata rinviata per l’ennesima volta.

venerdì 21 febbraio 2020

Articolo della Presidente del C.N.D.A. (Coordinamento Nazionale Docenti Abilitati) Prof.ssa Margherita Stimolo

Una mamma e  collega ci scrive:
"Nella legge 145 è scritto che solo chi ha la 104 può chiedere la mobilità a patto che la malattia sia sopraggiunta dopo concorso che tradotto praticamente significa che la malattia, quando sopraggiunge prima, ha meno diritto. 
Ho concluso tutte le indagini per mio figlio proprio mentre svolgevo il concorso. La certificazione è arrivata prima del mio orale e potete immaginate in che condizioni lo abbia svolto.
Chi vive sulla propria pelle questa situazione sa che non esiste chi è più o meno fortunato solo per il prima o il dopo.
Sono giorni che continuo a piangere da sola non riuscinedo a scivere nulla sulla Piattaforma Indire. Le terapie che fa mio figlio sono distribuite in più giorni e devo fare avanti e indietro per accompagnarlo a scuola, andare a lavoro e portarlo alle terapie. Non ho tempo libero, sono stanca anche se ora sono vicino casa e lavoro solo su spezzone. 
Ho anticipato l'anno di prova proprio perché era vicino casa. Mi chiedo però come farò l'anno prossimo visto che mi è stata assegnata un'altra provincia e per la sede dovrò partecipare alla mobilità. 
Rinuncerei al ruolo anche subito per mio figlio se mi assicurassero tappe "normali"che vivono tutti i bimbi della sua età. Scusate sono proprio giù e vorrei ricordare che la 104 non viene data a tutti con facilità e anche nei casi di autismo le mamme devono lottare per averla riconosciuta. 
Purtroppo i disgraziati mentitori che dichiarano il falso oscurano e hanno dato l'impressione che sia un "vantaggio"  da "usare" e non un diritto. La 104 dà diritti solo in connotazione di gravità.
Nel dettaglio l’art. 3 – comma 3 della Legge 104 va a definire quali sono le situazioni di handicap grave:
“Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione". 
Nessuna mamma dovrebbe mai scrivere queste parole. Ti siamo vicini tutti con il cuore. Il 6 marzo saremo a Roma per lo sciopero soprattutto per te e per tutti i colleghi che sono lontani da casa. I nostri figli in cambio della continuità? Noi non ci stiamo!
Il blocco sarà fatto a brandelli. Non ci fermeremo sino a quando non sarà fatta giustizia. Una legge che distrugge le fondamenta stesse della famiglia, il senso stesso dell’essere madre e stare vicino ai propri figli non potrà resistere a lungo. 
La Costituzione considera la famiglia sacra. Per noi invece il Governo la considera un'inutile zavorra della quale non tenere conto, ma con noi hanno sbagliato i conti. 
La dolorosa storia appena raccontata e le amare lacrime versate meritano rispetto ed esigono giustizia. 
Siamo tutti con questa mamma!

Prof.ssa Margherita Stimolo
Presidente del C.N.D.A.
(Coordinamento Nazionale Docenti Abilitati)
Amministratrice del gruppo Facebook: https://www.facebook.com/groups/transitorioperilruolo/

martedì 18 febbraio 2020

2. Le interviste di #ForumalCentro: Maddalena Gissi, Segretaria generale della Cisl Scuola



1. Quali sono le richieste del sindacato e dei docenti, che quotidianamente vivono la scuola, al nuovo Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina? Come sarà possibile reperire le risorse economiche utili per far fronte ai bisogni della scuola e dei docenti?
Dare finalmente alla scuola, e al lavoro nella scuola, l’attenzione e l’importanza che meritano, con una politica di forti investimenti che avvicini il nostro paese all’Europa sia in termini di volume di spesa per istruzione, formazione e ricerca, sia in termini di retribuzioni del personale. Sostenere con determinazione questo obiettivo è la richiesta che facciamo anche alla ministra Azzolina, come a chi l’ha preceduta, a nome e per conto di un mondo della scuola di cui siamo il sindacato più rappresentativo. Sappiamo bene che l’obiettivo è di grande impegno e che non può essere conseguito in un breve lasso di tempo; il punto di PIL che vorremmo fosse destinato alla scuola equivale a 16 miliardi, serve un piano pluriennale per arrivare al traguardo ma occorre partire subito, senza indugi e con una chiara direzione di marcia. È un impegno che chiama in causa ovviamente Governo e Parlamento, a chi guida il dicastero dell’Istruzione spetta esercitare un ruolo di garanzia e di stimolo. Un serio, coerente e puntuale impegno in quella direzione è anche la premessa per un significativo incremento delle retribuzioni del personale, condizione necessaria anche per restituire al lavoro nella scuola prestigio e considerazione sociale.

2. Quali sono al momento le divergenze tra il Ministero dell’Istruzione e i sindacati?
La rottura che si è determinata nei giorni scorsi, legata anche al mancato avvio del confronto sul rinnovo del contratto, investe principalmente un tema di particolare urgenza per il sistema, quello del reclutamento e del precariato, oggetto di un lungo confronto avviato già col Governo precedente e proseguito con quello attuale. Già il 24 aprile del 2019, infatti, sottoscrivemmo un’intesa - direttamente firmata dall’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte - nella quale si indicava, fra l’altro, l’obiettivo prioritario di una stabilizzazione del lavoro precario, cui si fa ricorso in misura abnorme, anche attraverso modalità di reclutamento che riconoscessero il valore dell’esperienza di lavoro maturata da chi, lavorando per anni con contratti precari, mette le nostre scuole in condizione di funzionare regolarmente. Da quell’intesa e da quelle successive, l’ultima delle quali firmata il 1° ottobre dall’ex ministro Fioramonti, è scaturito il decreto legge 126/2019, convertito in legge a fine dicembre, che sia pure dopo mille sofferte mediazioni metteva in pista concorsi riservati al personale con almeno tre anni di lavoro precario. Assumendo l’incarico di ministra, dopo essere stata fino a quel momento sottosegretaria del MIUR, l’on. Azzolina ha impresso alla vicenda una svolta che molti (e lei stessa) vorrebbero definire “meritocratica”, lontana e di fatto divergente rispetto alle intese che ho richiamato, accentuando oltre ogni logica la selettività di prove concorsuali che in origine erano state ben diversamente concepite. È una meritocrazia malintesa, vorrei dire “di facciata”, quella che spaccia per garanzia di qualità professionale il superamento di una batteria di quesiti e un colloquio, rendendo del tutto residuale il peso e il valore di un lavoro svolto per più anni, dell’esperienza e della competenza in tal modo maturate. Dalla ministra Azzolina, proprio per la sua diretta provenienza dal mondo della scuola, ci attendevamo un approccio meno ideologico, più attento ad una realtà che dovrebbe ben conoscere. Oltre al tema dei concorsi riservati, c’è quello di uno sistema finalmente stabile e strutturale, dopo innumerevoli cambiamenti, di percorsi abilitanti aperti non solo ai neo laureati, ma anche al personale di ruolo che voglia acquisire nuove abilitazioni, e al personale che lavora da non abilitato nella scuola paritaria e nella formazione professionale. Doveva partire entro gennaio il tavolo di confronto per definire i contenuti di un apposito disegno di legge, non vi è stato il minimo segnale di attenzione e disponibilità in tal senso da parte della ministra. E non vale la scusa di essersi insediata da poche settimane: da sottosegretaria ha vissuto tutte le fasi del lungo confronto che ha prodotto le intese e, da ultimo, un verbale di conciliazione a fine dicembre che fissava precise scadenze, tutte regolarmente disattese. Quindi non ci sono alibi per un’inerzia che non vorremmo nascondesse, al di là delle dichiarazioni verbali, una scarsa disponibilità al pieno e corretto esercizio delle relazioni sindacali.

3. Il vincolo quinquennale è uno dei motivi principali del dissenso di sindacati e docenti nei confronti del Ministero. I numeri ci dicono che nella scuola lavorano attualmente  185.000 supplenti annuali o fino al termine delle lezioni. Alla luce di questi numeri, ha senso il vincolo quinquennale (ovvero l’obbligo di permanenza nella scuola di titolarità) per garantire la continuità didattica?
Anche questo è un esempio di come spesso si affrontino le questioni con interventi di facciata, risolutivi solo in apparenza dei problemi che andrebbero invece più opportunamente ed efficacemente trattati in sede contrattuale. Da sempre i contratti sulla mobilità contengono regole che incentivano e premiano la continuità di servizio sulla stessa scuola. Favorire la continuità didattica è senz’altro una giusta esigenza, la contrattazione è la sede opportuna in cui dare a quell’esigenza le necessarie risposte, ed è anche a nostro avviso la sede legittima, trattandosi di questioni che investono il rapporto di lavoro. Oltretutto l’esperienza insegna che le norme contrattuali si dimostrano meno esposte al contenzioso, spesso attivato con successo verso norme legislative considerate ingiuste. Se pensiamo, ad esempio, che il quinquennio azzera anche le tutele della legge 104, si rischia di essere facili profeti immaginando che possano essere ancora una volta i tribunali la sede di decisione su questioni che andrebbero risolte preventivamente da una politica più accorta e meno superficiale.

4. I docenti precari con almeno 3 annualità di servizio su sostegno chiedono di partecipare al concorso straordinario su sostegno. Sarà possibile riconoscere l’esperienza fatta sul campo per assicurare così l’inclusione scolastica e la continuità didattica agli alunni con disabilità?
Abbiamo rivolto proprio in queste ore, unitariamente, un appello al Presidente del Consiglio e alla Ministra Azzolina perché la questione dei precari con servizio su sostegno, come quella dei facenti funzione di DSGA, venga risolta con uno specifico emendamento al disegno di legge “milleproroghe”. Va detto, per chiarezza, che quel servizio va riconosciuto come requisito per partecipare ai concorsi riservati al personale con tre anni di precariato, ma per la classe di concorso di provenienza, non per i posti di sostegno, per i quali è indispensabile avere la specializzazione. Qui emerge un’altra questione da affrontare con la massima urgenza, quella dello scarso numero di specializzati, pur con situazioni molto diverse da territorio a territorio. La ministra ha annunciato con molta enfasi l’avvio del V ciclo dei PAS su sostegno, ma bastano due cifre a far comprendere come si sia ben lontani dalla soluzione dei problemi: meno di ventimila accessi ai PAS, più di ottantamila posti di sostegno oggi affidati a personale senza titolo di specializzazione. Forse è il caso di chiedersi se possa reggere un sistema che fa delle Università, nell’autonomia di decisione di cui dispongono, il soggetto deputato in via esclusiva a formare docenti specializzati. Forse vanno immaginate soluzioni diverse, nelle quali possa giocare un ruolo diverso lo stesso sistema scolastico. Nel frattempo andrebbe fatta chiarezza sui titoli conseguiti all'estero, acquisendo in via preventiva, e non solo con controlli successivi, le necessarie garanzie di qualità e congruità dei percorsi. Una cosa è certa: non possono certo essere i fattori di mercato, che condizionano inevitabilmente il sistema universitario, quelli decisivi   per l’avvio  di  percorsi  formativi; va comunque evitato il  rischio  che  un'offerta  carente  in  ambito  nazionale  alimenti  un  mercato incontrollato    di  titoli  oltre  confine.  Non  si  tratterebbe solo di un paradosso, ma di qualcosa di più grave.

5. Anzianità, stress e burnout: gli insegnanti potrebbero essere collocati in pensione attorno ai 60 anni e con meno di 30 anni di contributi come avviene negli altri Paesi Europei?
La prima cosa da fare è togliere la scuola, e chi ci lavora, dalla condizione di isolamento e di solitudine in cui spesso si trova ad agire. Parafulmine di ogni emergenza e di ogni problema, dovrebbe trovare anzitutto nelle famiglie, e più in generale nel contesto sociale in cui opera, sostegno convinto e piena alleanza. Sappiamo che non sempre è così, i casi di aggressione di cui sono vittime docenti e dirigenti, per quanto oggettivamente limitati, sono la spia di atteggiamenti purtroppo diffusi di disinteresse, talvolta di ostilità, che incidono fortemente in termini di stress lavorativo. Difficile, per evidenti ragioni, sottrarre tutto il personale scolastico dagli effetti di dinamiche riguardanti in generale il sistema previdenziale, in una società nella quale per fortuna si vive di più, ma si procrea e si lavora di meno. Per questo è importante che almeno un settore, la scuola dell’infanzia, abbia visto riconoscere le condizioni di particolare gravosità per le quali è consentito lasciare il servizio in anticipo rispetto ai requisiti ordinari. Vale la pena percorrere anche altre vie, in sede contrattuale, per individuare per i docenti anche modalità diverse di prestare la propria attività, dovendosi mettere in conto una più lunga permanenza in servizio. Ruoli di supporto alla progettazione e alla verifica delle attività, di tutoraggio ai nuovi assunti, di coordinamento e di formazione, tanto per indicare alcune piste di riflessione.

6. Franca Falcucci, provenendo dalla Democrazia Cristiana, “prestata” dal mondo della scuola alla politica, si trovò ad affrontare il tema scottante del rinnovo dei programmi della scuola elementare a causa delle ingenti trasformazioni socio-culturali. Potrebbe avere senso fare una scelta del genere anche oggi?
Rispetto ai tempi della ministra Falcucci (allora molto contestata, oggi spesso rimpianta per competenza, serietà e generosità di impegno) sono cambiate molte cose, ed è soprattutto inconfrontabile rispetto ad allora la rapidità con cui si svolgono i processi di cambiamento. Tenere dietro alle trasformazioni di contesto esige oggi  un’attitudine a vivere una condizione di cambiamento costante e molto veloce, l’autonomia delle istituzioni scolastiche – un’autonomia che non ha nulla di anarchico perché elemento di un sistema unitario e coordinato -  è forse la dimensione in questo senso più opportuna e più rispondente alle necessità nella situazione che stiamo vivendo. Un’autonomia che va sostenuta da un’azione efficace di governo, e da politiche di investimento che ho già indicato come indispensabili in apertura di questa intervista.

7. La condizione femminile oggi: cosa è cambiato dai primi momenti di emancipazione femminile al mondo contemporaneo nella società e sul lavoro?
L’emancipazione delle donne, nella società e nel lavoro, ha fatto passi da gigante, anche se l’effettiva parità di genere resta tuttora un traguardo non pienamente raggiunto, dunque un obiettivo cui dobbiamo continuare a tendere con la massima determinazione. I passi da gigante non sono del resto venuti per caso, ma sono frutto di un impegno che ha sempre visto in prima linea, fra gli altri, i soggetti della rappresentanza sociale, come i sindacati. Può essere considerato normale che sia una donna a guidare, come nel mio caso, la più grande organizzazione di un mondo del lavoro a forte presenza femminile come la scuola. Ma a me piace sottolineare come al vertice della mia confederazione, la CISL, ci sia oggi una donna, Annamaria Furlan; è avvenuto anche per la CGIL, con Susanna Camusso, mentre al ministero dell’istruzione la Azzolina è solo l’ultima di una serie di presenze femminili di rilievo. Oltre alla già citata Falcucci, e alla Jervolino che fu ministra negli anni novanta, negli ultimi vent’anni è stata affidata a donne, sei volte su dieci, la carica di ministro dell’istruzione. Basta questo perché le cose vadano meglio? Certamente no, non è certo in base al genere che si misura il gradimento per ciò che un ministro o un governo hanno fatto e fanno per la scuola, tant’è vero che nelle tensioni attualmente in atto la nostra interlocutrice è una ministra donna. In fondo, anche questo può essere letto come segno di parità riconosciuta e affermata nei fatti.

martedì 4 febbraio 2020

Il mio NO al referendum costituzionale.

di Armando Dicone

Il 29 marzo p.v. si svolgerà il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Un referendum confermativo sul taglio del numero di senatori e deputati voluto, prima dalla maggioranza giallo-verde, e poi da quella giallo-rossa. La riforma sul "taglio" è stata da sempre la bandiera dei populisti, che pur di parlare a tutti i costi alla pancia, alla rabbia e al malessere dei cittadini hanno proposto un taglio netto del numero senza immaginare un nuovo assetto istituzionale, ma solo per scopi elettorali.
Che senso avrebbe tagliare il numero dei parlamentari senza, per esempio, superare il bicameralismo perfetto? Almeno avrebbe avuto un senso, una ragione, un diverso funzionamento delle istituzioni. I cittadini chiedono meno politica, meno rappresentanza oppure vorrebbero politici competenti in grado di risolvere i problemi dell'Italia?
Questa riforma, senza senso, dimostra che ci sono partiti e movimenti che non cercano soluzioni ai nostri problemi, ma sono solo impegnati a studiare le nostre paure, i nostri bisogni e i nostri sentimenti per poi "cavalcarli". I politici anti-casta oggi rappresentano le istituzioni e sono gli stessi che riducendo il numero dei parlamentari, ammettono la loro stessa sconfitta, come se dicessero poiché siamo inutili se siamo pochi costiamo meno.
Io vorrei una buona politica, una classe dirigente formata e preparata, che trovi le giuste ricette per risolvere i miei problemi. 
La politica non è un costo, altrimenti arriverà un giorno in cui il capo dirà che la democrazia è un costo. Arriverà il capo di turno che si sceglierà i parlamentari fedeli, magari con una legge elettorale senza preferenze, con il vincolo di mandato, con il presidenzialismo e di sicuro non avremo più democrazia e più libertà. 
Io voterò NO al taglio dei parlamentari perché non si può giocare con la rappresentanza, con la politica, con la democrazia e con la libertà.
Adesso abbiamo bisogno dell'impegno di tutti, mancano meno di due mesi ed è il tempo di far sentire la voce del NO!

#IOvotoNO #noiNO