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venerdì 13 dicembre 2019

Governare al femminile

di Valeria Frezza

I governi guidati da donne sono più democratici, pacifisti e meno corrotti. Questa definizione della leadership femminile è frutto di studi accademici e di statistiche. Ci sono insomma delle caratteristiche ricorrenti che si ritrovano nei governi guidati da donne, che hanno cioè ricoperto incarichi di governo (pochi e di recente), portando innovazione nella gestione di grandi responsabilità politiche.
Lo stile di leadership femminile è tendenzialmente diverso da quello maschile: è uno stile non aggressivo. Le donne nei contesti politici sono più collaborative, apparentemente accomodanti e cercano, se possibile, la mediazione. Una possibile spiegazione è che, sapendo di avere meno potere, devono trovare degli alleati, si pensi alla Merkel. Viene considerata poco femminile. In realtà il suo stile è molto femminile, con un’elevata capacità di tenere insieme posizioni lontane, di negoziare.
Possiamo riconoscere le stesse caratteristiche ad Ursula Von der Leyen, membro della CDU tedesca, attuale presidente della Commissione Europea.
Lo stile femminile, a differenza di quello maschile, ha una visione più di lungo periodo. Ha una sensibilità maggiore verso un’analisi orientata al genere. Cioè è più probabile che un governo con un’elevata componente femminile raggiunga obiettivi maggiormente egualitari.
Esempi di approcci innovativi al femminile:
Gro Harlem Brundtland è stata la prima donna a ricoprire il ruolo di premier della Norvegia. Nel 1987, in qualità di presidente della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (WCED) dell’ONU firma la relazione Our Common Future. Sicurezza alimentare, efficienza industriale, rinnovabili: è già tutto lì, con decenni di anticipo sui tempi. «Le sfide del mondo contemporaneo possono sembrare improbe, ma il compito dei cittadini è  impegnarsi".
Benazir Bhutto, prima e unica donna a diventare primo ministro del Pakistan (Partito Popolare Pakistano)
figlia dell'ex primo ministro pakistano Zulfiqar Ali Bhutto e di Begum Nusrat Bhutto, di origini curdo-iraniane. Il nonno paterno sir Shah Nawaz Bhutto era invece un sindhi, ed era stato una delle figure chiave del movimento indipendentista del Paese.
A 35 anni, è la prima donna eletta primo ministro in tutto il mondo musulmano. Il suo governo dura però solo venti mesi. Come suo padre, nel 1990 viene destituita dopo lo scontro con il presidente del Pakistan Ghulam Ishaq Khan, che Bhutto accusava di essere alleato con l’opposizione del conservatore Nawaz Sharif. Nel 1993 il PPP vince di nuovo le elezioni e torna al potere, per restarci fino al 1996. Una vita fatta di partenze e ritorni. Bhutto nel 2007 era appena rientrata in Pakistan per partecipare alle elezioni: per otto anni era stata costretta all'esilio prima a Dubai e poi a Londra, con l'accusa di corruzione. Leader di uno dei principali partiti dell’opposizione al governo del presidente e capo dell’esercito Pervez Musharraf, arrivato al potere con un colpo di stato nel 1999, il suo ritorno in patria il 18 ottobre 2007 finisce nel sangue: un attentato contro il suo corteo fa 140 vittime. Solo due mesi il sogno di ritornare a guidare il Pakistan finisce per sempre. 
Muore all'età di 54 anni.
Rigoberta Menchù: ha ricevuto nel 1992 il Premio Nobel per la Pace in riconoscimento dei suoi sforzi per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti delle popolazioni indigene. Bruciato vivo il padre, uccisa e esposta a cielo aperto la madre, assassinati dall’esercito due fratelli. Questa la terribile sorte toccata a loro e a molti altri, uccisi per mano di carnefici oggi accusati di genocidio contro la popolazione maya. Si è candidata alla carica di Presidente della Repubblica in occasione delle elezioni del 2007, è una testimonianza vivente di cosa possa generare la forza della parola pacifica che è anche nella ribellione.
Aung San Suu Kyi: politica birmana, attiva per molti anni nella difesa dei diritti umani sulla scena nazionale del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare, imponendosi come capo del movimento di opposizione, tanto da meritare premi Rafto e Sakharov, prima di essere insignita del Premio Nobel per la pace nel 1991. Aung San Suu Kyi è attualmente Consigliere di Stato della Birmania, Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell'Ufficio del Presidente. Nel settembre 2017 è stata oggetto di critiche da parte di un'altra premio Nobel per la pace, la pakistana Malala Yousafzai, che, a proposito delle violenze perpetrate dall'esercito birmano contro la minoranza musulmana Rohingya e il suo comportamento giudicato indifferente - quando non propriamente ostile - nei confronti dei Rohingya.
Le donne che sono arrivate ai più alti gradi della politica sono poche e spesso si devono scontrare contro il sistema maschile e patriarcale.
Non basta piazzare una donna al governo di un Paese perché le cose funzionino meglio, tuttavia, serve una trasformazione culturale e sociale per la quale è una condizione necessaria ma non sufficiente.

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