Pagine

mercoledì 20 dicembre 2023

Violenza contro le donne: possesso e sottomissione #DonnealCentro

 di Valeria Frezza

Nel Global Gender Gap del World Economic Forum, sui Paesi con comportamenti virtuosi nei confronti delle donne, l’Italia è precipitata al 79mo posto.  

Dopo decenni di battaglie femministe, siamo ancora costretti a constatare la visione del corpo della donna come oggetto da possedere, da sottomettere, da usare, figlia della peggiore cultura arcaica e patriarcale. 

Guardare indietro aiuta a capire da dove veniamo, per comprendere quanto c’è ancora da fare. In Italia il delitto d’onore è stato abolito nel 1981, insieme al matrimonio riparatore. La violenza sessuale è divenuta reato contro la persona solo da 27 anni, nel 1996. Prima, con il Codice Rocco di epoca fascista, lo stupro era un reato contro la morale. Siamo un Paese che ancora non accetta la cultura del rispetto, della parità, dei diritti delle donne? 

La violenza di genere ha una matrice culturale, anche perché si fonda sulla disparità. La cultura patriarcale, dalla notte dei tempi, attribuisce un ruolo minoritario alla donna che a sua volta introietta, anche inconsapevolmente, una serie di comportamenti per aderire o avvicinarsi a quel modello.

A tal punto che le donne, a volte, non percepiscono alcune avvisaglie. La gelosia, il possesso, il dover chiedere permesso ad un uomo, l’isolamento che i violenti attuano verso le compagne, sono indicatori di una relazione non paritaria, di una pericolosa limitazione della libertà e dei diritti. Se un uomo controlla o gestisce il denaro e le spese della propria compagna – in Italia una donna su tre non ha un conto corrente personale - è violenza economica, una via facile di accesso per quella psicologica e fisica. Per una serie di ragioni, chi subisce violenza – che sia economica, psicologica, fisica, digitale - non sempre la riconosce subito come tale. Se molto è stato fatto soprattutto dalle associazioni sul campo, c’è ancora strada da fare sull’emersione della violenza di genere.

In Italia le leggi contro la violenza sulle donne ci sono, non è tanto un problema di norme, a detta delle esperte che da anni lavorano sul campo. Il disegno di legge Roccella è stato approvato in via definitiva e implementa il Codice Rosso del 2019 e tutte le precedenti norme contro la violenza di genere.

Il cambiamento culturale comincia dal ruolo della donna nella società.

Se una donna non lavora e non ha un conto corrente personale ha ancora più rischi di subire la violenza. In Italia c’è quindi da affrontare il problema della grave disoccupazione femminile, soprattutto al Sud. Inoltre, i ruoli sociali e familiari e i lavori di cura non retribuiti in Italia sono ancora in maniera sproporzionata (oltre il 70%) a carico delle donne.

Ancora oggi la sottovalutazione della violenza è frequente, ecco perché dovrebbe esserci un impegno anche economico perché si avvii una formazione sistemica nella società, indispensabile per un reale cambiamento. Dare competenze agli attori della rete antiviolenza ma anche all’interno di qualsiasi categoria professionale, in qualunque luogo abitato da donne, anche per le violenze invisibili, basti pensare alle molestie sul lavoro, all'abuso di potere sulle donne in istituzioni civili e religiose che, spesso, pur partecipando al dibattito ed anche quando si mostrano sensibili al tema, di fatto non fanno nulla per cambiare loro.

Si fanno nuove leggi ma non si va ad attaccare realmente la questione culturale stanziando fondi per la formazione.

Le vittime di violenza spesso, ancora oggi, non vengono credute: per le donne con disabilità è quasi la norma perché si pensa, a causa di altri pregiudizi e stereotipi, che non abbiano una sessualità. Come nel caso di Maria, violentata tre volte al giorno dai 7 ai 27 anni. Nessuno le credeva, perfino la sua psicologa sosteneva fossero fantasie.

Le donne ospitate nei Centri antiviolenza, una volta garantita la sicurezza, tornano a lavorare, i bambini sono inseriti a scuola, frequentano scuole e centri estivi. “L’idea non è quella di nascondersi ma di riappropriarsi della propria libertà e della propria vita

Mediamente l’ospitalità in una Casa rifugio dura sei mesi e le donne che non hanno un’autonomia economica, dunque vivono in una situazione di ricatto, non vengono solo messe in protezione ma accompagnate in un percorso di indipendenza.  

Il messaggio positivo è che dalla violenza se ne può uscire ma è fondamentale chiedere aiuto. 

Liberamente tratto dall'articolo di Ansa di Enrica Di Battista 

Nessun commento:

Posta un commento