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lunedì 2 novembre 2020

Sturzo. Discorso di Caltagirone

 di Armando Dicone


Gruppo "formazione politica"

Vorrei sottoporre all'attenzione del Forum, il discorso di don Sturzo, del 24/12/1905, fatto a Caltagirone. Per molti studiosi rappresenta una tappa fondamentale per la costruzione del partito popolare del 1919.
Leggendolo noterete come Sturzo avesse già chiara l'idea del partito, non di soli cattolici, basato su un pensiero forte e con un programma condiviso.

Grazie e buona lettura.
Armando Dicone.


I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani


Agli amici

Tutto il complesso di fatti, di documenti, di discussioni, proposte attinenti all'organizzazione dei cattolici italiani che più da vicino ci riguardano in ragione di tempo ha contribuito a mettere in una luce più netta i diversi problemi della vita nazionale dei cattolici italiani e ne ha reso più evidente la portata e più urgente la soluzione; sì che stimo necessario riassumerli in un esame oggettivo e sereno, richiamando su di essi l'attenzione di quanti al faticoso sorgere del partito democratico cristiano han dedicato forze generose di pensiero e di vita.

Non pretendo, certo, di portare in mezzo al dibattito presente una parola decisiva (e com'è mai possibile?) né di presentare soluzioni certe e sicure, né tampoco per qualsiasi ragione autorevoli: io intendo (se mi è possibile riuscirvi) riassumere in sintesi lo stato di fatto e la mentalità presente, esaminare le condizioni, penetrare il significato psicologico dei fatti e discutere i problemi che da essi derivano, nell'intento di portare un certo contributo di idee, che può dar luogo a una più larga e più sicura discussione.

Se questa sintesi fosse scompagnata dal continuo svolgersi, anche tumultuoso e impreveduto, dei fatti, avrebbe un valore molto limitato, anzi potrebbe cader nel gioco degli idealismi aprioristici; ma invece essa, nel riassumere e commentare i fatti precedenti, deve seguire l'imporsi dei nuovi fatti, deve penetrarne i problemi concreti, deve palpitare di vita vissuta, svolgentesi nell'incalzare degli avvenimenti.

Forse non a tutti sembrerà conveniente che si affrontino questioni credute ancora immature per lo spirito pubblico italiano, o perlomeno sulle quali debba sentirsi una parola di autorità, più che una libera discussione, almeno da parte dei cattolici.

Senza discutere una simile opinione, che pel suo verso potrà anche essere rispettabile, io ritengo che ogni fatto storico si prepara con la formazione del pensiero, come ogni legge viene imposta più dai fatti e dalle convinzioni che dalle ragioni di semplice autorità. Anche il dogma fu elaborato nella coscienza dei cristiani, fecondato di fede vissuta e di carità operosa; è quindi preparatoria a ogni soluzione la discussione dei problemi, quando anche non spetti che solo ad una autorità, qual essa sia, il giudicare e il decidere.

Le soluzioni storiche impongono la discussione che diviene vita: e io sento la necessità di tali discussioni, che non riducono la vita ad astratto filosofare, ma che applicano le teorie alla vita, e a quella vita che per un fatto complessivo e naturale di tutti noi (che ne viviamo tanta parte) chiamiamo oggi nazionale.

Ed entro in argomento.

I.

 

Un'analisi dell'attuale situazione dei cattolici in Italia è molto difficile e riesce incompleta; sono tante e così vive le pressioni sul nostro spirito, determinate da un cumulo di avvenimenti in parte impreveduti, che non si riesce facilmente a mettersi in uno stato di osservazione storica, senza provare i sussulti della vita vissuta. Onde questi abbozzi, queste specie di fotografie istantanee di un cavallo che corre, non ci possono dare tutta intiera la figura, ma solo l'ultima mossa, della quale abbiamo cercato di precisare i caratteri obiettivi.

Tant'è, siamo o almeno crediamo di essere in un momento decisivo per la vita nostra nel campo politico e civile; e una rassegna del passato prossimo s'impone al pensiero; tanto più quanto il presente momento, più che di attività nuove, è di raccoglimento, di riflessione, di aspettativa e di speranze. È il momento, dunque, di ricercare noi e le nostre fatiche, e di collazionare (passi la brutta parola burocratica) i protocolli del passato.

Quando in Italia la enciclica Rerum Novarum cominciò a penetrare nelle coscienze dei cattolici, e non fu subito, e a destare un nuovo fermento di vita, la parola e il programma di democrazia cristiana chiamava studiosi e lavoratori a ideali più determinati in ordine alla questione sociale, e creava una falange di forze nuove, che per necessità di vita vennero a contrasto con elementi conservatori, tradizionali, che avevano serbato in Italia e in certo modo esteso i sentimenti religiosi e aveano cercato di formare un'organizzazione nazionale delle forze cattoliche in Italia, raggruppate principalmente nell'Opera dei Congressi.

Ed è tutta storia vissuta da noi quella che dal 1897-98 arriva fino alla tentata fusione delle giovani e vecchie forze dei cattolici d'Italia nel 1902, al mutamento ministeriale (chiamiamolo così) di Paganuzzi in Grosoli, al trionfo della tendenza democratica al congresso di Bologna (1903), alla forte resistenza dei conservatori nel consiglio direttivo e nel comitato permanente generale fino alla circolare e alla caduta di Grosoli (1904), al movimento autonomista e delle giovani schiere e alla sconfessione susseguente, e infine alla attenuazione del non expedit, all'enciclica di Pio X sul movimento cattolico e al tentativo presente di una nuova e più larga organizzazione dei cattolici italiani (1905).

Tutta questa storia di otto anni (basta accennarla, tanto è nota nelle sue fasi esteriori e nelle sue ragioni intime) ci si presenta oggi sotto due aspetti: come una lotta di due tendenze diverse e anche opposte nel campo delle idee e della organizzazione; e come un lavorio di trasformazione psicologica e ambientale dei cattolici italiani, ed è l'una e l'altra cosa insieme.

La lotta e l'urto delle tendenze a molti è sembrato un fenomeno dovuto alle imprudenze, alle intemperanze giovanili, un fatto personalistico di semplice carattere morale; a determinare il quale han contribuito vaghezza di novità pericolose oltre che in materia sociale anche in quella religiosa, scientifica e storica, e spirito critico-razionalistico, che da oltr'alpe è piovuto a noi a infestare le nostre belle contrade. E ciò potrà avere anche un'apparenza di vero; però quelli che così dicono non han considerato che anche tali fenomeni, ridotti alla loro vera e reale entità, senza le esagerazioni polemiche, non avrebbero potuto essere le cause proporzionate di un movimento generale in Italia, di nuove forze esplicantesi nella vita e in tutti i rami della vita, se non vi avesse corrisposto un pensiero vero, reale, profondo, che supera le accidentalità e le modalità delle cose e penetra l'intimo essere della vita.

Il cozzo e l'urto delle due tendenze, qualsiasi il modo, doveva avvenire, perché vi eran di fatto e si affermavano queste due tendenze; e i beghini dell'armonia e dell'unione dei cattolici (per quanto necessaria nella vitalità religiosa) tendono a sopprimere la vita perché vogliono sopprimere - cosa impossibile - la discussione, l'opinione, il sistema, la tendenza diversa.

Che se la storia della chiesa, anche nel puro campo religioso, ci fa assistere allo svolgersi grandioso delle vive correnti teologiche e teo-filosofiche, all'affermarsi di sistemi pratici e al cadere di vecchie forme, dando corso alle nuove, è antiscientifico e antistorico pretendere che, mentre il mondo cammina, i cattolici restino a vivere una vita e ad avere una concezione di essa, forse, adatta ad altri tempi o per lo meno che poteva essere l'ultima espressione della potenzialità di quei tempi, e non mai rispondente ai tempi, alle forme, al progresso naturale dei nuovi; e come quella vita poté segnare un progresso sulla precedente, così oggi nel progredire e nello svolgersi di altre forme umane, nel piantarsi di altre questioni, nell'attuarsi e concretizzarsi di altre guise sociali, s'impongono allo spirito dei cattolici altre e più adatte forme di vitalità. L'affermarsi della quale, come tutte le efficienze umane, avrà anch'esso i suoi lati manchevoli insieme ai suoi pregi; i vantaggi di un'idea, insieme, e quelli di persone che ad attuarla si adoprano, e gli svantaggi che il concreto dell'azione porta con sé nel tumulto della discussione e della vita.

L'avvicinarsi di queste due tendenze nel contatto di idee, di opere, di organismi, dovea produrre, come in tutte le cose umane, simpatie, urti, resistenze, trasformazioni. Se non fosse così, la personalità umana, con i suoi pregi e i suoi difetti, scomparirebbe insieme con la vita. Ebbene, questi contatti, urti, trasformazioni, riforme, affermazioni, cadute, formano la storia di otto anni di movimento democratico cristiano, che ci sembra così lunga come se fosse di più di mezzo secolo.

E oggi non rimpiangiamo il passato, né noi né i conservatori; c'è qualche cosa che è caduto e che dovea cadere, c'è qualche cosa che è rimasto, e che è bene sia rimasto: ma soprattutto ci sono esperienza di vita, forze allenate, vitalità nuove, realtà più sentite, difficoltà superate, pensiero più maturo; e più che altro la grande trasformazione che si è andata operando in questi pochi anni nello spirito, nella cultura, nella orientazione dei cattolici in Italia.

Se il movimento democratico cristiano, come sembra ad alcuni pessimisti (e lo siamo un po' tutti nei momenti di sconforto) avesse compiuto il suo ciclo, e non dovesse più nulla tentare nel campo della vita sociale e politica in Italia, esso avrebbe già avuta una funzione importantissima nello sviluppo del movimento dei cattolici in Italia: quella, cioè, di avere prodotto o almeno di essere stato l'esponente più visibile della trasformazione del pensiero e dell'atteggiamento dei cattolici italiani verso la vita moderna e i problemi che da essa sorgono ad agitare la coscienza umana. Che se oggi si parla di reazione, e c'è, essa non può essere che accidentale, limitata anche nei suoi sforzi, e tale che determina naturalmente gli elementi di rimbalzo, e di controreazione che si produce negli spiriti, la quale seleziona, in una opera intima e spesso invisibile, la vitalità, e la lancia verso il suo destino.

Questa trasformazione non è a tutti visibile né sembra generale, anzi fra dubbi, incertezze, manchevolezze (e come è possibile non ve ne siano?) par che abbia perduta la forza dell'assimilazione e l'energia dello sviluppo. Eppure non è così: essa è vitale e forte.

Nel campo sociale (è già una conquista) son penetrati lo spirito e le idee che Leone XIII assommò, come precisandole, con l'enciclica Rerum Novarum, la quale volle essere ed è quella faccia di idee e di criteri sociali, che riguarda e prospetta le idee e i criteri religiosi e cristiani in ordine all'attuale crisi operaia: idee e criteri che egli bandì, come parola geniale perenne della chiesa, ai cattolici militanti e non militanti, a popolo e a governanti, a poveri e a ricchi, a tutti, perché tutti richiamava dal tumulto dell'agitarsi di plebi incomposte alle sublimi considerazioni del diritto cristiano.

Sventuratamente la parola di Leone XIII divenne e fu appresa come esplicazione particolare di vita, neppure di tutti i cattolici, e bandiera di un programma specifico, nel campo civile e politico; per cui dovette lo stesso Leone XIII nella Graves de communi restringere e precisare meglio i termini religiosi del problema sociale, dentro i quali termini credettero doversi organizzare i cattolici. Anche questa forma fittizia doveva venir meno; essa servì a far conoscere e amare un documento, dal quale si inizia, come concreta guisa di tempi, l'interessamento della chiesa per l'attuale questione sociale.

Per virtù del movimento democratico cristiano è penetrato il convincimento, ormai generale, che i cattolici più che appartarsi in forme proprie, sentano con tutti gli altri partiti moderni la vita nelle sue svariate forme, per assimilarla e trasformarla; e il moderno, più che sfiducia e ripulsa, desta il bisogno della critica, del contatto, della riforma. E il senso di riforma, di miglioramento, di revisione della vita, è divenuto generale nella cultura dei cattolici, la cui mentalità si va evolvendo insieme all'acuirsi del bisogno di un ritorno intiero alla vita cristiana e di una trasformazione reale in senso cristiano di tutto l'agitarsi del pensiero e dell'attività moderna, senza le supercostruzioni di epoche precedenti e gli ostacoli di elementi fittizi e privi di vita.

A tale slancio di pensiero nuovo facevano contrasto e impaccio le forme viete che riunivano la forze dei cattolici militanti; e fortunati e dolorosi eventi fecero scomparire quelle forme e quelle formule, già moralmente cadute da un pezzo dall'animo dei cattolici riformisti. Che se i rottami ingombrano ancora la strada, e concezioni negative ancora predominano, lo spirito è libero, e nel rifar da capo non è possibile tornare indietro.

In tutto questo lavorio, ora lento ora affrettato, in questi precipitati eventi e in questo sollevarsi e riaffermarsi della coscienza nuova, molte speranze sono cadute, molte disillusioni hanno colpito l'anima entusiasta precorritrice di eventi; ma nel faticoso ascendere della vita molto si è conquistato, anche quando si temeva un ritorno, anche quando la reazione si mostrava più forte, e le crisi scotevano vecchi edifici e nuove speranze.

Così tutti gli eventi umani, quando mostrano che si va in dietro, spingono l'umanità in avanti, nel suo cammino fatto di dolorose esperienze, di prove ardite, di lotte impari, di sconfitte angosciose e di impreveduti trionfi.

***

E solo oggi, dopo tanto oscillare, dopo una serie di eventi or lieti or tristi, dopo aver percorso la faticosa via del progresso sempre alla coda del movimento, facendo anche la funzione di resistenza anziché di spinta, solo oggi possiamo dire di avere la possibilità di porre anche per noi il problema nazionale, come una sintesi di tutti i problemi del vivere civile, dal politico al religioso, dall'economico al sociale, dall'educativo allo scientifico, in ordine alla vitalità presente e al progresso della civiltà.

Ad alcuni sembrerà strano che io nel problema nazionale, come in una sintesi, includa anche il problema religioso, e troverà per lo meno poco preciso il mio dire: per costoro sento il dovere di spiegare la posizione mentale che io assumo, e che risponde al carattere reale del movimento.

Quando si parla di vita nazionale, cioè di quella vita che un popolo, uno di nome, di razza, di organismo, vive e produce ed evolve, si deve parlare di tutte le manifestazioni della vita, quali nel fatto esteriore, rispondente all'interiore movimento degli individui e della società, si esplicano e si sviluppano; e della loro realtà, estensione e intensità. Così anche il problema religioso, il massimo nell'ordine delle esigenze spirituali, fa parte di tutta una agglomerazione organica di popoli, ed è trattato nella misura delle sue manifestazioni e nella posizione del suo svolgimento.

Ora, quando affermo che i cattolici si debbono anch'essi, come un nucleo di uomini di un ideale e di una vitalità specifica, porre davanti al problema nazionale, che fra gli altri problemi involve in sintesi anche il religioso, io suppongo i cattolici come tali, non come una congregazione religiosa, che propugna da sé un tenore di vita spirituale, né come l'autorità religiosa che guida là società dei fedeli, né come la turba dei fedeli che partecipa attivamente e passivamente alle elevazioni e ai combattimenti di vita spirituale, né come un partito clericale che difende i diritti storici della chiesa, in quanto vitalità umana di diverso ordine e di ragione concreta, specifica, ma come una ragione di vita civile informata ai principi cristiani nella morale pubblica, nella ragione sociologica, nello sviluppo del pensiero fecondatore, nel concreto della vita politica.

Questa concezione è diversa da quella avuta da mezzo secolo a questa parte, quando una ragione così detta clericale faceva i cattolici sostenitori dei diritti regi di tradizioni ecclesiastico-civili, di regimi politici di casta, e li poneva contro le rivoluzioni liberali che nell'affermarsi di un potere laico assoluto, traente origine dalla presente sovranità popolare, assommavano in sé la guerra contro lo spirito della chiesa per abbatterne le forme.

Oggi, compiuta la rivoluzione, assodati i nuovi regimi, dato l'aire alle nuove formule politiche, sviluppato il carattere costituzionale della vita esteriore, il tipo clericale nel vecchio ed esteso senso della parola è scomparso: gli avanzi son pochi o ridotti all'impotenza; o per lo meno non può avere sviluppo una qualsiasi reviviscenza clericale nel suo tipo storico. Non è scomparsa però la tendenza larvata, la minuta concezione tradizionale, la visione piccola di una vita che ha perduto la sua ragione; la quale è ingrandita, ingigantita anche dalla confusione dei principi di vita religiosa con le forme storiche esterne e accidentali di essa.

È chiaro che la ragione religiosa, come movente logico e come finalità ultima, rimane integra nel concetto di ogni attività esteriore personale o collettiva di cattolici, anche nella esplicazione della vita civile, ma essa non è più legata a ragioni storiche e solo si aderge con il motto assunto da Pio X instaurare omnia in Cristo; e sarà il motto di tutti quelli che militano nella chiesa con la fede viva, con l'animo vinto dalla grazia, ciascuno secondo la misura di partecipazione avuta dallo spirito: l'esegeta che dal suo studio penetra i segreti delle sacre carte vale quanto l'umile fra' Galdino che raccoglie le noci mendicando alle porte degli operai di un villaggio, cui lascia la benedizione e l'augurio del francescano.

Ma la vitalità nazionale, alla quale fu estranea nel suo agitarsi organico, la forza dei cattolici (antichi e nuovi), e lo spirito della vita pubblica, basato sulla laicizzazione delle forme esterne per arrivare a scristianizzare le interne, non può assumere la guisa di una lotta religiosa, di una contesa per la fede, di una guerra di religione: essa è e resta civile nella sua caratteristica e nella sua finalità immediata, e chi vuole operare in essa, nella guisa presente, deve assumere questa posizione necessaria, imposta dalla natura dell'ambito di vita e dalle caratteristiche del pensiero presente.

In essa vita ogni tendenza dello spirito, ogni elaborazione di programma, ogni fede politica avranno quella rappresentanza morale che la forza del pensiero stesso, l'unione degli uomini che vi aderiscono, la combattività delle forze che necessariamente si sprigionano da essa unione, vanno determinando.

Così, cattolici o socialisti, liberali o anarchici, moderati o progressisti, tutti si mettono sul terreno comune nazionale, e vi lottano con le armi moderne della propaganda, della stampa, dell'organizzazione, della scuola, delle amministrazioni, della politica.

Ora, io stimo che sia giunto il momento (tardi forse, all'uopo, ma non mai tardi per l'inizio di esso) che i cattolici, staccandosi dalle forme di una concezione pura clericale, che del passato storico formava una insegna di vita, e del presente una posizione antagonistica di lotta — e sviluppandosi dalla concezione univoca della religione che non solo era primo logico e unico finale, ma insegna di vita civile e ragione anch'essa antagonistica di lotta, — si mettano a paro degli altri partiti della vita nazionale, non come unici depositar! della religione, o come armata permanente delle autorità religiose che scendono in guerra guerreggiata, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del viver civile, che vuolsi impregnato, animato da quei principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana come informatrice perenne e dinamica della coscienza privata e pubblica.

E la potenzialità della vita cattolica italiana a trasformarsi in partito nazionale è andata maturando attraverso stenti, difficoltà, dubbi, incertezze, avversioni: al congresso di Bologna si cominciò a credere possibile in Italia la creazione di un partito cattolico nazionale, e il prudente e deciso contegno di Grosoli fece sperare che, in un avvenire non lontano, con la graduale conquista della personalità vera di partito, i cattolici (pur chiusi nell'ordinamento dell'opera dei congressi) avrebbero potuto vivere una vita civile e politica collettiva, anche durante il regime del non expedit.

E quando la lettera circolare di Merry del Val sciolse il comitato generale dell'opera dei congressi si andò compiendo una vera trasformazione nella psiche dei cattolici; le nostre forze militanti, nello sfasciarsi del vecchio organismo e nel veder limitata l’attività delle associazioni cattoliche sostanzialmente al movimento religioso, cominciarono a riacquistare la coscienza chiara dell'ibridismo costituzionale dell'organizzazione dell'opera dei congressi, e la conseguente impossibilità di raggiungere in essa una posizione qualsiasi di partito nazionale.

La elaborazione lenta e pertinace tentata dai migliori uomini di parte cattolica messi alla direzione dell'opera dei congressi, verso una personalità propria dei cattolici militanti, cozzava fortemente non solo con le tendenze della parte conservalrice e refrattaria, che formava l'elemento tradizionale dell'organismo dei comitati parrocchia.li e diocesani, ma con la responsabilità e disciplina ecclesiastica, di cui fu circondata un'opera laica sorta con fini e con criteri meramente d'azione religiosa.

Questa responsabilità diretta della chiesa riguardo un'opera laica civile e sociale, o doveva far entrare papa e vescovi (intervenienti in una forma visibile e col carattere dell'autorità) nell'ambito delle lotte, delle discussioni e delle passioni umane, e ciò non semplicemente come guida, norma, dottrina, ma come partito, come fazione belligerante — una specie di rinnovato medio evo con i poteri mistici di pastorale e di spada ; o dovea impedire che l'opera laica civile e sociale, costituita sotto la responsabilità diretta della chiesa, varcasse nelle sue attività i limiti di un campo puramente religioso.

 

La prima ipotesi era ed è impossibile oggi, e sarebbe di grave danno alla chiesa, che non ha certo la missione storica che ebbe nel medio evo, ne partecipa direttamente o in forma eminente e internazionale al regime dei popoli cristiani; la seconda ipotesi quindi veniva come conseguenza logica, e fu imposta in Italia non solo per una serie di fatti storici legati ai più vivi interessi religiosi, ma anche per le condizioni stesse del pontificato romano, che, spoglio con gli altri principi d'Italia dell'antico potere, non avrebbe potuto atteggiarsi a semplice pretendente politico, né avrebbe potuto avviare direttamente un'azione nazionale dei cattolici, senza gravi ripercussioni nello spirito stesso della religione della gran massa del popolo italiano.

Questo mostrarono di non intendere gli uomini di centro del nostro partito, e anche i più illuminati del mondo vaticano, quando, sorta a vigoroso impulso la democrazia cristiana, buona e decisa a fronteggiare i socialisti sul terreno sociale e politico, vollero circoscriverne l'azione togliendole l'autonomia e incorporandola nell'opera dei congressi, affidata sempre più da vicino ai vescovi, al vicario del papa, alla congregazione degli affari ecclesiastici straordinari, entrando così, non solo (ed era necessario) come dottrina morale e religiosa, ma anche come organizzazione laica nel reparto degli affari ecclesiastici.

 

Allora le preoccupazioni dei borghesi, dei ricchi, dei legittimisti, dei padroni, dei conservatori, tutti più o meno cristiani e figli della chiesa, si riversarono contro la democrazia cristiana e crearono attorno a parroci, a vescovi, non solo il senso della diffidenza, ma il timore che questo movimento celere e alacre nel campo sociale, promosso in nome della chiesa, avrebbe allontanato dalla religione molti che bene o male erano sostenitori del culto, non raramente protettori dei diritti delle chiese, amici influenti del ceto ecclesiastico, buoni e anche l'uno per cento più cristiani; e le autorità ecclesiastiche con prudente riserbo (quando non credettero addirittura di levarsi di tra i piedi quegli incomodi agitatori) impedivano il movimento democratico cristiano, evitando così di essere trascinate nel tumulto delle passioni popolari, che ora assumevano il carattere di attrito tra capitale e lavoro, ora la forma di una lotta amministrativa, e ora l'effervescenza di ripicchi anticlericali.

 

Lo stesso avvenne in altro campo dal congresso di Bologna in poi. Invero, il complesso dei fatti compiuti, cioè della storia della rivoluzione italiana e del presente assetto nazionale, per noi cattolici non è una semplice constatazione di fatto o un punto di partenza per l'avvenire o un naturale presupposto politico o un ideale raggiunto; per noi, dopo più di quarant'anni, rimane ancora una pregiudiziale da risolvere.

 

Mi spiego: tagliati fuori dalla vita nazionale dal 1848 in poi, a pigliare una data decisiva, fallito il neo-guelfismo, rimane senza seguito, senza significato, amorfa e personale la partecipazione di alcuni alla vita parlamentare (il più notevole fra tutti il siciliano Vito d'Ondes Reggio) e poscia, trasmutato in autorevole non expedit il volontario non eletti ne elettori di don Margotti, i cattolici non solo non partecipavano allo svolgersi dei fatti nazionali, né positivamente né negativamente, ma furono degli assenteisti, i quali sentivano nella loro coscienza forte la ripercussione delle sette anticristiane, delle nuove leggi antireligiose, della nuova civiltà portata in nome di una laicizzazione e scristianizzazione generale della vita dei popoli ; e alla condanna morale e psicologica del male enorme fatto alla religione legarono la condanna di nuove forme civili, di nuove aspirazioni e ideali nazionali, di nuovo flusso di vita che pervase la così detta terza Italia.

 

Questo stato psico-morale dei cattolici italiani non è passato nella loro coscienza come una riprovazione storica contemporanea, che non tocca il presente (come in tante nazioni), ma è rimasto duraturo e vivo con la questione romana aperta il 20 settembre 1870, la quale sintetizza in sé i fatti antireligiosi e i fatti politici della religione italiana. Di questa posizione credettero avvantaggiarsi i legittimisti, i borbonici, i credenti nel diritto divino, tutta roba da museo, che assunse l'etichetta cattolica, perché dalla rivendicazione sempre viva dei diritti del papato poteano aver vita i diritti morti delle dinastie di antichi re e principi italiani.

 

Tutto ciò creò e alimentò il pregiudizio (che è servito così bene agli avversari!) che i cattolici siano nemici della patria, antinazionali, austriacanti e borbonici, e che perciò non sì sarebbe mai riusciti a formare un partito cattolico nazionale.

 

E quando invece apparve per prima la democrazia cristiana, che assunse forme di partito popolare cattolico italiano, i conservatori cattolici e i liberali c'interrogarono sulla pregiudiziale; e la pregiudiziale tornò a esser sentita tra una discussione e l'altra nel riapparire del partito cattolico italiano affermatesi a Bologna.

 

Però il problema non era facile ad essere affrontato, e sembrava ancora immaturo l'ambiente; due ostacoli ci si paravano: il timore (non interamente ingiustificato) che nell'accettare il presente stato di cose e la storia dei fatti compiuti (pur senza assumere responsabilità) si sarebbe recato pregiudizio alla rivendicazione di quella libertà e indipendenza che il papa reclama e che gli son necessarie per l'esercizio del suo alto ministero; e il timore che si sarebbe creduto alla ratifica di alcuni fatti, che non presentano una sana figura morale, e di quegli intendimenti delle sette anticristiane che presiedettero alla formazione della nuova Italia.

 

Intanto questa pregiudiziale continuava ad incombere come cappa di piombo sui cattolici organizzati, nonostante che singolarmente fosse stata dalla gran maggioranza risoluta in senso nazionale; ma le franche osservazioni del convegno dei giovani lombardi a Varese, l'atteggiamento dei giovani democratici cristiani in tutta Italia, le polemiche giornalistiche sui martiri di Belfiore e sulle feste dell'8 agosto a Bologna e la decisione dei cattolici bolognesi di partecipare in corpo all'inaugurazione d'un monumento patriottico, mostravano che oramai si era maturi a uscire ufficialmente da una posizione incomoda ed equivoca, mentre le nuove discussioni sul carattere delle rivendicazioni pontificie mettevano in luce nuove facce del difficile problema, staccandolo decisamente dal campo dei diritti storici.

E proprio questa pregiudiziale doveva essere il tallone di Achille del conte Grosoli. Egli credette possibile autorevolmente, in nome di quella associazione cui era affidata la direzione di tutte le forze cattoliche organizzate, sgombrare il terreno dal rottame di vecchie concezioni e mettere liberamente i cattolici sul terreno delle patrie conquiste, dopo avere non meno esplicitamente affermato che a base della vitalità pubblica dei cattolici italiani sta il diritto del pontefice alla libertà e indipendenza, e come limite all'attività pubblica la osservanza allora intiera del non expedit.

 

Però, per la seconda volta, in modo rumoroso e con effetti gravissimi, si riscontrava l'antinomia inevitabile tra partito cattolico laico nazionale di carattere sociale e civile e le posizioni e le funzioni dirette della gerarchla ecclesiastica, specialmente del papa.

 

La dichiarazione Grosoli infatti, necessaria per un partito cattolico nazionale, oltre ad urtare i pochi fossili borbonici e lorenesi, urtava il sentimento di coloro che, pur non pensando a rivendicazioni legittimiste, continuano in buona fede, per tradizione ed educazione, ad accomunare l'opera deleteria delle sette con le condizioni storiche dell'Italia; urtava non poche case di principi spodestati e qualche corte di re e di imperatori, non esclusa la vecchia Austria; urtava le diverse sfumature dei clericali francesi e spagnoli, che tuttora premono sull'opinione delle sfere della corte pontificia; urtava infine, e soprattutto, la posizione presa dal papato dal 1870, il quale non può, diciamo così, ratificare, anche negativamente, alcune delle cause storiche che condussero al presente stato, quando ancora manca la soluzione della questione romana o anche un modus vivendi, senza pregiudizio, non dei diritti, ma di quella linea di condotta che il papato segue nell'attuale conflitto.

 

E poiché la dichiarazione del conte Grosoli non poteva semplicemente assumere i caratteri di un fatto libero, limitato all'atteggiamento dei cattolici, o meglio, di quei cattolici che formavano la base costituzionale della presidenza Grosoli, ma si dovea costituzionalmente e moralmente far risalire alla autorità ecclesiastica suprema, questa intervenne recisamente per non rimanere esposta a possibili ripercussioni, sia nel campo religioso che in quello diplomatico, rinnovando sotto certi aspetti quello che successe nel 1902 per la democrazia cristiana.

 

E il male di questa condizione antinomica (che diverrebbe enorme se si dovesse formare un partito cattolico parlamentare sulla base dell'opera dei congressi, perché sul pontefice, sotto la brutta veste di pretendente politico, ricadrebbe la responsabilità perfino di ogni qualsiasi interpellanza; come nei singoli comuni diviene insostenibile la posizione dei vescovi e degli arcipreti che direttamente si mettono a capo dei partiti cattolici municipali), il male, dico, in questa condizione antinomica non è né della autorità ecclesiastica, che deve salvaguardare quegli interessi più alti derivanti dal quotidiano regime ecclesiastico, né dell'organizzazione civile dei cattolici, che non possono, perché tali, veder limitata l'attività cittadina e sociale, a cui sono legati molteplici interessi, senza che venga meno e si esaurisca la stessa attività dei cattolici, che spesso arriva a confondersi con quella dei conservatori liberali: è il fenomeno triste d'Italia e di Francia. La colpa, invece, è stato l'ibridismo della tendenza religiosa concretizzata nelle associazioni cattoliche, e principalmente, l'enorme ibridismo che aveva la vecchia opera dei congressi, la quale, sorta con modesti caratteri religiosi per appoggiare e rendere meno isolata (specialmente nell'Alta Italia) l'opera dei parroci e dei vescovi, attorno ai quali si formarono i comitati parrocchiali e diocesani, in uno sforzo di espansione necessaria o di invasione esagerata, cercò di unificare tutte le forze cattoliche, affrettando l'adesione di associazioni cattoliche preesistenti, e perfino di confraternite; assorbendo il movimento universitario, che intristì; invadendo anche la società della gioventù cattolica che resistette energicamente; ottenendo nel suo seno rappresentanze della società scientifica, di quella dei pellegrinaggi e della stampa cattolica, e circoscrivendo nel secondo gruppo tutta l'azione democratica cristiana con i suoi circoli e fasci, le sue unioni professionali e le sue cooperative, e fissando una sessione generale pel movimento amministrativo, che rimase sempre locale e autonomo.

In tutto questo lavorio di unificazione e di espansione, se i cattolici assursero a potenzialità organizzata, un po' figurativa nei quadri, ma realissima nell'esercito delle masse, rimase a base dell'opera il carattere non solo religioso, come vita di tutto il movimento cattolico, ma ecclesiastico, come carattere dell'organizzazione stessa; e si arrivò sino a richiedere l'intervento dell'autorità suprema, del papa, prima per averne approvazioni e incoraggiamenti: e ne diedero Pio IX e Leone XIII; poscia per averne delle credenziali per superare le diffidenze dei vescovi, e si ebbero anche queste; indi per avere una forza reale nell'opera di unificazione di fronte alla gioventù cattolica, alle confraternite, e si ottenne l'appoggio. Infine, sorto il conflitto tra progressisti e conservatori, tra democratici e non democratici, il clamore delle contese passò il campo della organizzazione e arrivò ai principi religioso-sociali, all'urto delle persone, al cozzo dei programmi, e l'autorità intervenne ad assicurare la purezza delle credenze e dei principi morali e la regolarità della disciplina ecclesiastica (Graves de Communi, 1901).

 

E vedendo che neppure ciò poteva ridare la calma e l'ordine alle file dei cattolici, che si sforzavano di trascinare l'autorità ecclesiastica nel forte del dibattito per strapparle una sconfessione e una condanna, limitò la portata dell'opera ai caratteri religioso-sociali e ne assunse l'alta responsabilità (27 gennaio 1902).

 

Così si spiega, storicamente e logicamente insieme, la incomoda posizione della Santa Sede nella formazione di un partito cattolico in Italia.

 

La quale posizione, anche dopo i fatti del 1904, si ripete adesso: l'attenuazione del non expedit, o il tentativo di una riorganizzazione di forze cattoliche, si ripresenta a molti come un tentativo di coalizione clericale, anzi clerico-moderata, una specie di ritorno storico della reazione del secolo scorso alle intemperanze e invadenze della rivoluzione francese e freno alle successive.

 

Noi escludiamo tutto ciò dall'ascensione della nostra vitalità, e ci domandiamo ancora: è possibile che la potenzialità dei cattolici si svolga in Italia nella torma di un partito nazionale?

II.

Prima di rispondere a questa domanda occorre mettere in chiaro i termini della questione: e quindi risolvere anzitutto la pregiudiziale nazionale.

 

Il passo di Grosoli nell'affermare la nazionalità italiana, salvo i diritti della Santa Sede, come prodotto di una coscienza già in formazione e come risultante di molte affermazioni consimili; e l'attenuazione del vincolo del non expedit, con la politica del caso per caso e la susseguente entrata di alcuni cattolici alla camera dei deputati, e, più che altro, l'autorevole ed implicita dichiarazione del pontefice Pio X nell'enciclica II fermo proposito (*), sono l'esponente della situazione e mostrano che già si è maturi ad affrontare la pregiudiziale nazionale.

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(*)... Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita pubblica del paese, rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime ci dissuadono. Venerabili Fratelli, dallo scostarci da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s.m.. Pio IX, e seguita poi dall'altro Nostro Antecessore Leone XIII, durante il suo diuturno pontificato, secondo la quale, rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei cattolici al potere legislativo. Senonchè, altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi della chiesa e ne facciate domanda.

Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra, induce il dovere nei cattolici tutti, di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività già lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei comuni e dei consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente ed organizzarsi per la vita politica come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 della presidenza generale delle opere economiche in Italia.

Pio X (Enciclica « Il fermo proposito », 11 giugno 1905)

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Essa, per quel che riguarda l'unità della nazione, è oramai ristretta alla sola questione romana. Il resto delle questioni storiche non ci preoccupa più che non ci preoccupa, per esempio, se il diritto su Napoli fosse degli aragonesi o degli svevi; se i borboni fossero legittimi o no; insomma, la questione, dal punto di vista del diritto, è sfumata.

Il fatto l'ha soppressa, come tutti i fatti storici precedenti. Un popolo non ha il dovere di studiare la casistica delle guerre e delle conquiste per giudicare sulla legittimità di esse, o meno; la fedeltà ha il limite nella potenzialità della resistenza; il diritto storico delle famiglie reali ha il valore che su loro riflette il bene di un regno o di un popolo. Oggi l'ideale della vita pubblica costitutiva dei regni è quello che ha animato la Svezia e la Norvegia, che senza guerre scindono i loro destini che una forza innaturale o la necessità della difesa unì, solo con protocolli e discussioni, senza diritti di pretendenti o legami di sovranità, senza bagliori di armi e intervento di chiese sanzionanti il diritto divino.

 

Ma la storia della rivoluzione è onesta o disonesta? Questa domanda si può estendere a tutta la storia; e la risposta sarà identica.

 

Noi oggi possiamo affermare che fu un bene l'unità della patria, che fu un bene che per essa si fosse lottato; e che però, nel perseguire questo ideale, molti e generosi ebbero slanci di virtù; molti ingannarono e fecero male. Il patrimonio che oggi abbiamo può essere inquinato, rovinato anche dalle ipoteche di un passato dilapidatore; ma ci ha dato una vita, e la raffermiamo, questa vita, col nostro intervento. A coloro che possono rinfacciarci lo scadere dei costumi, la lotta alla chiesa, il trionfo del liberalismo, la propaganda sovversiva, rispondiamo che l'Italia, divisa in sette stati, avrebbe subito anche peggio, come la Francia, anzi come l'Austria; ove a riprova dei fatti governa Francesco Giuseppe di Asburgo dal 1848, cioè dalla più formidabile e retorica rivoluzione italiana; quel Francesco Giuseppe che tenne testa alle rivoluzioni e che poscia vi si dovette sobbarcare.

Anche lì c'è tutto quel male che si attribuisce all'Italia una, e che sarebbe stato anche nell'Italia divisa, anzi anche (forse peggio, per natural reazione) negli stati pontifici.

Resta dunque solo la pregiudiziale della questione romana.

Essa viene posta in questi termini: a) è possibile un partito laico cattolico, che si disinteressi, come partito, della questione romana? b) e se è possibile, fino a che punto può prescinderne, senza mancare ai suoi doveri? c) e se un qualsiasi fatto concreto determina un conflitto o lo acutizza, fra lo stato italiano e la chiesa romana, quale può essere il punto d'interferenza fra il partito cattolico e i due poteri?

 

Prima però di esaminare i termini della pregiudiziale bisogna assodare il valore pratico, concreto, presente della questione romana in rapporto alla nazione italiana.

Il sommo pontefice, come capo della chiesa cattolica, non può rinunziare alla sua ingenita libertà e indipendenza: essa è tal cosa che diviene nel concreto il fatto stesso religioso, e praticamente e storicamente essa dà origine a quelle fasi storiche che si riducono, semplicizzando, o alle persecuzioni delle catacombe o all'autorità morale della decadenza dell'impero romano, o all'autorità paterna su Roma per consenso di popolo, o al potere internazionale del medio evo, o alla potestà politica dell'evo moderno; sempre o libero o perseguitato, mai il papa fu servo, se non a patto di perdere la sua potenzialità morale e la sua stessa autorità.

Oggi la libertà, quella certa libertà religiosa che si consente in uno stato neutro, e che moralmente è acquistata da una tregua di lotte sfibranti, è necessità riconoscere che esiste: manca l'elemento giuridico che sanzioni la libertà di fatto, e la renda intiera nell'ambito di vita religiosa che si esplica e

si manifesta al di fuori. Fatto giuridico che tolga a un potere laico, non la possibilità (cosa che non fece neppure il potere temporale) della violazione del diritto alla libertà, ma la figura giuridica, la ragione o meglio il pretesto legale, che sanzioni, invece, la violenza e l'arbitrio di qualsiasi atto in contrario.

Precisata in questi limiti la natura essenziale dei diritti della Santa Sede, nessuno ignora che il fatto storico preme fin troppo, oggi, da non consentire altro che un modus vivendi, una ragione equivoca, nella quale questi due poteri convivendo non s’incontrino, nè si riconoscano, nè si urtino, nè si coalizzino; finché una vera rivoluzione storica sciolga il problema che, sorto dalle persecuzioni rivoluzionarie e maturato all'ombra di un editto di tolleranza, trovi, attraverso nuovi tempi, una forma di vita pubblica.

Tutto ciò, si dirà, tende a rafforzare lo stato italiano e a indebolire la chiesa. Preoccupazione fallace di uomini senza fede. Tutto ciò è il corso naturale degli eventi. Nessuna affermazione e nessuna negazione può spostare il fatto da questi termini e crearne un altro: nessuna persuasione psicologica tende a un termine concreto, possibile, maturo; le vecchie concezioni clericali non hanno altra arma che una protesta, un lamento, un insulto; né altra posizione che l'assenteismo e l'aspettare.

Oh ! l'aspettare ! anche noi aspettiamo, non il francese o il tedesco che rimetta la Santa Sede in trono a Roma (nessuno al Vaticano penserebbe ciò, e il papa rifiuterebbe soccorsi incomodi e posizioni belligeranti); aspettiamo invece che da nuovi tempi sorga la nuova orientazione della nazione verso la chiesa, come virtù vivificante, non come pretendente politico; come forza unificante, non come energia che dispaia; ragione legale di altre garanzie che non siano un potere civile o una difesa militare, o una vigilanza sbirresca che faccia la ronda al Vaticano.

È così diverso il pensiero contemporaneo, che non si può oggi concepire un papa che governi da sé, che abbia il suo parlamento e i suoi soldati, in cui nome si batta moneta o si punisca un delinquente; e la mentalità è il prodotto dei fatti concreti e produce le leggi e la storia. Si sarebbe concepito un potere temporale sotto l'impero romano anche dal più ortodosso dei cattolici del tempo?

Con ciò non ho dato la soluzione del problema, che resta (e come avrei potuto?); ma invece ho dato i contorni di quel che è oggi la questione.

Essa è insolubile e dallo stato e da un partito, sia pur cattolico; ma sono il papa e gli eventi che la determinano alla soluzione. È chiaro che uno status quo, una specie di armistizio, una impregiudicata posizione di sosta, che non implichi rinunzie, che non pregiudichi diritti, ma che dia alla chiesa una libertà di mosse e allo stato una serenità di lavoro necessaria, è la prova del fuoco della coesistenza dei due poteri, non antagonistici, ma solo indipendenti, dei quali nessuno abbia l'animo alla lotta, alla sopraffazione nel senso politico, e ciascuno senta i doveri della neutralità nei rispettivi campi, civile e religioso.

Questo stato reciprocamente pacifico non è possibile a sistemi costituzionali, ove forze, oggi positive domani negative, si contenderanno la vita; donde deriva la tendenza a invadere il campo religioso, a penetrare nel santuario della chiesa ed anche a colpirne il capo. La lotta detta anticlericale, che non è altro che lotta anticristiana e che non risparmierebbe il più ideale dei governi pontifici, potrà accendersi ed acuirsi; avrà, certo, i suoi quarti d'ora, invaderà scuole, cattedre, stampa, vita civile, soffierà nelle passioni patriottiche, invaderà l'organismo sociale. Tale lotta, che non è e non sarà mai fase nuova nella vita dei popoli, oggi, nelle forme costituzionali, dà le ragioni negative alla formazione di un partito di cattolici, che nell'attrito della vita pubblica difenda i diritti del popolo alla vita religiosa e che nei municipi e nelle province, nelle opere pie, nelle scuole, nei parlamenti, combatta vigorosamente le sopraffazioni anticlericali. Tale partito, in Italia, messo a pari degli altri sul terreno della vita nazionale, non potrà spingersi più in là di ogni partito di cattolici in ogni altra nazione e divenire l'esponente di una ragione politica e territoriale del romano pontefice; della quale ragione, come partito e nel concreto della vita della nazione, si dovrà disinteressare, dal punto di vista di un complesso di rivendicazioni concrete e tassative.

Ed è opportuno che il non expedit venga meno in momenti in cui le autorità civili dell'Italia mantengono alquanto sereni i rapporti con il romano pontefice, e che la politica ecclesiastica sembra meno decisa nel ritorno al passato, perché l'entrata dei cattolici nella vita pubblica non rappresenti un assalto di soldati a invadere il campo di un avversario politico per sgominarlo, ma un intervento opportuno e quasi direi necessario al naturale evolversi della vita italiana.

Si dirà che così il problema della questione romana non è stato risoluto: certo è così, ma chi pretende risolverlo avrà un bell'affannarsi: i castelli di carta sempre vengono meno.

« O degli umani antiveder bugiardo »

esclameranno i posteri, quando avranno esaminato quel che si pensa da molti in ordine a tale importante questione, dopo che gli eventi avranno dato il loro responso.

Qualunque possano essere i criteri presenti, le mire, le finalità, favorevoli o avverse, e del resto tutte vaghe, imprecise, indeterminate, la questione romana, anche nella ipotesi (la più razionale) della formazione di un partito cattolico che, come partito politico, se ne disinteressi, rimarrà per i cattolici di qualsiasi tendenza, anzi per gli italiani tutti, favorevoli e avversari, come un necessario punto di arrivo di un cammino a noi ignoto; come un necessario svolgimento di una potenzialità insita nell'anima italiana; come un necessario punto di partenza di nuova grandezza morale, nell'Europa dell'avvenire.

Oggi noi non possiamo fare più la questione del potere temporale così e semplicemente come un ritorno al passato, allo stesso modo che non la potevano fare i cattolici del secolo XIV, quando la trasformazione del diritto internazionale europeo andò creando il diritto pubblico civile, nella distinzione dei due poteri e del diritto religioso della chiesa da quei diritti e poteri che la chiesa ebbe, come centro di vita civile e politica europea, fino alla cattività di Avignone, e allo scisma di occidente; e pure anche allora la società progrediva e la chiesa si rinvigoriva, spogliandosi del bagaglio dei diritti medioevali, che nelle forme concrete non rispondevano più ai bisogni dei tempi.

Si avverta poi che quando noi diciamo che il partito nazionale dei cattolici prescinde dalla questione romana, si intendono due cose: che esso non la pone come un primo politico nella sua azione, sicché esso debba andare in parlamento ed entrare nella vita pubblica con un programma da conseguire, tra cui il ritorno del potere temporale: non sarà mai possibile che un partito politico, e peggio il cattolico, possa risolvere con una azione diplomatica o un atteggiamento parlamentare la questione romana; di cui il papa non solo è l'unico giudice competente, ma anche l'unica forza attiva di una soluzione che mille fattori dovranno maturare.

E quando dico dovranno maturare non ho fatto un semplice atto di fede, che mi guarderei bene dal fare con una specie di senso profetico: ho semplicemente argomentato come uno statista che vede le ragioni dei fatti e ne intuisce il corso. Nessuno potrà prescindere dalla questione romana nel senso che si possa far dimenticare, che possa cadere da sé rimanendo insoluta, che possano perpetuarsi le presenti condizioni del pontefice in infinito: non lo credono né i moderati che vorrebbero una conciliazione con la base dello statu quo, né i socialisti che vorrebbero una completa abolizione dell'ente chiesa, ne i clericali che sognano il ritorno al passato; nessuno che pensi che la storia di venti secoli abbia sancito che le sorti d'Italia non possono scompagnarsi dal papato, può ritenere che l'Italia risolverà la questione romana sopprimendola.

Essa risorgerà tempre: lo stato di calma, il forte attrito, l'urto, la tacita intesa, un modus vivendi, un aperto contrasto saranno le fasi che si ripeteranno, colpa di uomini e di eventi; ma tali fasi faranno ricordare che esiste una questione la cui soluzione sarà maturata nella coscienza italiana.

E’ chiaro che un qualsiasi partito nazionale di cattolici avrà il diritto e il dovere di intervenire negli atteggiamenti che il governo piglia verso la chiesa, come interviene nelle altre nazioni, sostenendo quei principi e quei diritti della religione e dell’anima cristiana del popolo, che formano la caratteristica dei partiti cattolici moderni in tutte le nazioni, senza essere mai un partito clericale, cioè una emanazione di chiesa.

E ribadisco questo concetto, già espresso, con la considerazione che altrimenti un partito nazionale parlamentare di cattolici non potrebbe sussistere né il papa vorrebbe affatto le ripercussioni di una attività laica, civile, politica, ispirata sia pure a principi religiosi; né un tale partito potrebbe rappresentare mai il potere ecclesiastico, di cui esso diverrebbe una specie di gerente responsabile.

In questi termini, che rispondono al comune sentire dei cattolici, oltre che alla logica, la pregiudiziale delle condizioni pontificie è superata senza che né il diritto, sia pure il tradizionale esterno oltre il puro religioso venga pregiudicato, e senza che esso diritto possa implicare una posizione antagonistica dei cattolici alla vita nazionale e una posizione di combattimento contro l'unità della patria per un ritorno al passato.

***

Un'altra pregiudiziale bisogna risolvere, perché si possano delineare i caratteri del partito nazionale dei cattolici.

Quale posizione assumerà tale partito verso la monarchia italiana?

Ci fu un tempo che, sotto voce e come di contrabbando serpeggiava nelle file dei cattolici una simpatia, non più che una simpatia per una repubblica italiana, anzi per una federazione repubblicana: anche questo è un sogno, di che i facili soluzionisti dei problemi storici si sono sempre pasciuti nelle lunghe discussioni politiche ricreative.

Oggi, per tendenza o simpatia personale, ce ne sono molti, fra i giovani, cui l'ideale repubblicano piace parecchio; ma da un sentimento platonico non si esce. Non si vorrebbe, e sarebbe sommo errore, che i cattolici facciano del repubblicanesimo in Italia: il che vorrebbe dire che non si farebbe niente. Oggi, nei regimi parlamentari, svanisce la ragione politica come forza dinamica del pensiero, per subentrarvi altre forze; e la posizione dei partiti in Italia è questa: o aderiscono alla monarchia, e ne fanno un caposaldo di programma come i liberali; o ne prescindono senza sottintesi di ideali repubblicani, come i moderni radicali; o ne prescindono per avversarla, come i socialisti. Noi non abbiamo nessuna ragione di aderire alla monarchia. Per noi non è il simbolo di un passato, né una forza per l'avvenire; per noi, re o presidente, non rappresenta che la somma dei poteri dello Stato, non mai l'ideale della potenza militare o i fasti d'una casa cui siano legate le sorti d'Italia. Solo accettiamo il fatto compiuto, nel senso che nessuna ragione di fatto ci invoglia a mutare quello che è l'ordinamento attuale. Noi, con la monarchia di oggi, troviamo sintetizzata l'unità della nazione e la rappresentazione dell'autorità assommata in un trono; e auguriamo che nessuna reazione militare, nessun ideale imperialista, nessuna pretesa di affermare diritti antagonistici al popolo induca la monarchia a mettersi in urto con la nazione.

Quindi il partito nazionale cattolico non ha adesioni preconcette, non ripugnanze sistematiche; risolve la sua posizione con la seguente formula: prescinderne senza sottintesi politici, sostenerne il valore costituzionale senza feticismi dinastici, combatterne (quando occorra) le tendenze megalomani e imperialiste, senza attaccarne il principio.

Insomma, il partito cattolico, come non è una emanazione chiesastica nel senso clericale della parola, non è ne può essere un'emanazione monarchica nel senso che vi danno i liberali; la difesa dell'altare è la difesa della religione; e la difesa del trono è la difesa del principio di autorità: né l'altare né il trono sono coefficienti organici del partito cattolico, ragioni costituzionali dell'organismo di una vita libera, costituzionale, popolare.

Così, sciolti i lacci delle precedenti preoccupazioni, risolute le due pregiudiziali che venivano necessariamente a ingombrare il  terreno che è stato occupato da quarantacinque anni sul cammino dei cattolici, si arriva a mettere le basi, con una caratteristica naturale, al partito nazionale dei cattolici italiani.

 

III. 

 

Ma quale programma avrà mai questo partito cattolico nazionale? Sarà forse il contenuto religioso e morale del programma, che unirà tutti i cattolici di buona volontà sul terreno della lotta della vita pubblica? Oppure vi sarà un contenuto specifico, che concretizzerà le aspirazioni dei cattolici italiani

in una formula programmatica?

Non é un problema nuovo, questo, per i cattolici italiani ed esteri; anzi è il problema che travaglia vivamente il nostro pensiero, e che, insoluto, mina la compagine della nostra esistenza di partito.

Però, più che un carattere assoluto, il problema piglia in sé un carattere relativo alla vita che si svolge; quindi non si può risolvere in un senso assoluto, indipendentemente dai caratteri comuni di un dato tempo e di un dato luogo. Certo che quando la forza di una lotta virulenta contro i cattolici, in terra protestante, destò la vitalità del « centro », germanico, gli uomini che risposero all'appello di lotta non poterono avere un contenuto politico ed economico come base di programma, ma un contenuto principalmente religioso, nella difesa di quei diritti che sono i diritti della coscienza e della vita. Questo, s'intende, non escludeva il contenuto economico e politico che può sbocciare vivo dal senso cristiano, come un contenuto di giustizia, di moralità, di prosperità, di bene.

Ma nella elaborazione di questo contenuto le formule si estendono, i problemi divengono complessi, le posizioni si spostano, le tendenze si manifestano anche in senso opposto, pur restando entro la traiettoria degli ideali morali e religiosi.

Così è avvenuto in Germania. In Austria però si è svolto un processo differente: la ragione economico-sociale è apparsa con un piano tattico e logico; in essa uomini religiosi e di fede romana hanno trovato una soluzione di indole cristiana, e si sono presentati alla vita con un programma specifico nell'ordine sociale, animato da vitalità religiose.

Questo secondo processo mi sembra sia il più confacente oggi in Italia; quivi la lotta antireligiosa si è confusa con tutto l'evolversi della civiltà presente, quale essa sia. Il criterio laico è predominante non più come un movente di lotta per la conquista di una ragione politica già ottenuta, ma come stasi

di un processo di lotta già avvenuto. Quale sarà per essere la posizione che verso i problemi religiosi assumerà il governo italiano, sia pure in una recrudescenza massonico-anticlencale, non commuoverà mai la coscienza nazionale, di sé sicura, perché la ragione politica di essa è venuta meno: ed oramai la fosca visione di un ritorno al potere temporale e alla teocrazia non regge alla critica dei fatti quotidiani, che formano il substrato della coscienza moderna.

La possibile lotta anticlericale e l'urto antireligioso sarà un episodio di un espediente politico o l'esplosione di un odio o l'opportunismo di una puntata contro la formazione del nostro partito; non mai una ragione che specifichi l'andamento presente della nazione italiana nella conquista di una libertà, di una indipendenza dal fattore religioso, come volere nazionale.

Una lotta antireligiosa si svolgerebbe nello stesso modo e avrebbe lo stesso significato in Francia, come in Austria, come nel Belgio, così in Italia. In tal caso, tutte le forze dei cattolici, non come partito organico, ma come fedeli, si unirebbero insieme. Siano pure moderati, liberali, progressisti, e, se vuolsi, tutti gli spiriti liberi dai pregiudizi del « libero pensiero », sarebbero alla difesa del diritto religioso delle coscienze, come avvenne quando fu presentato il progetto di legge sul divorzio; e in tale lotta i cattolici assumerebbero non tanto una semplice posa politica, quanto una necessaria e doverosa difesa del diritto, del giusto, delle convinzioni loro e dei cattolici d'Italia.

I dissensi sui metodi potranno aver presa nei casi particolari; ma allora le vitalità e gli ideali religiosi accomuneranno tutti gli uomini di buona volontà.

Noi intanto diamo così un carattere religioso al partito, in quanto che esso rappresenta un elemento di resistenza legittima all'urto degli avversari, non mai come ragione confessionalistica, come monopolio di vitalità religiose, come camarilla di affari ecclesiastici, ma come difesa autentica della chiesa, nella funzione di nuovi patrizi di Roma e patroni della santa romana chiesa.

È perciò che non possiamo fare una bandiera del contenuto religioso delle nostre idee di vita civile e sociale, determinando un reggimento di forze ed elevando questi reggimenti a partito: tanti cattolici che sarebbero contro di noi avrebbero il gioco di un astio politico, che urterebbe le loro convinzioni religiose, che scinderebbe l'animo italiano e che creerebbe di nuovo l'antagonismo clericale anche nel seno dei convinti cattolici e dei praticanti cattolici.

Per tale ragione noi ameremmo che il titolo di cattolici (così caro alle convinzioni religiose degli italiani) non fregiasse il nostro partito e i nostri istituti. Che se urta anche al nostro senso estetico leggere in cima alle insegne delle nostre banche o delle nostre società di assicurazione e dei nostri giornali il titolo di cattolici, urta anche, e più che urtare confonde i termini, il vedere che domani un partito politico o amministrativo assuma la ragione di cattolico. L'uso invalso anche nel campo avverso, come in parte ha fatto cadere il nome di clericale, così ha sostituito quello, che io vorrei così sacro, di cattolici. In Francia si chiamano associazione liberale, in Austria cristiano-sociali, in Svizzera conservatori; noi speravamo che il nome e il contenuto della democrazia cristiana fosse passato come ingegna di un partito militante, ma anche questa parola si volle, per istinto che non si può evitare, far passare dal campo sociale a quello religioso e poscia, mantenendo il suo contenuto, è rimasta a significare una frazione di cattolici, più che un programma di vita.

Ma a parte la questione del nome (ci sarebbe da bizantineggiare parecchio) la questione è vitale per la elaborazione di un programma specifico del partito nazionale cattolico.

Attualmente le tendenze della vita pubblica italiana, nella grande varietà delle facce del partito liberale, si raggruppano in conservatori e socialisti; e si attraversa un periodo speciale, nel quale la politica si è spostata, orientandosi verso il popolo, che diviene centro di irradiazione; e, in generale, un saliente benessere economico, in un disquilibrio finanziario, acuisce i problemi della vita e determina le lotte politiche.

Non ripeto quel che ho detto in altre mie conferenze: l'individualismo perde a vista d'occhio: la ragione sociale diviene meno incomposta ; il pensiero si matura verso forme più organiche.

I cattolici italiani non possono sfuggire a questa situazione, né crearne un'altra; essi devono affrontarla: o sinceramente conservatori, o sinceramente democratici;  una condizione ibrida toglie consistenza al partito e confonde la personalità nostra con quella dei conservatori liberali, staccando i pochi coraggiosi che vogliono spingere il partito sul cammino delle progredienti democrazie.

Questa situazione indecisa e tendente verso i conservatori è stata assunta in molte parti, dove i cattolici sono penetrati nei municipi ed hanno affermato una vita elettorale propria; e questa tendenza è stata più che mai manifesta nell'entrare tumultuoso e impreciso dei cattolici nella vita politica, con l’attenuazione del non expedit, nel novembre scorso.

E proprio i primi che. come cattolici, hanno preso posto alla Camera, sono stati alcuni conservatori cattolici, dei quali l’esponente più significativo e più noto è l'onorevole Cornaggia.

È questa la constatazione di un fatto, che riassume una situazione creata già da tempo in Italia, contro la quale lavorò la giovine scuola dei democratici cristiani, che invece assumono posizione politicamente diversa, benché concorde nella difesa religiosa.

A me, democratico antico, convinto, e non dell'ultima ora, è inutile chiedere quale delle due tendenze politiche, nel senso comune della parola, io creda che risponda meglio agli ideali di quella rigenerazione della società in Cristo, che è l'aspirazione prima e ultima di lutto il nostro precorrere, agire, lottare.

E’ chiaro che io stimo monca, inopportuna, contrastante  ai fatti, rimorchiante la chiesa al carro dei liberali, la posizione di un partito cattolico conservatore; e che io credo necessario un contenuto democratico del programma dei cattolici nella formazione di un partito nazionale.

Ma il fatto non si può contraddire, conviene studiarlo. C'è chi opina che, lanciato un partito cattolico nell'attrito dei fatti concreti, determina esso a se stesso il suo programma: questa specie di automatismo programmatico può avere un valore dinamico nella elaborazione di un pensiero vissuto e nella concretizzazione specifica di una formula: se però manca il pensiero vissuto e manca la formula collettiva, resteranno le tendenze personali, che saranno sottoposte al gioco degli eventi, alla forza viva delle persone, al concreto delle lotte.

No. così si andrebbe a finire come in Francia, dove la pregiudiziale politica ha rovinato l'avvenire dei cattolici, e i ralliés crearono la forza e la debolezza dei melinisti e prepararono la lotta religiosa senza un vigore di resistenza, senza un contenuto cosciente di vita politica.

Noi serviremmo in tal caso i conservatori liberali la cui preponderanza numerica e momentanea (non programmatica e ideale) determinerebbe la reazione dei sopraffatti, radicali e socialisti e ci farebbe trovare impreparati ed esposti (senza gli aiuti dei conservatori liberali) ad una lotta religiosa che ci stancherebbe ed esaurirebbe.

Da soli, specificamente diversi dai liberali e dai socialisti, liberi nelle mosse, ora a destra e ora a manca, con un programma consono, iniziale, concreto e basato sopra elementi di vita democratica, così ci conviene entrare nella vita politica. Non la monarchia, non il conservatorismo, non il socialismo riformista ci potranno attirare nella loro orbita: noi saremo sempre, e necessariamente, democratici e cattolici.

La necessità della democrazia del nostro programma? Oggi io non la saprei dimostrare, la sento come un istinto; è la vita del pensiero nostro. I conservatori sono dei fossili, per noi, siano pure dei cattolici: non possiamo assumerne alcuna responsabilità.

Ci si dirà: ciò scinderà le forze cattoliche. Se é così, che avvenga. Non sarà certo un male quello che necessariamente deriva da ragioni logiche e storiche, e che risponde alla realtà del progresso umano.

Due forze contrarie che si elidono arrestano il movimento e paralizzano la vita. Tutto lo sforzo enorme dei cattolici italiani é stato concentrato nell’affermazione di un principio sociale democratico, che comprende tutte le forze sociali della vita presente e le riprova al fuoco del cristianesimo per purificarle dalle scorie egoistiche, dalle infiltrazioni materialistiche, dal tufo socialista o liberalista.

Nell’ affermazione di un programma specifico sociale, il partito cattolico diviene partito vitale, assurge alla potenzialità di moderno combattente, che ha vie precise e finalità concrete.

È logico adunque l'affermare che il neo-partito cattolico dovrà avere un contenuto necessariamente democratico-sociale, ispirato ai principi cristiani: fuori di questi termini, non avrà mai il diritto a una vita propria: esso diverrà una appendice del partito moderato.

Se mi è lecito, compio questa analisi con un augurio: è quello che nessuno più della democrazia cristiana faccia una insegna di povere e minute iniziative, che nessuno più sfrutti questo nome in battaglie vuote di senso, che nessuno la presenti come una ragione antagonistica alle forme vuote della nostra organizzazione.

Essa, la democrazia cristiana, è un ideale e un programma che va divenendo, anche senza il nome, evoluzione di idee, convinzione di coscienze, speranza di vita; essa non può essere una designazione concreta di forze cattoliche, ma una aspirazione collettiva, sia pure ancora vaga e indistinta.

Resti in questo stato ideale, impalpabile ispiratrice di concezioni pratiche in tutti i rami del nostro agire: economia, municipalismo, nazionalismo, politica; e sarà l'insegna di un partito autonomo, libero, forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale (*).

Involuta, difficile la via del bene, la concretizzazione degli ideali. Mentre tutto l'andare sociale ci sforza alla vita, questa ci si appalesa e ci si rivela a gradi; si nasconde anche, e ci priva dei suoi lumi, e ritorna vivace a splendere come il sole dopo la tempesta.

 

(I*) Avevo scritto questa conferenza, quando sono venuti fuori gli schemi degli statuti delle tre unioni generali delle organizzazioni cattoliche. L’assenza di un programma o di una nota specifica programmatica e il rafforzamento dell'idea confessionale mostra come non sia nata nella mente dei triumviri l'idea della costituzione di un partito politico nazionale. Non so se i rilievi che in proposito la stampa ha fatto, e che hanno pure fatto le associazioni cattoliche invitate al referendum, saranno tenuti in considerazione.

E’ certo che il fatto non depone in senso favorevole alla concezione del partito cattolico, che io ho cercalo di abbozzare, e dei criteri aconfessionali e democratici di esso partito.

Però non credo che quel che di esse unioni sarà per essere, possa preoccupare troppo le nostre tendenze: l'unione delle forze cattoliche, sia nelle società economiche,. sia in quelle elettorali (non credo che il resto sarà cosa concreta), subisce la forza del pensiero e della propaganda, e non viceversa.

E’ quindi il valore della nostra propaganda (più che una organizzazione a parte e in campo chiuso)  che  deve  arrivare  alla  coscienza, al  pensiero  dei cattolici; e siamo noi la maggior parte di quelli che si muovono in Italia nel campo dei cattolici; e quando il nostro pensiero sarà penetrato nell'animo dei più e reso profondamente vitale, avremo conseguito la trasformazione del partito.

C'è quindi da lavorare, da lottare, da continuare nel nostro stesso campo quella trasformazione che dal 1898 segna l'inizio di una nuova fase, la quale, attraverso gli episodi, non si é chiusa; ed anche, oso dirlo contro la sfiducia di coloro che guardano la vita nella cerchia stretta dei piccoli fatti, é progredita e di molto.

Certo pochi avrebbero pensato che la formula ingombrante dell’Opera dei Congressi sarebbe caduta dopo il congresso ili Bologna; e io sono sicuro che ogni altra formula conservatrice non riuscirà che a essere un ingombro da togliere, non mai un ostacolo che paralizza la vita.

L ideale del partito nazionale dei cattolici resta integro come l'aspirazione più legittima e necessaria alla vitalità dei cattolici militanti, e il programma democratico cristiano l'unico ideale che non può essere sostituito da nessun altro.

L'influenza di questo ideale non può essere elusa da abbozzi o da tentativi che non riscuotono la fiducia dei più: il cammino intralciato, non potrà non subire ritardi, ma non sarà arrestato.

Del resto nessuno pensa che il progresso sia una ascensione per linea retta; sarebbe l'errore peggiore, che ci porterebbe al suicidio.

Don Luigi Sturzo

Caltagirone, 24 dicembre 1905

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