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giovedì 22 ottobre 2020

La mobilità sociale è una questione di "genere"? #DonnealCentro

 di Valeria Frezza

Che rapporto c’è tra il genere e la mobilità sociale? Essere uomini o essere donne come incide, nella nostra società, sul rapporto tra capacità e opportunità? Insomma, possiamo sostenere che, se una persona ha certe capacità, che sia uomo o sia donna, abbia le stesse opportunità di esprimerle e realizzarsi? Al confronto sulla mobilità sociale, sembra importante domandarsi che rapporto ci sia tra i ruoli di genere, i codici affettivi maschili e femminili e le dinamiche di potere come barriere alla mobilità sociale. L’esclusione delle donne dalle opportunità è ampiamente documentata e la disuguaglianza tra uomini e donne nei percorsi di autorealizzazione è diffusa ad ogni livello della nostra società. Un buon punto di partenza consiste nel chiedersi quali e quanti siano i costi dell’esclusione femminile. Si tratta di costi economici e sociali, personali ed etici. Non valorizzare gli investimenti in istruzione e formazione delle donne è uno dei costi principali; la non accoglienza delle caratteristiche distintive degli stili femminili nei luoghi di lavoro vuol dire perdere la possibilità di creare relazioni e processi in grado di valorizzare le differenze. A proposito di mobilità sociale servono concrete strategie per creare le condizioni per l’uguaglianza delle opportunità e per un’espressione plurale di stili e codici differenti (maschili e femminili).
"Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi e di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa , transitoriamente, per quel concedere a ciascuno di noi di contribuire a portare il suo lavoro e le sue migliori qualità personali al progresso della società.
Cito Calamandrei: "A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo (e donna, aggiungo io)  di avere la sua parte di sole e di dignità. Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Questo è l’articolo più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore politico e sociale di questo articolo.
La scuola è l’espressione di un altro articolo della Costituzione: dell’art. 3: “Tutti i cittadini hanno parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e sociali”. E l’art. 151: “Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e di tutte le opinioni […]".
Nel nostro Paese, bambine, bambini, adolescenti e donne rischiano più che in tutti gli altri Paesi europei di subire esclusione sociale.
Le donne sperimentano forme di esclusione gravi e gravissime; per questo l'affermazione dei diritti delle donne rappresenta una priorità e necessita di provvedimenti urgenti.


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