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martedì 26 maggio 2020
Eroi!
venerdì 22 maggio 2020
Diritti delle donne
Il 13 febbraio 2020 il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione in cui i deputati denunciano il regresso della parità di genere, infatti, alcune criticità identificate 25 anni fa, sono ancora attuali.
L’UE deve assumere una posizione unitaria ed intervenire con fermezza e prendere delle misure per i diritti, l’autonomia e l’emancipazione delle donne.
In particolare:
- una maggiore inclusione delle donne nel mercato del lavoro;
- un miglior sostegno all’imprenditorietà femminile;
- colmare definitivamente il divario retributivo e pensionistico;
- equa ripartizione delle responsabilità domestiche e di assistenza tra donne e uomini;
- promuovere l’istruzione delle ragazze ed una maggiore partecipazione alle carriere STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica);
- promuovere una rappresentanza equilibrata di genere a tutti i livelli nei processi decisionali;
inoltre, per rafforzare la protezione delle donne, l’UE dovrebbe:
- rafforzare la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne;
- destinare risorse finanziarie e umane per la lotta contro la violenza nei confronti delle donne;
- tutelare e promuovere i diritti dei gruppi che sono vittime di discriminazione;
infine l’UE dovrebbe:
- sostenere i finanziamenti a favore della salute sessuale e riproduttiva;
- promuovere una maggiore partecipazione delle donne nelle azioni per il clima e di costruzione della pace;
Un po’ dubbie: promuovere l’inclusione negli accordi commerciali e condannare la norma “global gag” che vieta alle organizzazioni di ricevere finanziamenti per la pianificazione familiare se offrono servizi per l’aborto.
Le disposizioni per il Coronavirus hanno creato ulteriori disparità, donne e giovani in Italia restano a casa, il 4 maggio sono tornati a lavoro (in cantiere, in fabbrica, in ufficio) il 72,4% degli uomini. Dal lockdown esce un paese che sembra quello di mezzo secolo fa. L’uomo a lavoro, lei con i bambini, anche perché chi se ne prende cura con le scuole ed i centri estivi chiusi?
Gli squilibri di genere già esistenti, adesso lo sono ancora di più. Al momento donne e giovani restano fuori, i più penalizzati dalla crisi. Alla narrativa retorica piena di cliché che le donne sono in prima linea contro il coronavirus, come in tempi di guerra, non corrispondono misure efficaci e concrete per aiutare a superare il gap esistente in ogni campo.
Come in epoca di guerra, le donne sono state e continuano ad essere in prima linea come operatrici del sistema sanitario, come cassiere nella grande distribuzione, come insegnanti riconvertite alla didattica digitale (qualcuno si chiede che fanno le insegnanti precarie durante il lockdown?).
Oggi le donne sono schiacciate tra le responsabilità di cura e le necessità del lavoro.
Non si può permettere che l’emergenza sanitaria rinchiuda le donne in casa. E' dovere e diritto delle donne di dare un contributo in modo attivo e mettendo a disposizione le competenze e l’impegno.
La modernizzazione del Paese passa anche attraverso l’impegno delle donne.
La parità di genere non è solo una questione delle donne, ma un vantaggio per la società.
Fonti: Europarlamento, il Messaggero
giovedì 14 maggio 2020
#DonnealCentro Vittime di violenza: Maria Isoardo, una martire del XX secolo
Maria Isoardo nasce a Centallo il 12 giugno 1917, insegnante elementare in scuole fuori dal mondo, dove si fa conoscere come maestra molto buona e alla mano.
Nel periodo della 2^ guerra mondiale che fa seguito alle tragiche giornate dell' 8 settembre 1943, Maria è assegnata alle scuole di Pietraporzio. Riconosce il pericolo che può correre ma non viene meno al suo dovere. Il 16 aprile 1944, appena quattro giorni prima della morte, cerca di rassicurare la mamma.
Maria cerca di "fare tutto ciò che piace a Gesù", anche in mezzo a condizioni molto difficili; una vita dedicata agli altri; una vita improntata al bene altrui. Una giovane donna dalle idee chiare e dal credo robusto.
Il 20 aprile 1944 è una giornata tragica per il paese di Pietraporzio: scorribande di soldati, mitragliatrici tedesche puntate un po' ovunque, case perquisite, la fuga per i boschi dei pochi giovani e dei pochi soldati italiani rimasti, l'incendio di quattro case come rappresaglia per il ritrovamento di alcune armi.Anche la scuola viene perquisita, tre sono puntate contro di essa, ma le maestre svolgono regolarmente, come ogni giorno, le loro lezioni. Per la pausa-pranzo, accompagnano ad uno ad uno i piccoli alunni alle loro case per evitare loro qualsiasi pericolo. Dopo averli messi al sicuro, si fermano nei pressi delle case alle quali i tedeschi hanno appiccato il fuoco, per dare una mano nell'opera di spegnimento. Sono questi gli ultimi gesti di carità di Maria: assicurarsi dell'incolumità dei suoi alunni e prestarsi generosamente per alleviare le sofferenze e i disagi di chi si era visto incendiare la propria abitazione.
Al rientro nella scuola le due maestre vengono seguite da un militare tedesco. La collega riesce a fuggire con l'aiuto di Maria ma lei, da sola, deve affrontare la furia dell'uomo ubriaco.
Quando i suoi concittadini riescono a penetrare nella scuola, per Maria non c'è più nulla da fare.
I testimoni raccontano il dramma: da un lato la violenza feroce del militare, dall'altra la ferma resistenza di quella donna di 27 anni, soprattutto sulla virtù e sul peccato, sulla fede e sui doveri del cristiano, che dovevano essere rispettati anche a costo della vita.
In modo "eroico", aveva mantenuto fede a quei principi nei quali credeva e per i quali era vissuta. Una vita lunga appena 27 anni, giocati tutti per Dio, per poter giungere preparata all'ultima decisiva scelta: "Maria non rubò a Dio la palma gloriosa del martirio, ma la conquistò con lo sforzo continuo e con il sacrificio quotidiano delle piccole rinunce".
Anche Centallo, paese natale di Maria Isoardo commemora questa giovane donna, vittima di femminicidio, maestra coraggio uccisa nel 1944 da un soldato tedesco.
A giusto titolo è stata definita “martire della dignità della donna” perché quel giorno di aprile, con tutta se stessa, lottò per non soccombere al soldato dall’inaudita violenza difendendo i suoi ideali di fede e giustizia.
Maria Isoardo è morta con dignità, aprendo la strada a quel nuovo risorgimento che nell’emancipazione femminile troverà terreno fertile.
***
Fonte: sito reginamundi; sito il posto delle parole
lunedì 11 maggio 2020
Un Forum di idee condivise e realizzabili.
Non spendiamo male le risorse che abbiamo
di Giulio Colecchia
Miliardi come noccioline. Certo, in una fase della storia del Paese - anzi dell’intero pianeta - come l’attuale, la gente ha bisogno non solo di buone intenzioni e di parole di incoraggiamento, ma, innanzitutto, di gesti concreti che l’aiutino ad affrontare le nuove ed enormi difficoltà. Non c’è dubbio, quindi, che siano necessarie politiche cosiddette espansive della spesa, che, cioè, mettano in circolazione una maggiore quantità di moneta perché “il cavallo possa riprendere a bere”.
È una necessità alla quale nessun Paese del mondo può oggi sottrarsi. Una necessità che ha intaccato anche le inossidabili certezze dei Paesi più rigorosi dell’Europa del nord (Germania compresa) che, sembra, abbiano accettato di dare il proprio assenso ad una nuova fase della politica economica comunitaria che allenti i vincoli ai bilanci nazionali e definisca regimi di aiuti comunitari meno soffocanti per i singoli Stati. Quindi, i 750 miliardi previsti dalla BCE della Lagarde e i circa 1.000 della Ursula. E ancora, ogni Stato può contare sull’allentamento dei vincoli di Maastricht; il che, tradotto, significa possibilità di ricorrere a nuovo ed ulteriore indebitamento per reperire risorse sui mercati finanziari.
E qui, il “liberi tutti” sta producendo - in Italia per quanto fiscalmente ci interessa più direttamente - un affannosa quanto caotica scelta di spese per sostegno a famiglie, imprese, artigiani, commercianti, professionisti, gestori di attività turistiche; e poi Cassa integrazione, bonus, congedi, ecobonus per ristrutturazioni, contributi per acquisto biciclette e via dicendo. Tra poche ore il nuovo “decreto maggio” metterà in campo, proseguendo su questa strada, un’ulteriore sforzo finanziario del bilancio pari a circa 55 Miliardi di euro oltre ai 25 già stanziati con il precedente decreto “curitalia”. “Stanziare” forse è un verbo inadatto perché si tratta di ulteriore indebitamento pubblico a cui il Governo ricorrerà per far fronte a quegli impegni. Impegni che, per dirla tutta, oggi sta chiedendo di anticipare ad altre Istituzioni, com’è per l’INPS che già nei primi mesi dell’emergenza Covid ha dovuto anticipare dal proprio bilancio diverse decine di miliardi, o i Comuni che non avendo ricevuto somme integrative stanno attingendo da altri capitoli della spesa sociale ordinaria.
Sembra che tutto quello che in venti anni non sia stato possibile fare lo si voglia realizzare quest’anno o, al massimo, entro il prossimo e senza una visione coordinata, ma solo sulla spinta di lobby e di scelte sui social.
Voglio chiarire che non credo che mettere la gente in condizioni di spendere e, quindi, di rianimare l’economia reale sia una scelta sbagliata, anzi; così come credo che sia assolutamente necessario aiutare le fasce più povere e quelle realmente più bisognose della popolazione. Primum vivere … quindi raggiungere le persone in reale difficoltà, frenare la tendenziale crescita della povertà e rispondere adeguatamente a quella già in stato comatoso.
Ma, oltre ai salvagente, quali strumenti realmente possono essere utili per il riavvio del motore? Considerando che, dopo la stagione dei sussidi (che non può essere strutturale!), bisogna creare condizioni di sostegno e di promozione per il lavoro, unico vero strumento di dignità e sostegno della persona. Non sembra, però, di intravedere un vero programma di ripresa che abbia, qui si in maniera strutturale, al centro il lavoro e l’ammodernamento dell’economia della produzione. Eppure questo non è il momento di rinviare. Proprio perché la crisi, di dimensioni mondiali, provocherà stravolgimenti di alleanze economiche internazionali e influirà decisamente su mercati e modelli di produzione, il nostro sistema non può restare in stand by. Nel DEF 2020 (documento notoriamente “misurato” anche perché è sempre stato ad usum delphini) si prevede un calo del PIL dell’8%; Confindustria conferma una previsione del 6%, mentre il FMI parla addirittura del 9,1%; altrettanto difficile sarà la situazione per le esportazioni con un -14,4%, degli investimenti del -12,3% e della spesa delle famiglie (gran parte della domanda interna) con un -7,2%. La situazione della disoccupazione esplicita sarà, conseguentemente, in crescita dal 9,7% all’11,6%. Evidentemente i sistema di welfare per il lavoro che abbiamo consente di sostenere l’urto di questi primi mesi. Quello che dà l’evidenza della gravità è il calo delle ore lavorate che scenderanno del 6,3%. In definitiva il nostro indebitamento pubblico netto passerà, nelle previsioni del DEF, dal 134,9% del PIL al 151,8% (+17), mentre il disavanzo primario (al netto degli interessi pagati sul debito) sarà del 3,5%. Le previsioni di altri autorevoli osservatori internazionali sono meno prudenti del Governo italiano e, soprattutto, prevedono un grave trascinamento di questa situazione nei prossimi anni (EURISPES -9,5%, FMI -7,9%, Goldman Sachs -11,6%).
Potremmo riassumere sommariamente così il quadro che realisticamente ci aspetta. Meno occupati e meno salari, meno piccole aziende, meno introiti fiscali e contributivi, minore produzione di beni, minori consumi, minori risorse per gli enti locali per le politiche sociali e del territorio. Di contro, aumento dei prezzi, della fiscalità, difficoltà a migliorare i servizi pubblici. Di conseguenza maggiore diseguaglianza sociale.
Siamo, quindi, alla vigilia di un periodo peggiore di quello che vivemmo nel 2008/9; un periodo che richiederà al Paese sforzi economici straordinari e a tutti i cittadini un grande impegno civico nel mettere in campo comportamenti virtuosi (soprattutto sul terreno della prevenzione sanitaria).
Ma credo che un’uscita dal guado sarà possibile soltanto in presenza di due precondizioni.
Che si definisca un vero e proprio “piano generale per la ripresa”, ripartendo al meglio le risorse che, con ulteriori debiti, oggi si stanno manovrando; distribuendole, con il coinvolgimento delle forze sociali, produttive e del volontariato, con prudente lungimiranza, tra spesa per famiglie bisognose e per ridurre la povertà e spese realmente utili per sostenere settori e quelle imprese che si impegnino a mantenere i livelli occupazionali, al di là del ricorso alla cassa integrazione, e ad incrementarli in presenza di investimenti ed innovazioni favorite da contributi pubblici. Un nuovo “patto sociale” per un progetto, quindi, equilibrato, che non sia preda degli isterismi di una politica litigiosa e ormai screditata, imballata e divisa in fazioni e tifoserie, senza una visione della realtà e delle prospettive che vadano oltre l’emergenza, ma soprattutto senza rispetto per le stesse Istituzioni che pure governa.
Poi un atteggiamento più responsabile della politica. È proprio questo l’ostacolo, oggi, più grande da superare. Non tanto gli equilibri europei che, come si sta verificando con il recente accordo su MES, SURE, BEI e Delivery fund, possono alla fine essere resi convergenti. La seconda precondizione è la creazione di un clima di solidarietà e di partecipazione nazionale nel quale maggioranze e opposizioni mantengono le proprie caratterizzazioni programmatiche e culturali ma, nella necessità di cooperare tutti per ridare la spinta decisiva per il riavvio alla macchina Italia, si pongono tra loro in una condizione di collaborazione straordinaria. Governo di crisi? Di emergenza? Di straordinaria unità nazionale? Non importa come, l’importante è che la condizione di “pollaio” finisca e si passi ad un ruolo più alto e dignitoso della politica italiana. È solo con i buoni esempi e non con tensioni e paura che si può governare un popolo eclettico, fantasioso, ma profondamente sfiduciato com’è oggi quello italiano.
Così crescerebbe anche il nostro ruolo nella leadership europea e così potremo ambire a tornare ad essere, come lo furono in nostri costituenti in seno alla nascente Europa, protagonisti del suo cambiamento ed dell’evoluzione verso un’Europa dei popoli.
domenica 10 maggio 2020
Stop alla piaga del precariato dei docenti
L’alto numero di emendamenti al decreto scuola n. 22 sta rallentando l’iter di approvazione al Senato: sono quasi 400 gli emendamenti presentati e di modifica del decreto legge e particolarmente stanno perdendo tempo la commissione Bilancio e quella degli Affari Costituzionali.
Per quanto riguarda l’assunzione dei docenti si dovrebbe intanto celermente procedere all’assunzione dei precari storici che il Miur ha tenuto illegalmente e incostituzionalmente nello stato di contratto di precariato per almeno 15 anni, nonostante la procedura d’infrazione dell’Unione Europea 99/70 che alla clausola 5 impone agli Stati membri di adottare delle misure per evitare la reiterazione abusiva dei contratti a termine e prevede la loro eventuale trasformazione a tempo indeterminato e per la quale l’Italia ha pagato 300 milioni di euro di multe, tutti soldi buttati.
L’Italia, già nel settore privato, aveva costituito delle misure e aveva disposto la trasformazione del contratto a tempo determinato dopo 36 mesi di lavoro, invece, nel settore pubblico, ciò non si è verificato.
L’articolo 97 della Costituzione indica la possibilità di accedere al pubblico impiego solo tramite concorso. A ciò si potrebbe obiettare:
1. ci sono molti precari che hanno vinto il concorso da diversi anni e sono ancora precari. C’è un abuso da sanare da parte dello Stato e ciò potrebbe portare a valutare l’eccezione
2. questa legge prima del governo Renzi non è stata applicata perché la scuola non era considerata “pubblico impiego” e quindi c’è già stato il precedente di docenti assunti a tempo indeterminato che hanno preso l’abilitazione (al tempo SSIS) ma non hanno fatto il concorso
3. nell’emendamento proposto da alcuni partiti della maggioranza (PD e Leu e dal senatore Pittoni, Lega Nord), l’assunzione avverrebbe per titoli (vuol dire che durante l’anno di prova i docenti svolgeranno sia l’esame orale abilitante, come è già avvenuto precedentemente, sono le tempistiche ad essere differenti, sia l’esame per passare l’anno di prova),
4. l’assunzione per titoli potrebbe essere giustificata dallo stato emergenziale.
Anche la didattica a distanza non è regolamentata, non è prevista dal contratto dei docenti, le piattaforme non tutelano a sufficienza la privacy degli alunni e dei docenti e tutto ciò che avviene fatto tramite modalità telematica è impugnabile ed è stato permesso esclusivamente a causa dell’emergenza del coronavirus.
5. provvedere ad una giusta applicazione della legge 104, infatti i docenti sono costretti spesso a mettersi in aspettativa o in malattia perché attualmente ci sono interpretazioni differenti delle linee guida date dal MIUR per la legge 104 e non viene sempre data la possibilità di lavorare vicino casa come è previsto dalla legge ed anche questa procedura è impugnabile.
Per quanto riguarda il problema dei costi, Pittoni specifica che sono soldi riconvertibili attraverso minori contratti da far sottoscrivere ai docenti precari e direi anche, ad un numero minore di multe da pagare.
giovedì 7 maggio 2020
La (vera) politica è davvero morta?
Nell’interessante articolo del 28 aprile di Armando Dicone, su questo blog sugli estremismi in politica (che vi invito a leggere qui
https://forumalcentroblog.blogspot.com/2020/04/per-salvarci-dagli-estremismi.html?m=1
si mette in evidenza come la politica italiana sia malata; e che la si continui a curare non cercando di capire di cosa soffra, ma lasciando che coloro che dovrebbero controllare la sua temperatura e il suo stato di salute, cioè gli elettori, se ne vadano abbandonando la malata a sé stessa (leggi astensionismo).
Scrive Dicone: “Per superare gli estremismi servirebbe, a mio parere, un nuovo pensiero forte, una nuova idea culturale e politica di centrismo. Non un'operazione di semplice addizione di classe dirigente, ma un percorso dal basso di partecipazione attiva, di impegno e responsabilità civica, una strada lunga ma efficace.”
Con l’idea di ricominciare dal basso, dalle fondamenta, stiamo cominciando a convivere in questa pandemia. Ogni giorno diciamo: andrà tutto bene… quando ricominceremo faremo così… e frasi simili che spesso diventano quasi un esorcismo laico.
Io mi sono chiesto: cosa significa ricominciare in modo nuovo in politica?
Anzitutto capire cosa è la politica.
A me piace la definizione di politica come arte di governare lo stato.
È interessante notare infatti come nella lingua greca (da cui nasce il concetto) dalla stessa radice (polis = città) vengano fuori sia la parola politica che la parola cittadino (polites). Come a dire che la politica è fatta dai cittadini che lavorano insieme per il bene della città, cioè degli altri cittadini.
Questo concetto me ne richiama un altro: se si lavora insieme per il bene di tutti, vuol dire che materialmente ognuno deve mettere al servizio di tutti ciò che sa fare. (Politica quindi è anche fare un buon pane, essere un bravo medico, saper riparare al meglio un’auto.) E che nessuno debba considerarsi al di sopra degli altri, ma deve capire che se sta bene uno, stanno bene tutti.
Esattamente l’opposto di altre concezioni della politica in cui il bene di uno stato si ha quando una classe ‘si libera dalle catene’ e arriva a governare contro i precedenti governatori / oppressori. Oppure quando una classe che si ritiene superiore, non per meriti sul campo ma per blasone di nascita, si sente in diritto di dettare le condizioni della vita politica.
Fatta questa premessa, non posso che andare al pensiero, ma soprattutto alla vita personale e pubblica, di un personaggio che ha fatto la politica di quella prima Repubblica forse troppo velocemente archiviata e ripudiata per coprire colpe di gente che si è riciclata nella storia italiana di oggi dove continua a fare danni.
Parlo naturalmente di Aldo Moro, che con Enrico Berlinguer stava per dare una spallata ad un vecchio modo di vivere la politica e lo stato, un modo fatto di contrapposizioni rigide e, come evidenzia l’articolo di Dicone, di quegli estremismi velenosi e deleteri che ci portiamo ancora sul groppone.
Per Moro esiste un principio che deve governare ogni cosa, dalla vita personale a quella vita sociale, alla politica: la persona. Per lo statista pugliese solo il mettere al centro di ogni cosa la persona umana può essere il perno, il cardine su cui costruire un cambiamento duraturo e solido in ogni ambito.
Ecco: solo se si fa della persona (nella sua unicità e totalità) e del suo bene l’obiettivo primario di ogni scelta politica, si fa un’azione concreta e costruttiva, perché la società è costituita da persone e se crescono le persone, cresce la società.
Far maturare l’essere umano in ogni sua sfaccettatura vuol dire rispondere anche al principio della creazione (o, per chi non è credente, dell’evoluzione): se ogni tassello della storia è robusto e sano, tutto il puzzle viene bene, armonico e splendente.
La politica allora deve rispondere ai bisogni della persona umana: il diritto ad avere di che nutrirsi e di come procurarsi il cibo anche attraverso il lavoro, come potersi curare, crescere intellettualmente e spiritualmente attraverso la cultura, creare una famiglia come centro e volano della vita sociale, potersi esprimere liberamente e partecipare alla vita pubblica per decidere insieme agli altri sul bene di tutti.
La fortuna del nostro popolo è quello di aver avuto in dono, da coloro sono si seduti in parlamento dopo la II guerra mondiale, la Costituzione, cioè la carta di intenti con cui (ri)costruire l’Italia dopo la dittatura fascista. Essa contiene esattamente quei principi elencati sopra; perciò saremo pienamente italiani quando ci sforzeremo di raggiungere quegli obiettivi.
Fare una politica nuova oggi, così, ha già i binari entro cui agire e gli strumenti democratici per farlo.
Una politica che parta dall’uomo e arrivi all’uomo deve avere un movimento politico e culturale che si pone al centro tra gli opposti estremismi.
In conclusione, per riprendere un pensiero di Gianni Baget Bozzo sulla politica di Moro, essere un partito/movimento di centro non significa pensare ad una linea retta e al suo punto centrale, che evocherebbe comunque due estremi(smi) e punti via via più distanti l’uno dall’altro; bensì ad un cerchio, in cui il centrale avrebbe la stessa distanza da ogni altro punto della circonferenza e potrebbe così fare da mediatore tra tutti questi ultimi.